Dai fondali marini alle vette montane: la biodiversità minacciata dall’aumento delle temperature

Di Alessandro Campiotti

I risultati di numerosi progetti di monitoraggio del territorio marino e montano sostengono che le attività antropiche e il riscaldamento climatico stanno determinando la scomparsa di molte specie autoctone, spesso sostituite da specie aliene, più invasive e adattabili alle elevate temperature.

Veduta di una grotta marina nella Costa del Baunei (Sardegna) Immagine di Alessandro Campiotti

Come ogni anno, la fine della stagione estiva è un momento di bilanci, e se quello turistico è stato complessivamente positivo, lo stesso non si può dire per ciò che riguarda il clima e l’ambiente. L’estate 2025, infatti, ha registrato temperature record rispetto alle medie stagionali, con frequenti ondate di calore che hanno investito la penisola italiana dai centri urbani alle zone rurali, passando per coste e litorali. Negli ultimi anni il bacino del Mediterraneo ha guadagnato il triste primato di essere annoverato tra le aree in cui gli effetti del cambiamento climatico sono stati più tangibili.

Il crescente aumento delle temperature del mare non ha sorpreso solo turisti e bagnanti, che avrebbero preferito immergersi in acque più fresche e tonificanti, ma ha prodotto una serie di danni ambientali spesso irreversibili alla biodiversità marina, nelle sue componenti di flora e fauna. Le anomalie termiche non interessano solo le zone superficiali e poco profonde, ma raggiungono anche le fasce caratterizzate da una profondità di alcune decine di metri, in cui il riscaldamento delle acque sta mettendo a dura prova la sopravvivenza del ricco e variegato ecosistema circostante.

Per queste ragioni, da diversi anni sono stati avviati progetti guidati da gruppi eterogenei di ricercatori e volontari, impegnati nel monitoraggio di alcune aree di studio costiere, con l’obiettivo di raccogliere dati ambientali, microclimatici e di abbondanza della biodiversità, per misurare l’impatto dell’aumento delle temperature. I risultati dei monitoraggi riportano una serie di dati sconfortanti sulle condizioni in cui versano le nostre coste, i cui fondali risultano ogni anno più impoveriti non solo a causa del riscaldamento delle acque, ma anche dell’inquinamento, dalla pesca a strascico, delle estrazioni di minerali per fini industriali e del turismo di massa, che sempre più spesso tende a colonizzare ampie fasce costiere con imbarcazioni di varie dimensioni, le cui ancore contribuiscono a danneggiare la flora marina.

Tra gli organismi acquatici più colpiti e in constante diminuzione, oltre a numerose specie di coralli, c’è la Posidonia oceanica, una pianta endemica del Mar Mediterraneo, le cui praterie rappresentano vere e proprie nicchie ecologiche per alghe e pesci, oltre a svolgere le necessarie funzioni di ossigenazione e di protezione degli strati superficiali dei fondali dal fenomeno erosivo. Inoltre, alla riduzione della presenza di specie endemiche risulta collegata l’insorgenza di specie aliene termofile, adatte cioè alle crescenti temperature dei fondali, che proliferano abbondantemente causando un complessivo impoverimento della ricchezza specifica. Per questi motivi, alcuni progetti prevedono l’attuazione di interventi di ripristino della natura, operati per mano di ricercatori e volontari in tenuta subacquea, che consistono nella piantumazione di materiale vegetale recuperato dalle piante sradicate.

Ma il tema della riduzione della biodiversità e della parziale sostituzione delle specie autoctone con specie alloctone e termofile non si limita ai fondali marini, ma interessa anche le alture e le cime di numerose catene montuose in Italia e nel mondo. Anche in questo caso, i risultati dei progetti di monitoraggio in atto, tra i quali spicca il programma internazionale Global Observation Research Initiative in Alpine Environments (GLORIA), che da oltre venticinque anni raccoglie i dati di abbondanza della flora di alta quota, sostengono che le vette di molti sistemi montuosi sono soggette ad un fenomeno di graduale termofilizzazione della biodiversità vegetale. Questo consiste nella progressiva scomparsa delle specie microterme dalle cime montuose a causa dell’aumento delle temperature, e nell’inasprimento della competizione per la stessa nicchia ecologica con specie più rustiche e adatte a condizioni climatiche meno rigide.

Scorcio di montagna innevata presso la Valtellina
Immagine di Alessandro Campiotti

L’incessante colonizzazione delle vette da parte delle specie termofile sta producendo il paradossale effetto di aumentare l’abbondanza vegetale ad alta quota, a detrimento di quelle specie autoctone che, al pari delle praterie di Posidonia oceanica nei fondali marini, sono responsabili di numerose funzioni ecologiche e di equilibrio ambientale, che potrebbero venire alterate da una loro rapida sostituzione. Per tali ragioni, la prosecuzione delle azioni di monitoraggio resta una sfida all’ordine del giorno per la pianificazione di strategie volte a preservare le condizioni di salute della biodiversità sia in ambiente marino che montano.

Per approfondire:

Greenpeace, rapporto “Mare Caldo 2024”, https://www.greenpeace.org/italy/rapporto/28275/report-annuale-mare-caldo-2024/.

Lisa Angelini e Andreas Hilpold, Un possibile futuro di montagne verdi, e non è una buona notizia, le Scienze, settembre 2025, https://www.lescienze.it/sommari/2025/08/20/news/le_scienze_di_settembre_2025-19878445/.

Marco Gasparetti, «Missione Posidonia»: all’Isola del Giglio la rinascita dei fondali, Corriere della Sera, agosto 2025, https://www.corriere.it/buone-notizie/25_agosto_22/missione-posidonia-all-isola-del-giglio-la-rinascita-dei-fondali-584da04e-1bf1-43de-8691-e745afd37xlk.shtml.

Notte dei ricercatori 2025: un ponte tra scienza e società

Di Alessandro Campiotti


La ventesima edizione della Notte Europea della Ricerca ha riscosso un largo successo, coinvolgendo oltre un milione di persone nei diversi Stati europei.

Immagine di un Parco d’affaccio a Roma dove si svolgono lezioni all’aperto
Foto di Alessandro Campiotti

Venerdì 26 settembre è stata celebrata la Notte Europea dei Ricercatori, l’immancabile appuntamento annuale promosso dalla Commissione europea che dal 2005 favorisce l’incontro tra il mondo della ricerca e la cittadinanza, coinvolgendo oltre un milione di persone di ogni età e ambito professionale. Come ogni anno, centinaia di città in oltre venticinque Paesi europei hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa, mettendo a disposizione strutture museali, aule universitarie, campi sperimentali e laboratori di diversi istituti di ricerca.


Sono state organizzate attività divulgative di vario genere per informare i partecipanti circa le più recenti scoperte scientifiche e avvicinarli ad un settore considerato notoriamente complesso e appannaggio dei soli addetti ai lavori. Per queste ragioni, i programmi della serata sono stati farciti di eventi molto diversi tra loro per venire incontro ai gusti e agli interessi di ognuno. Ricercatori, studenti e volontari hanno contribuito all’organizzazione di giochi, laboratori, quiz, visite guidate, mostre, esposizioni, seminari e spettacoli, attingendo ad un ricco ventaglio di tematiche che vanno dai cambiamenti climatici all’innovazione tecnologica, dalle energie alternative alla salvaguardia della biodiversità, toccando le ultime frontiere che analizzano l’impatto dell’intelligenza artificiale generativa nella società.


I numerosi eventi promossi sono stati anche una preziosa occasione di dialogo tra gli scienziati e le giovani generazioni, che mostrano una crescente sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali, per esempio rendendosi disponibili a modificare alcune abitudini per ridurre gradualmente la loro impronta ecologica. Inoltre, i giovani partecipanti, accompagnati dalle proprie famiglie, hanno potuto porre a ricercatrici e ricercatori domande relative non solo agli argomenti trattati nel corso degli eventi, ma anche interrogativi, curiosità e consigli su come intraprendere una carriera nell’ambito della ricerca scientifica, a partire dalla scelta dei corsi universitari, che decine di migliaia di studenti dovranno formalizzare nelle prossime settimane.

Ma le ragioni dell’iniziativa non si limitano a diffondere la cultura scientifica solo durante la Notte della Ricerca, bensì si pongono l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini sui benefici concreti che le ricerca apporta nella vita di ognuno, cercando di coinvolgerli attivamente anche nel resto dell’anno in progetti di Citizen Science (CS). La Scienza dei Cittadini consiste in un approccio partecipativo alla ricerca scientifica basato sulla collaborazione tra scienziati e persone comuni, con lo scopo di contribuire ad accrescere il sapere di una certa questione, migliorando al contempo anche l’interesse, la conoscenza e la fiducia delle persone nei confronti della scienza. Tra le iniziative che riscontrano maggior successo figurano ogni anno le attività di monitoraggio e raccolta dati che prevedono il campionamento di specie vegetali o animali nei più variegati ecosistemi naturali e antropizzati, distribuiti tra l’ambiente terrestre, marino, collinare, costiero e urbano.

In questo modo, i partecipanti hanno l’occasione di vivere esperienze a contatto con la natura e in compagnia di altre persone altrettanto appassionate, imparando qualcosa in più grazie alle lezioni a cielo aperto tenute dagli esperti della materia. Questi ultimi, invece, hanno l’opportunità di testare direttamente la percezione e l’interesse che le persone nutrono nei confronti dei diversi ambiti della ricerca, con l’obiettivo di migliorare le strategie di trasmissione dei risultati tramite un’efficace divulgazione, sensibilizzando tanto i cittadini quanto i decisori politici.

Intelligenza artificiale: una rivoluzione inedita

Di Alessandro Campiotti

Il rapido sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale (AI) sta determinando la riorganizzazione dei processi produttivi ed energetici, oltre a mettere in discussione dinamiche lavorative consolidate. In questo contesto, gli Stati dovranno concepire nuove logiche per la gestione della risorsa energetica e del capitale umano.

Immagine generata con una piattaforma di AI

Dopo anni di sperimentazione, l’intelligenza artificiale (AI) è uscita fuori dai laboratori in cui ricercatori e ingegneri l’hanno ideata e testata, e ha spiccato il volo verso nuovi lidi, dove sta penetrando in forma sempre più capillare presso fasce della popolazione poco o per nulla legate al settore della ricerca tecnologica. Negli ultimi tre anni, infatti, sono state lanciate sul web una serie di piattaforme, come ChatGPT, Gemini, Claude, Meta AI, che grazie alla semplicità di utilizzo e alla gratuità del servizio, stanno diventando di uso comune non solo nei luoghi di lavoro, ma anche nelle case delle persone comuni, che si rivolgono all’assistente virtuale per avere una risposta alle tante domande quotidiane, come la risoluzione di dubbi legati a scadenze fiscali, sintomi di malattie, ricette culinarie e semplici curiosità. Ma non è tutto oro quel che luccica, infatti il rapido sviluppo dei sistemi di AI pone alla società numerosi interrogativi di ordine socioeconomico, industriale, ambientale ed etico legati rispettivamente al mondo del lavoro, all’approvvigionamento energetico e al ruolo che l’essere umano dovrà rivestire durante l’ennesima rivoluzione tecnologica in atto.

Per comprendere meglio l’impatto ambientale che contribuiamo a produrre ogni volta che diamo un comando alla nostra intelligenza artificiale “di fiducia”, Google ha recentemente pubblicato un articolo scientifico in cui vengono snocciolati i consumi in termini energetici, idrici e di emissioni di anidride carbonica in atmosfera. A questo proposito, i ricercatori hanno passato in rassegna il complesso di input necessari a sostenere il processo di funzionamento di Gemini, l’AI di Google, nei numerosi comparti della sua filiera produttiva, che comprende chip, processori, macchine di backup e data center. Dallo studio emerge che ogni richiesta testuale all’AI consuma 0,24 wattora (Wh), un importo paragonabile a quello di una televisione accesa per circa 9 secondi, e al contempo emette 0,03 grammi di CO2 equivalente e consuma approssimativamente cinque gocce di acqua, pari a 0,26 millilitri, per favorire il raffreddamento dei circuiti elettronici che si surriscaldano durante la continua elaborazione di dati.

Sebbene questi numeri possano sembrare poco rilevanti, va ricordato che l’analisi si limita a considerare la generazione di informazioni di testo, mentre la creazione di immagini, video e audio richiede una maggiore quantità di risorse. Per avere un’informazione più completa, i numeri citati andrebbero moltiplicati per le centinaia di milioni di utenti che quotidianamente rivolgono una media di circa dieci richieste all’assistente virtuale, il cui consumo di risorse energetiche ed idriche va ad aggiungersi a quello già esistente per le altre attività tecnologiche e digitali. Per queste ragioni, la lievitazione dei costi energetici comincia a preoccupare molti Stati, le cui infrastrutture elettriche risultano messe a dura prova dalla crescente richiesta di energia, per la quale potrebbero non bastare gli attuali livelli di produzione basati sulle fonti fossili e rinnovabili.

Diversi studi stimano che entro il 2030 l’intelligenza artificiale potrebbe raggiungere una tale capillarità presso la popolazione da richiedere alcuni punti percentuali dell’intero stock di energia globale per il suo funzionamento. In questo contesto, pertanto, la risorsa energetica assumerà sempre più un ruolo di carattere strategico rendendo più marcate le differenze geopolitiche tra Paesi esportatori e Paesi importatori, i quali dovranno intensificare l’impegno e gli investimenti in azioni di efficientamento energetico, partendo dal settore edilizio e residenziale per arrivare a quello industriale ed agricolo.

Ma il rapido sviluppo dell’AI pone seri interrogativi anche nel variegato mondo del lavoro, che si trova costretto a fare i conti con la crescente automazione di numerose mansioni, la rimodulazione dei processi industriali e la riorganizzazione delle logiche aziendali, che come ultima conseguenza hanno determinato l’avvio di una stagione di mancate sostituzioni del personale e nei casi più gravi di licenziamenti. A primo impatto si direbbe che la perdita di posti di lavoro sia il naturale costo di ogni rivoluzione industriale, tecnologica o digitale.

Tuttavia la trasformazione in atto presenta un elemento inedito rispetto al passato, in quanto non riguarda solamente le figure professionali meno qualificate o impegnate in funzioni manuali, ma coinvolge un vasto panorama di figure altamente specializzate, le cui competenze tecniche ed informatiche non bastano a reggere il passo dell’intelligenza artificiale. Come ogni crisi, ci auguriamo che anche questa rientri nei ranghi della gestibilità e che i ruoli professionali perduti si traducano presto in nuovi lavori, ma per affrontare questa sfida l’essere umano dovrebbe prima di tutto conoscere le dinamiche che regolano l’AI in relazione al proprio campo di competenza, e solo così potrà tornare protagonista della dimensione produttiva.

Per approfondire:

Corriere della Sera, Nove secondi di tv e 5 gocce d’acqua: ecco quanto costa fare una domanda a Gemini, 25/08/2025, https://www.corriere.it/tecnologia/25_agosto_25/nove-secondi-di-tv-e-5-gocce-d-acqua-ecco-quanto-costa-fare-una-domanda-a-gemini-2243075a-3a4b-4716-b564-6d43996b4xlk.shtml

Google, Measuring the environmental impact of delivering AI at Google Scale, 2025, https://services.google.com/fh/files/misc/measuring_the_environmental_impact_of_delivering_ai_at_google_scale.pdf

Il Sole 24 Ore, La richiesta di energia dell’IA e lo spettro della disuguaglianza, 17/09/2025, https://24plus.ilsole24ore.com/art/l-enorme-richiesta-energia-dell-ia-e-spettro-disuguaglianza-AHCr7MfC