Intelligenza artificiale: una rivoluzione inedita

Di Alessandro Campiotti

Il rapido sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale (AI) sta determinando la riorganizzazione dei processi produttivi ed energetici, oltre a mettere in discussione dinamiche lavorative consolidate. In questo contesto, gli Stati dovranno concepire nuove logiche per la gestione della risorsa energetica e del capitale umano.

Immagine generata con una piattaforma di AI

Dopo anni di sperimentazione, l’intelligenza artificiale (AI) è uscita fuori dai laboratori in cui ricercatori e ingegneri l’hanno ideata e testata, e ha spiccato il volo verso nuovi lidi, dove sta penetrando in forma sempre più capillare presso fasce della popolazione poco o per nulla legate al settore della ricerca tecnologica. Negli ultimi tre anni, infatti, sono state lanciate sul web una serie di piattaforme, come ChatGPT, Gemini, Claude, Meta AI, che grazie alla semplicità di utilizzo e alla gratuità del servizio, stanno diventando di uso comune non solo nei luoghi di lavoro, ma anche nelle case delle persone comuni, che si rivolgono all’assistente virtuale per avere una risposta alle tante domande quotidiane, come la risoluzione di dubbi legati a scadenze fiscali, sintomi di malattie, ricette culinarie e semplici curiosità. Ma non è tutto oro quel che luccica, infatti il rapido sviluppo dei sistemi di AI pone alla società numerosi interrogativi di ordine socioeconomico, industriale, ambientale ed etico legati rispettivamente al mondo del lavoro, all’approvvigionamento energetico e al ruolo che l’essere umano dovrà rivestire durante l’ennesima rivoluzione tecnologica in atto.

Per comprendere meglio l’impatto ambientale che contribuiamo a produrre ogni volta che diamo un comando alla nostra intelligenza artificiale “di fiducia”, Google ha recentemente pubblicato un articolo scientifico in cui vengono snocciolati i consumi in termini energetici, idrici e di emissioni di anidride carbonica in atmosfera. A questo proposito, i ricercatori hanno passato in rassegna il complesso di input necessari a sostenere il processo di funzionamento di Gemini, l’AI di Google, nei numerosi comparti della sua filiera produttiva, che comprende chip, processori, macchine di backup e data center. Dallo studio emerge che ogni richiesta testuale all’AI consuma 0,24 wattora (Wh), un importo paragonabile a quello di una televisione accesa per circa 9 secondi, e al contempo emette 0,03 grammi di CO2 equivalente e consuma approssimativamente cinque gocce di acqua, pari a 0,26 millilitri, per favorire il raffreddamento dei circuiti elettronici che si surriscaldano durante la continua elaborazione di dati.

Sebbene questi numeri possano sembrare poco rilevanti, va ricordato che l’analisi si limita a considerare la generazione di informazioni di testo, mentre la creazione di immagini, video e audio richiede una maggiore quantità di risorse. Per avere un’informazione più completa, i numeri citati andrebbero moltiplicati per le centinaia di milioni di utenti che quotidianamente rivolgono una media di circa dieci richieste all’assistente virtuale, il cui consumo di risorse energetiche ed idriche va ad aggiungersi a quello già esistente per le altre attività tecnologiche e digitali. Per queste ragioni, la lievitazione dei costi energetici comincia a preoccupare molti Stati, le cui infrastrutture elettriche risultano messe a dura prova dalla crescente richiesta di energia, per la quale potrebbero non bastare gli attuali livelli di produzione basati sulle fonti fossili e rinnovabili.

Diversi studi stimano che entro il 2030 l’intelligenza artificiale potrebbe raggiungere una tale capillarità presso la popolazione da richiedere alcuni punti percentuali dell’intero stock di energia globale per il suo funzionamento. In questo contesto, pertanto, la risorsa energetica assumerà sempre più un ruolo di carattere strategico rendendo più marcate le differenze geopolitiche tra Paesi esportatori e Paesi importatori, i quali dovranno intensificare l’impegno e gli investimenti in azioni di efficientamento energetico, partendo dal settore edilizio e residenziale per arrivare a quello industriale ed agricolo.

Ma il rapido sviluppo dell’AI pone seri interrogativi anche nel variegato mondo del lavoro, che si trova costretto a fare i conti con la crescente automazione di numerose mansioni, la rimodulazione dei processi industriali e la riorganizzazione delle logiche aziendali, che come ultima conseguenza hanno determinato l’avvio di una stagione di mancate sostituzioni del personale e nei casi più gravi di licenziamenti. A primo impatto si direbbe che la perdita di posti di lavoro sia il naturale costo di ogni rivoluzione industriale, tecnologica o digitale.

Tuttavia la trasformazione in atto presenta un elemento inedito rispetto al passato, in quanto non riguarda solamente le figure professionali meno qualificate o impegnate in funzioni manuali, ma coinvolge un vasto panorama di figure altamente specializzate, le cui competenze tecniche ed informatiche non bastano a reggere il passo dell’intelligenza artificiale. Come ogni crisi, ci auguriamo che anche questa rientri nei ranghi della gestibilità e che i ruoli professionali perduti si traducano presto in nuovi lavori, ma per affrontare questa sfida l’essere umano dovrebbe prima di tutto conoscere le dinamiche che regolano l’AI in relazione al proprio campo di competenza, e solo così potrà tornare protagonista della dimensione produttiva.

Per approfondire:

Corriere della Sera, Nove secondi di tv e 5 gocce d’acqua: ecco quanto costa fare una domanda a Gemini, 25/08/2025, https://www.corriere.it/tecnologia/25_agosto_25/nove-secondi-di-tv-e-5-gocce-d-acqua-ecco-quanto-costa-fare-una-domanda-a-gemini-2243075a-3a4b-4716-b564-6d43996b4xlk.shtml

Google, Measuring the environmental impact of delivering AI at Google Scale, 2025, https://services.google.com/fh/files/misc/measuring_the_environmental_impact_of_delivering_ai_at_google_scale.pdf

Il Sole 24 Ore, La richiesta di energia dell’IA e lo spettro della disuguaglianza, 17/09/2025, https://24plus.ilsole24ore.com/art/l-enorme-richiesta-energia-dell-ia-e-spettro-disuguaglianza-AHCr7MfC


L’IA che rende sicuro il verde urbano. Un progetto di ricerca di Prospettiva Terra, coordinato da Stefano Mancuso

Attraverso sensori capaci di registrare parametri chiave, come l’inclinazione del tronco e la frequenza naturale di oscillazione, Prospettiva Terra – progetto non profit coordinato dal prof. Stefano Mancuso – ha condotto uno studio per la realizzazione di un sistema di monitoraggio basato sull’intelligenza artificiale, che può valutare in tempo reale la salute degli alberi urbani, rilevandone anomalie e rischio di caduta.

I controlli degli esperti del verde pubblico restano essenziali per capire se un albero in città è potenzialmente pericoloso,, ma oggi arriva un sistema basato sull’intelligenza artificiale che può ridurre significativamente i rischi per i cittadini. Grazie a modelli di IA, è possibile sapere in tempo reale se un albero è in salute, come evolvono le sue condizioni, se emergono anomalie o se corre il rischio di cadere. Il sistema è stato sviluppato da PNAT con il supporto di Prospettiva Terra, progetto non profit coordinato dal professor Stefano Mancuso, che riunisce aziende, organizzazioni non profit, comunità scientifica e istituzioni per combattere il riscaldamento globale tramite la ricerca scientifica. Lo sviluppo è stato sostenuto da Henkel, Ricola, Omnicom Media Group e McDonald’s e realizzato in due anni in BAM – Biblioteca degli Alberi di Milano, progetto della Fondazione Riccardo Catella, dove sono stati installati sensori su 300 alberi. Hanno aderito inoltre all’iniziativa Acone Associati e Publitalia’80, come media partner. Da questi dati sono stati creati dei modelli di intelligenza artificiale, dedicati a interpretare aspetti diversi delle informazioni raccolte attraverso dei sensori che funzionano come una sorta di “sentinella” capace di lanciare un alert quando qualcosa non va. La messa a punto di questo progetto dimostra che è possibile monitorare in modo più efficace la stabilità degli alberi di grandi dimensioni in contesto urbano e prevedere eventuali cadute, contribuendo così a prevenire incidenti e a gestire con maggiore sicurezza il verde urbano, soprattutto in relazione ai rischi meteorologici.

«Una delle conseguenze del riscaldamento globale è l’aumento dell’intensità dei fenomeni atmosferici. Questi si manifestano in forme sempre più violente, sottoponendo gli alberi a stress meccanici cui non sono abituati e provocando, soprattutto in ambiente urbano, in condizioni di stabilità non sempre perfette, un numero crescente di cadute – afferma Stefano Mancuso, accademico e divulgatore scientifico – Poiché l’aumento di copertura arborea nelle città è la soluzione fondamentale e imprescindibile per combattere le cause e gli effetti del riscaldamento globale, è necessario immaginare dei sistemi di ausilio all’indagine umana, che avvisino della possibile diminuzione di stabilità di un albero».

PERCHÉ QUESTO PROGETTO

Gli alberi presenti nelle aree urbane svolgono un ruolo cruciale nel miglioramento della qualità dell’aria e nella regolazione del microclima urbano, oltre a fornire habitat per la biodiversità e spazi di benessere per i cittadini. Tuttavia, gli alberi in città devono affrontare numerose difficoltà: radici costrette in spazi ridotti, smog, potature talvolta aggressive, danni da traffico e cambiamenti climatici sempre più evidenti. Questi fattori, spesso invisibili a occhio nudo, mettono a rischio la salute e la stabilità degli alberi, aumentando il pericolo di crolli e rotture. Per questo motivo, è fondamentale un monitoraggio costante dello stato di salute delle alberature, attraverso metodologie di valutazione avanzate e strumenti di analisi scientifica. L’obiettivo non è solo prevenire il deterioramento fisiologicodegli alberi, ma anche intervenire tempestivamente per ridurre il rischio di caduta di rami o dell’intero esemplare, garantendo così la sicurezza delle persone ela salvaguardia del patrimonio verde cittadino.

 LA SOLUZIONE TECNOLOGICA

A questo scopo, Prospettiva Terra ha sostenuto lo sviluppo di un sistema tecnologico innovativo, ideato da PNAT, che integra sensori di nuova generazione e dispositivi IoT. Questa soluzione è pensata per supportare in modo pratico e intelligente i gestori del verde urbano e i tecnici valutatori della stabilità degli alberi. Il sensore consente un monitoraggio continuo dello stato degli esemplari arborei, affiancandosi agli strumenti di valutazione già esistenti e contribuendo a generare allerte in tempo reale nel caso in cui vengano rilevati segnali anomali che possono indicare problemi strutturali o di salute della pianta.

 COME VIENE UTILIZZATA L’IA

I sensori, autonomi dal punto di vista energetico, registrano costantemente alcuni parametri chiave come l’inclinazione del tronco e la frequenza naturale di oscillazione, dati utili per valutare in modo oggettivo la stabilità della pianta. Come delle “sentinelle”, sono in grado di lanciare un alert se qualcosa non va e riconoscere cambiamenti progressivi nello stato di stabilità e salute. Così, se un albero considerato sicuro comincia a mostrare segni di indebolimento, il dispositivo è in grado di rilevare il problema.

Nel corso della sperimentazione sugli alberi di BAM, tutti i dati raccolti sono stati trasmessi a una piattaforma basata su cloud, dove sono stati analizzati e caratterizzati. La sperimentazione non si è fermata qui. I ricercatori hanno sviluppato modelli predittivi basati sul machine learning, capaci di elaborare grandi volumi di dati, individuare pattern ricorrenti e migliorare nel tempo le proprie previsioni. Questo approccio ha permesso di costruire un sistema dinamico, in grado di apprendere e affinare la sua sensibilità man mano che aumentano le situazioni osservate. L’obiettivo non è sostituire le competenze degli esperti del verde urbano, ma offrire loro uno strumento di supporto, capace di fornire informazioni aggiornate, affidabili e facilmente leggibili. La soluzione permette di dare priorità agli interventi, ottimizzare le risorse disponibili e mantenere sotto controllo nel tempo quegli alberi che si trovano in condizioni più delicate o esposti a maggiori sollecitazioni ambientali.

 PROSSIMI OBIETTIVI

Conclusa la prima fase sperimentale, il passo successivo prevede l’applicazione del sistema a contesti più complessi, come viali alberati e grandi parchi cittadini con alberature adulte, per validare ulteriormente i modelli sviluppati e testare l’efficacia delle allerte generate in situazioni più dinamiche e potenzialmente critiche. In un momento storico in cui le città sono chiamate a diventare più resilienti, verdi e sicure, progetti come questo segnano una strada concreta verso un nuovo modello di gestione del verde urbano, in cui la cura degli alberi diventa parte integrante della progettazione del futuro.

Prospettiva Terra è un innovativo progetto non profit che unisce aziende, organizzazioni no profit, comunità scientifica e istituzioni nell’ambizioso obiettivo di contrastare il riscaldamento globale attraverso progetti di ricerca scientifica, innovazione e comunicazione. Per saperne di più www.prospettivaterra.com

Pnat (Project Nature) è una società multidisciplinare fondata nel 2014 come spin-off dell’Università di Firenze, che ha l’obiettivo di integrare le conoscenze sul mondo vegetale con la tecnologia ed il design, trasformando la ricerca in applicazioni concrete. Pnat esplora soluzioni che ottimizzano la gestione e l’utilizzo delle piante valorizzando la loro innata capacità di migliorare l’ambiente in cui viviamo.

Per maggiori informazioni:

Mariarosaria Di Cicco
m.dicicco@inc-comunicazione.it
+39 3402302008

Carbon dioxide removal (CDR): nuove tecniche di rimozione della CO2

Di Alessandro Campiotti

La corsa alla decarbonizzazione può contare su una serie di soluzioni innovative di rimozione netta della CO2 atmosferica che ne consentono lo stoccaggio permanente in depositi naturali o artificiali. Tuttavia, al momento risultano ancora troppo costose e manca una legislazione condivisa.

Veduta di un bosco presso la città di Granada (Spagna)
Foto di Alessandro Campiotti

Mancano solo cinque anni al 2030, anno in cui l’Unione europea (UE) dovrà fare un necessario bilancio degli obiettivi raggiunti in materia di sostenibilità ambientale dalle politiche attuate a partire dal Green Deal del 2019, passando per la Politica agricola comune (PAC) del 2023 fino alla Legge sul ripristino della natura approvata nel 2024. In questi anni gli Stati membri hanno dovuto affrontare – non senza difficoltà economiche e contrapposizioni sociali – la sfida di convertire le filiere produttive di settori strategici come industria, agricoltura, energia e trasporti secondo logiche più rispettose dell’ambiente e delle risorse naturali.

Tra i principali obiettivi che orientano il tortuoso cammino della transizione ecologica c’è la riduzione del 55% delle emissioni di gas climalteranti rispetto ai livelli del 1990 da raggiungere entro il 2030 e il conseguimento della neutralità climatica, ovvero l’azzeramento delle emissioni nette, entro il 2050. A questo proposito, le strategie di decarbonizzazione attuate fino ad ora sembrerebbero ottenere risultati decisamente inferiori rispetto agli ambiziosi obiettivi prefissati dalla Commissione europea, complice anche la drammatica situazione geopolitica che interessa gran parte del pianeta, che ha determinato importanti modifiche alla lista delle priorità degli Stati.

Nonostante ciò, il settore della ricerca non ha mai smesso di ideare e sperimentare nuove tecniche di sequestro attivo della CO2 atmosferica da affiancare ai metodi naturali di mitigazione che vedono come protagonisti piante, microrganismi, acque e minerali, conseguendo alcuni risultati di notevole interesse sotto il profilo scientifico, industriale e tecnologico. Si tratta di una serie di soluzioni innovative che prendono il nome di Carbon dioxide removal – CDR (rimozione dell’anidride carbonica) e che secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) possono essere definite tali se rispecchiano due principali criteri: rimuovere CO2 atmosferica e stoccarla in modo permanente all’interno di depositi naturali o artificiali.

Trattandosi di un settore ancora in via di sviluppo, la gran parte della CO2 viene attualmente rimossa tramite metodi di CDR convenzionali, quali tecniche agronomiche sostenibili, processi di rimboschimento e metodi di gestione forestale ed ecosistemica atti a massimizzare la rimozione di anidride carbonica e il suo stoccaggio sotto forma di carbonio negli organi vegetali delle piante e negli aggregati minerali del suolo. Allo stesso tempo, una quota parziale di CO2 proveniente da aria, acqua o scarti industriali, viene sequestrata per mezzo di tecniche di CDR innovative basate su processi chimici in grado di trasformare le molecole di anidride carbonica in una forma tale da essere stoccata all’interno di materiali commerciali come il biochar, il cemento e il calcestruzzo, oppure inglobate sotto forma di carbonati direttamente in formazioni geologiche stabili nel sottosuolo terrestre o marino.

Negli ultimi anni la ricerca in materia di azioni di CDR e il relativo sviluppo all’interno di impianti sperimentali è stata ampiamente finanziata negli Stati Uniti e in forma ridotta anche in Unione europea, dove sono attivi gruppi di ricerca di vari istituti, tra i quali in Italia spicca il CNR, impegnato nella sfida di rendere alcuni metodi sperimentali riproducibili a livello industriale. Tuttavia, come ogni processo in via di evoluzione, le soluzioni di CDR innovative sono ancora eccessivamente costose per risultare competitive rispetto a metodi di mitigazione climatica rodati come le energie rinnovabili, le tecniche di efficienza energetica e il complesso delle soluzioni di rimozione convenzionali.

Per queste ragioni, la diffusione di tecniche di CDR su una scala più ampia avrà bisogno del tempo necessario a far maturare una maggiore consapevolezza delle sue potenzialità presso l’opinione pubblica e i decisori politici. Questi avranno la responsabilità di definire un assetto legislativo e procedurale che incentivi la raccolta di finanziamenti da parte di quei settori industriali interessati alla decarbonizzazione delle loro filiere produttive, anche per cogliere le opportunità economico-finanziarie legate al crescente mercato dei crediti di carbonio.

Per approfondire:

European Commission: Nature Restoration Law – https://environment.ec.europa.eu/topics/nature-and-biodiversity/nature-restoration-law_en.

Net Zero, The state of carbon dioxide removal (2024), https://netzeroclimate.org/research/carbon-dioxide-removal/

Rudi Bressa, Rimozione obbligata e insidiosa, le Scienze, Agosto 2025, https://www.lescienze.it/archivio/articoli/2025/07/29/news/rimozione_obbligata_e_insidiosa-19712982/