Quel che resta della notte

Nicola Dall’Armellina

Quel che resta della notte

326 pagine libro in brossura

pubblicato 29 settembre 2024

Editore indipendente. Prezzo di copertina non presente

ISBN 9798340703132

Storia antica quella di Vò euganeo l’antica Vadum romana. Storia recente tragica e sconvolgente quella raccontata dall’autore. Siamo sui Colli Euganei famosi per l’origine vulcanica e per gli scorci paesaggistici incomparabili. Vo’ Vecchio è un piccolo centro che rappresenta uno dei più alti esempi di urbanistica organizzata sull’impianto di una villa veneta, Villa Contarini Venier, ora proprietà comunale. La Villa era casa estiva delle suore elisabettine e nel dicembre del 1943 fu individuta come struttura adatta per il confinamento di ebrei delle province di Padova e Rovigo. Ampi spazi, vicina a Padova sede di comandi dell’armata tedesca e ad Abano terme sede di un aeroporto. La direzione del campo, un vero e proprio campo di concentramento, era affidata a personale di polizia italiano, le suore si occupavano della gestione della cucina. Tra il dicembre del 43 e luglio del 44 nel campo sono transitati fino a 70 internati. Nell’estate del 1944 le sorti della guerra diventano sempre più incerte per l’esercito nazista e il 17 luglio i 47 ebrei presenti (uomini, donne e bambini) di cui l’autore cita l’elenco completo, vengono deportati con mezzi militari fino alla risiera di San Sabba. Il 31 luglio con treni merci appositamente sigilliati vengono avviati ad Auschwitz situato nelle vicinanze della cittadina polacca di Oświęcim. Alcuni componenti il gruppo muoino durante il viaggio gli altri nel campo di sterminio, fecero ritorno solo tre donne.

L’autore racconta, anche grazie alla memoria scritta dal parroco Giuseppe Rasia conservata nell’archivio parrocchiale, la vita da internati in questa struttura. L’autore prende spunto dalla storia di quattoro prigionieri, Lena ed Eitan, adolescenti che si prendono cura di due bambini, Esther e Gabriel e individuano una via di fuga per evitare la deportazione. Tutti sapevano che quel viaggio iniziato il 17 luglio con gli ordini drastici impartiti con urla e minacce, sarebbe finito in un campo senza ritorno. La protagonista femminile ha una rilevanza notevole perché, conoscendo bene la villa, trova un primo rifugio attraverso condotte d’aria utilizzate per il raffrescamento degli ambienti durante l’estate.

Il gruppetto sostenuto dal parroco riesce a sfuggire alle prime ricerche dei militari tedeschi, purtroppo però vengono individuati proprio in chiesa. Qui viene descritto l’atto più atroce e violento che costa la vita ad Eitan. Quanto avviene poi ai bambini e a Lena è un elemento di speranza nell’essere umano, infatti un capitano tedesco pilota di aviazione, si fa carico, superando lunghe peripezie, di portarli in salvo in Svizzera, partendo proprio dall’aeroporto di Abano. Il ruolo del parroco e di una giovane dottoressa della Croce Rossa tedesca è determinante per la riuscita della complessa e travagliata fuga verso la libertà.

L’autore mostra una notevole capacità descrittiva nel cogliere i diversi momenti della vita dei prigionieri nella struttura, il rapporto che si crea tra la protagonista Lena ed Eitan con il quale condivide un solo sogno: la libertà.

La villa, all’inizio degli anni ’50 diviene proprietà comunale adibita a luogo di cultura ma soprattutto luogo di memoria.

Questa memoria diventa oggetto di studio di due liceali desiderosi di conoscere la storia dei tre portati in salvo, esplorano i luoghi segnati dal conflitto e incontrano testimoni del passato.

Quasi un monito dell’autore: la memoria ci lega al passato ma soprattutto diventa un auspicio per un futuro di pace.

Figure storiche presenti nel testo: il capitano Willy Lembcke ricopre il ruolo di comandante di sicurezza dell’esercito nazista nella zona di Padova, accusato di crimini di guerra nei confronti di civili, muore prima del processo. Don Giuseppe Ravasi parroco di Vò sarà parroco fino al 1984, alle sue memorie scritte attinge l’autore nella ricostruzione storica del campo d’internamento nella Villa Contarini Venier. Il Capitano protagonista della fuga dei tre ragazzi si ispira alla figura di un ufficiale tedesco che aiutò centinaia di ebrei organizzando la loro fuga dalla Polonia. La dott.ssa della Croce rossa si ispira a una figura storica che curò gli ebrei a Birkenau rifiutandosi di eseguire gli ordini nazisti.

Alberta

Il «fantastico trasparente» di Dino Buzzati

di Giacomo De Fusco

Marsilio editore 2025
pp. 248
Collana Ricerche
€ 21,00
IBAN 9788829792597

Una personalità artistica poliedrica e poetica quella di Dino Buzzati. Di professione giornalista con un lunga carriera al Corriere della Sera di Milano, saggista, autore di romanzi e racconti, è stato anche drammaturgo, poeta, pittore, e persino creatore di fumetti. Come molti studi hanno evidenziato, la suggestione per il fantastico accomuna tutta la sua produzione, aleggia pure nei suoi pezzi giornalistici.
Giacomo De Fusco in questo volume che è frutto di tre anni di appassionata ricerca durante il suo dottorato all’Università Federico II di Napoli, fra le varie forme di scrittura di Buzzati si è dedicato alla narrativa breve, i romanzi, la produzione teatrale e la scrittura giornalistica. Il punto d’arrivo del suo studio è il concetto di vuoto che pur declinandosi in modi e forme diverse, è sempre presente nell’opera di Buzzati. Questo concetto è un approccio nuovo, non rilevato prima di lui dalla critica buzzatiana. De Fusco lo dispiega come un filo d’Arianna nel corpus complesso dell’autore, con una pluralità di approcci che tengono conto di diversi aspetti sia nell’analisi stilistica che in quella dei temi trattati.
Punti di partenza della ricerca sono l’attenzione di Buzzati per il paesaggio, ad esempio, e per il rapporto uomo e animale che è ricco, complesso e contraddittorio nella visione buzzatiana. Una ricerca ricca, appassionata, soprattutto dotta. Assenze, mancanze, attese, omissioni caratterizzano stilisticamente il vuoto cui si accompagna un particolare tipo di inquietudine (eerie) presente particolarmente nel rapporto uomo-animale. Il concetto di vuoto può essere letto come mancanza di senso e può avvicinare Buzzati all’esistenzialismo di Camus, ad esempio, dice De Fusco. Analizza i diversi volti che il vuoto può assumere a livello concettuale, cioè come può essere percepito da personaggi e lettori. Evidenzia la ricorrenza di una particolare costruzione, “struttura a pozzo”, la chiama, perché sembra che la trama ruoti attorno a un’assenza. Studia le particolarità stilistiche con cui questo concetto di vuoto viene realizzato: elisioni, silenzi, non detti, particolarità formali che hanno riscontro nei contenuti. Passa poi ad analizzare i diversi modi di vuoto in ambito teatrale, con l’analisi di aspetti verbali e scenici e studia anche lo spazio, che rappresenta il vuoto per eccellenza: “quel deserto che l’autore tanto amava”, perché nel deserto, dice Buzzati, si è sentito veramente felice, quella volta che si trovava in Africa.
Il fascino del deserto non è tanto legato alla presenza del vuoto in sé, quanto all’inquietudine, alla sensazione che qualcosa possa venire dal nulla da un momento all’altro. Però il vuoto risalta anche quando ci si aspetta che finalmente accada qualcosa e invece non succede niente. Alla fine del suo studio prettamente analitico sul vuoto in Buzzati, De Fusco propone per la sua poetica la definizione di “fantastico trasparente”. I fattori di trasparenza che analizza con minuziosità sono comuni alla mole più importante dell’opera buzzatiana, ma il testo che più di tutti sembra assommare i fattori di trasparenza elencati, è “Il deserto dei Tartari che “risulta essere un serbatoio quasi inesauribile tanto sul piano tematico quanto su quello stilistico”. Approfondita l’analisi di De Fusco a dimostrazione di questo.
In conclusione, il fantastico in Buzzati si rileva nelle sensazioni che provengono dai vuoti, dai silenzi, dalle attese di ciò che non c’è . È un fantastico di non detti, di assenze e di lacune, di un rivelarsi in filigrana, un «fantastico trasparente», come dal titolo.

Etta Artale

In Cammino – Viaggio nelle abbazie che raccontano il nostro futuro

In cammino
Viaggio nelle abbazie che raccontano il nostro futuro.

Livia Pomodoro

Marsilio editore

pp. 208, 1° ed. 2025

Gli specchi
Prezzo di copertina €18,00

IBAN 9788829792641

Il sottotitolo del testo incuriosisce il lettore abituato a pensare alle abbazie come scrigni che si aprono verso il passato raccontando vicende e realtà di tempi anche molto lontani.

Ma queste realtà sono “vive” attuali e, soprattutto, un motore di futuro. Livia Pomodoro ci accompagna, prendendoci per mano a riempire i nostri occhi e la nostra mente di speranza. Memoria e futuro si coniugano in questo viaggio al presente, si colgono orizzonti che aprono cuore e mente. Un cammino laico che prende avvio a Canterbury e il lettore diventa pellegrino che apprende un movimento lento. Si ferma con l’autrice e il suo accompagnatore Alberico per conoscere la storia ma anche il presente delle realtà monastiche. La capacità di apprezzare il silenzio e il lavoro. Quel lavoro che i monaci alternano alla preghiera e che fornisce il sostentamento alla comunità. Si conoscono realtà diverse, dai Benedettini ai cistercensi, per comprendere quanto è importante il contributo di queste comunità ma anche le loro particolarità.

Comunità era l’idea monastica con regole da rispettare, ma a partire dall’anno Mille, il Medioevo vive un periodo di crescita economica, demografica e culturale. Anche l’etica dei Cistercensi si adegua e il lavoro non è solo un intercalarsi alla preghiera ma diventa fonte di prodotti che si vendono e il ricavato viene investito per acquisto di terreni. La gestione degli stessi prevede un reticolo di aziende agricole messe in piedi in luoghi strappati alle paludi e reso adatto ai coltivi in tutte le stagioni.Tali aziende, le grange, in omaggio alla filosofia di Bernardo, sono funzionali e fanno parte del gruppo di insediamenti che circondano l’abbazia e coinvogono gli abitanti dell’area. Reti stradali, irrigue, poderi e strutture per la produzione agricola: le Grange cambiano il territorio. L’economia ne beneficia e le abbazie diventano gioielli architettonici, abbellite da vetrate colorate e pavimenti in pietra. Il medioevo non è più un periodo buio ma un momento storico di grandi cambiamenti e i monaci ne sono il motore.

Citiamo qualcuna delle XXII tappe toccate dall’autrice a iniziare dall’abbazia Benedettina di Santa Maria di Fulda in Germania (Assia) con una storia piena di vicissitudini a partire dalla guerra dei 30 anni fino all’esilio in Francia durante il periodo nazista. Le monache non hanno mai perso il culto della natura che si esprime anche attraverso la morigeratezza, “l’eccesso ci avvicina all’avidità, distrugge le relazioni interpersonali e la capacità di ascolatre” un messaggio che va colto e valorizzato soprattutto nella società attuale.

Passiamo per Morimondo, con la sua abbazia cistercense, in provincia di Milano, il suo nome è un ossimoro: morto al mondo, ma i monaci di Morimondo sono viventi tra i viventi e come nel Medioevo praticano le attività funzionali alla comunità monastica con il mulino, il forno, le stalle per l’allevamento e la foresteria per l’accoglienza dei pellegrini. La foresteria significava allora come ora accoglienza. Non solo, attualmente i terreni e le produzioni di Morimondo sono ecostenibili, il rispetto per la biodiversità è il modo per assicurare un futuro nella diversità. Dare valore alla terra rispettandola, ci fa pensare a sorella acqua e fratello sole non solo di San Francesco ma anche di papa Francesco.

Quanti messaggi più o meno espliciti può trovare il lettore che diventa pellegrino lento e attento, capace di ascolto e accoglienza, facendo proprio il messaggio di San Bernardo di Chiaravalle che nel nell’anno 1000 scriveva: ”gli alberi ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”. Grazie a questo cammino scopriamo modi alternativi di essere cittadini oggi. I monaci colgono la necessità di cambiare prospettive per salvguardare la biodiversità e il concetto di accoglienza. Cambiamento individuale che può e deve coinvolgere il cambiamento collettivo a partire da quanti hanno il potere economico, politico e di governo.

Livia Pomodoro , già presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, del Tribunale di Milano e dell’Accademia di Brera, è presidente e direttrice artistica dello Spazio Teatro No’hma. Dal 2018 è titolare della cattedra Unesco Food Systems for Sustainable Development and Social Inclusion presso l’Università Statale di Milano. Nel 2019 è stata designata dalla Diocesi di Milano referente per la tutela delle fragilità. Da anni coltiva e nutre l’eredità artistica della sorella Teresa, fondatrice del Teatro No’hma, alla cui memoria ha istituito un premio internazionale.

Alberta