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Conclusioni

 

L’importante risultato raggiunto, ovvero l’ottenimento di alcool dalla degradazione della fibra presente negli effluenti zootecnici e la crescita algale successiva sulle borlande di distillazione prodotte, è ancora migliorabile. I reflui zootecnici possono essere considerati validi nella produzione di bioetanolo, anche se i quantitativi di zuccheri fermentescibili sono minori rispetto a quelli di altre biomasse lignocellulosiche.

Riguardo alla produzione di bioetanolo, le rese di idrolisi dimostrano anche in questo studio come la de-cristallizzazione delle fibre sia, di fatto, lo step limitante dell’intero processo di produzione di etanolo da fibre lignocellulosiche (Chen et al., 2003; Galbe and Zacchi, 2002).

Un altro passaggio cardine dell’intero processo è quello della fermentazione degli zuccheri pentosi. Pichia stipitis mostra una ridotta efficienza nella trasformazione degli zuccheri pentosi in etanolo nei liquami, pertanto al fine di migliorare le rese fermentative verrà testato il ricorso a tecniche di immobilizzazione dei lieviti e all’utilizzo di altri microrganismi che siano in grado di fermentare gli zuccheri pentosi.

Rispetto alla crescita di microalghe, i risultati migliori sono stati ottenuti con diluizioni più elevate (1:50), in quanto il grado di penetrazione della luce è un fattore decisivo per l’intera dinamica del processo. Questo è sicuramente un aspetto molto importante per riuscire ad ipotizzare e studiare, in altri contesti, la possibilità di trasferire alla scala industriale questo tipo di processo.

La capacità di rimozione dei nutrienti, in particolar modo azoto ammoniacale, in seguito a processi di organicazione dello ione ammonio per la formazione di amminoacidi e quindi proteine, si attesta in media, nei tre campioni saggiati, attorno a valori prossimi al 90%, registrando comportamenti migliori nel caso della borlanda bovina.

A valle di questo step significativo, attraverso il quale si dimostra l’efficacia della soluzione adottata sia nella rimozione dei nutrienti, sia nella produzione di nuova biomassa, è importante sottolineare la necessità di un passaggio di separazione dal refluo e di una successiva ulteriore valorizzazione delle microalghe, ad esempio per l’estrazione di composti di interesse farmacologico e nutraceutico o per la produzione di bioenergia. La frazione liquida restante risulta depurata dalla componente ammoniacale e ha un tenore di azoto decisamente inferiore rispetto alla borlanda tal quale.

Dai dati emersi si giustifica la considerazione di questa soluzione tecnica per la gestione delle borlande residue, ottenute anche da filiere diverse rispetto a quelle della produzione di bioetanolo da reflui zootecnici. Ulteriori progetti e lavori potranno essere dedicati alla messa a punto di una filiera di produzione di masse microalgali integrata ad altre filiere di produzione di biocarburanti.

Analisi sperimentale della produzione massiva di microalghe: test con Chlorella vulgaris e Scenedesmus sp.

La possibilità di produrre biomassa microalgale valorizzando il contenuto in nutrienti delle borlande è stata testata analizzando la potenzialità di crescita di due specie diverse di microalghe sui tre campioni delle tre diverse filiere zootecniche.

Le microalghe sono specie ubiquitarie, in grado di adattarsi a diverse condizioni ambientali. Quando nei corpi idrici, luce e temperatura sono adeguate ed i nutrienti, specialmente azoto e fosforo, non limitanti, le microalghe possono crescere fino a raggiungere concentrazioni di centinaia di milioni di cellule per millilitro (Tredici, 2007). Se poste nelle corrette condizioni ambientali, quindi, queste quantità massive di biomassa possono essere potenzialmente utilizzate come alimento zootecnico, o come materia prima per la produzione di biocarburanti (Travieso et al., 2006). Dalla separazione/estrazione e successiva trasformazione della biomassa microalgale è possibile ottenere diversi prodotti, quali biocarburanti (bioetanolo, biodiesel, bioolio), prodotti farmaceutici, alimenti e mangimi. Attualmente la produzione di microalghe per fini energetici avviene in impianti pilota (in vasche da 10 m fino ad impianti da 2 ha), mentre la produzione di alghe da destinare ai settori di nicchia (alimenti salutistici e dietetici, prodotti farmaceutici, cosmetici) è pari a una decina di migliaia di tonnellate annue (Lagioia G. et al. 2011; Nigam PS., Singh A. 2010; Thurmond W. 2011).
Le alghe si sono rivelate interessanti grazie alla loro capacità di proliferare utilizzando varie forme di azoto inorganico come azoto ammoniacale, nitrico, nitroso e ossido nitrico (Olguin, 2003; Park et al., 2009; Park et al., 2010). Recentemente sono state studiate diverse ipotesi di processi di trattamento per la rimozione di nutrienti inorganici da diverse tipologie di reflui (Li et al., 2010; Park et al., 2010).

Nello specifico, rispetto ai processi di depurazione delle acque di scarico e dei reflui zootecnici, le alghe maggiormente impiegate sono Chlorella sp. e Scenedesmus sp. I ceppi microalgali utilizzati sono stati acquistati presso “Culture Collection of Algae and Protozoa – CCAP “http://www.ccap.ac.uk/index.htm”.

I due ceppi algali sono stati inizialmente coltivati utilizzando come terreno di coltura Proteose Peptone medium (MgSO4*7H2O 1g/l, K2HPO4 1g/l, KNO3 1g/l, Proteose Peptone 1g/l).

Dato il rischio di interferenza con i valori di densità ottica e le elevate concentrazioni di azoto ammoniacale, sono state fatte delle diluizioni sui campioni prima di sottoporli al trattamento con i 2 ceppi microalgali per ottenere un substrato con maggiore possibilità di penetrazione da parte della luce. Le diluizioni scelte sono 1:10 e 1:50. L’inoculo algale è stato aggiunto in concentrazione del 20% v/v ai campioni di borlande di distillazione così diluiti. Tutti i test sono stati effettuati alla scala di laboratorio con beute in borosilicato della capacità di 250 ml. Tutti i test sono stati condotti in batch, sottoposti ad un ciclo giorno-notte pari a 12:12, a temperatura ambiente, in agitazione continua e con aerazione naturale.

La cinetica del processo di crescita algale è stata monitorata valutando la variazione della densità ottica del campione contenente le alghe attraverso una misura spettrofotometrica effettuata a 530 nm di lunghezza d’onda correlabile con la velocità di crescita algale (μ). Un altro parametro correlato con la crescita algale è il pH; il processo fotosintetico porta infatti al consumo di carbonio organico (come HCO3-) e quindi all’accumulo di ioni idrossilici; l’aumento del pH è pertanto un buon indicatore della crescita microalgale (de Morais and Costa, 2007; Ji et al., 2012). Di seguito a titolo esemplificativo si riporta un grafico, che rappresenta la variazione della densità ottica e del pH nel corso del trattamento della borlanda di suino (diluizione 1:50), e le fotografie del medesimo test scattate al tempo iniziale, dopo 20 giorni di trattamento e al tempo finale (Figure 2a e 2b).

Figura 2a – Variazione della densità ottica e del pH nel corso del trattamento della borlanda di suino

 

Figura 2b – Variazione della densità ottica della borlanda di suino (diluizione 1:50) sottoposta a test, al tempo iniziale, dopo 20 giorni di trattamento e al tempo finale

Al termine del trattamento, il refluo è stato analizzato per valutare l’efficienza del processo di “rimozione” soprattutto dell’azoto ammoniacale, e la contestuale produzione di nuova biomassa, analizzando i contenuti in azoto totale, nitrico e nitroso, oltre alla domanda chimica di ossigeno, COD.

Tabella 5 – Concentrazione delle diverse specie chimiche dell’azoto e della domanda chimica d’ossigeno delle borlande avicole (pollina) dopo trattamento con Chlorella vulgaris e Scenedesmus sp

 

 

Azoto
totale

Azoto
ammoniacale

Azoto
nitrico

Azoto
nitroso

COD

Crescita
algale (μ)

mg/kg

mg/kg

mg/kg

mg/kg

mg/l

 

Borlanda bovino
tal quale

1200

650

<1

<1

27250

Borlanda bovino
(dil 1:10) + 20%
Chlorella vulgaris

7100

16

<1

<1

14250

0.84/giorno

Borlanda bovino
(dil 1:50) + 20%
Chlorella vulgaris

34500

40

100

<1

42750

1.89/giorno

Borlanda bovino
(dil 1:10) + 20%
Scenedesmus sp.

277

14

<1

<1

27750

0.09/giorno

Borlanda bovino
(dil 1:50) + 20%
Scenedesmus sp.

12309

165

<1

100

37000

0.15/giorno

Borlanda suino

tal quale

3300

720

<1

1.99

27000

Borlanda suino
(dil 1:10) + 20%
Chlorella vulgaris

13800

7

<1

<1

21250

<0

Borlanda suino
(dil 1:50) + 20%
Chlorella vulgaris

<25000

90

<1

<1

56750

1.72/giorno

Borlanda suino
(dil 1:10) + 20%
Scenedesmus sp.

3092

13

<1

<1

22000

<0

Borlanda suino
(dil 1:50) + 20%
Scenedesmus sp.

24824

200

<1

<1

41750

0.22/giorno

Borlanda avicoli
tal quale

5800

1050

<1

<1

51500

Borlanda avicoli
(dil 1:10) + 20%
Chlorella vulgaris

6400

22

<1

<1

36250

<0

Borlanda avicoli
(dil 1:50) + 20%
Chlorella vulgaris

NR

NR

<1

<1

69500

1.80/giorno

Borlanda avicoli
(dil 1:10) + 20%
Scenedesmus sp.

4115

7

<1

<1

36250

<0

Borlanda avicoli
(dil 1:50) + 20%
Scenedesmus sp.

38465

125

<1

<1

45250

0.019/giorno

I valori di crescita microalgale rapportati con i valori di pH monitorati durante l’intero processo aiutano a capire se vi è stata o meno proliferazione algale. I risultati migliori si ottengono con le diluizioni più elevate in cui si assiste ad una notevole proliferazione microalgale grazie alla maggiore penetrazione della luce e alla possibilità di effettuare i processi fotosintetici. Le microalghe sono pertanto in grado di organicare l’azoto ammoniacale ad azoto organico, utilizzato per la formazione di amminoacidi e proteine, e l’anidride carbonica. Tale condizione va riferita al tenore di sostanza organica (COD) e azoto totale; questi valori esprimono appunto la costruzione di nuova biomassa. 

 

 

 

 

 

Le borlande di distillazione

Le borlande, ottenute a valle del processo di distillazione del refluo fermentato, costituiscono lo scarto principale della filiera. Queste matrici hanno caratteristiche chimico – fisiche particolari, riassunte in tabella 4.

Tabella 4 – Caratterizzazione delle borlande utilizzate nelle prove sperimentali di produzione di biomassa microalgale

 

Borlanda
da Deiezioni Bovine

Borlanda
da Deiezioni Suine

Borlanda
da Deiezioni Avicole

COD

mg/l

27250

27000

51500

BOD 5

mg/kg

15867

33183

36483

Azoto totale

mg/kg

0.12

0.33

0.58

Azoto ammoniacale

mg/kg

650

720

1050

Azoto nitrico (come N)

mg/kg

<1

1.99

<1

Azoto nitroso (come N)

mg/kg

<1

<1

<1

pH

4.68

4.89

3.612

Cromo

mg/kg

0.316

0.316

1.27

Manganese

mg/kg

5.92

28.2

41.6

Ferro

mg/kg

24.5

56.2

56.4

Cobalto

mg/kg

0.032

0.076

0.219

Nichel

mg/kg

0.421

0.421

0.871

Rame

mg/kg

1.53

20.8

20.8

Zinco

mg/kg

7.94

42.2

40.4

Arsenico

mg/kg

0.013

0.016

0.02

Cadmio

mg/kg

<0.005

0.015

0.033

Stagno

mg/kg

0.02

0.033

0.027

Mercurio

mg/kg

<0.005

<0.005

<0.005

Piombo

mg/kg

0.026

0.047

0.064

 

Come si può evincere dalla tabella riportata, il contenuto di COD e BOD 5, parametri che esprimono il quantitativo di sostanza organica, sono diversi per le tre tipologie di campione, ma comunque molto elevati. L’azoto ammoniacale, come atteso, è molto alto con valori maggiori per le deiezioni avicole, rispetto a quelle suine e bovine.

In merito al contenuto di azoto, appare subito chiaro come la componente ammoniacale sia prevalente e maggiore rispetto alle concentrazioni medie delle diverse tipologie di refluo. I pretrattamenti di idrolisi e fermentazione di fatto non vanno ad incidere sulla concentrazione di azoto e non ne riducono la quantità. Il cambiamento principale che avviene in questi materiali è riconducibile alla variazione in termini di rapporto C/N e al grado di degradabilità della sostanza organica più complessa. Questi materiali quindi non possono essere considerati come stabili dal punto di vista biologico, ma ancora reattivi e con un buon potenziale in termini di nutrienti. 

Analisi sperimentale della produzione di bioetanolo: rese idrolitiche e fermentative

I campioni di pollina e di liquame suino sono stati diluiti (nella maggior parte dei casi 1:1 p/p) fino a raggiungere un quantitativo di sostanza secca del substrato pari al 7-12 %. Le deiezioni bovine, diluite nella stessa modalità, hanno raggiunto una concentrazione di sostanza secca compresa tra 30 g/l e 50 g/l, e hanno subito un trattamento di omogeneizzazione e triturazione per rendere il campione più uniforme, ma anche per favorire la sfibratura delle paglie e dei residui fibrosi contenuti nei reflui. A fronte delle scarse rese ottenute con la sola idrolisi enzimatica (7,34 % pollina broiler 1; 7,14 % pollina broiler 2; 7,35 pollina ovaiole) su un campione scelto è stata testata l’efficacia della preidrolisi acida.

Le sole idrolisi enzimatiche condotte su campioni di liquami suini hanno fatto registrare rese migliori rispetto ai campioni di altre tipologie zootecniche (18,36 % liquame suino 1; 20.93 % liquame suino 3), probabilmente a fronte di una diversa composizione dei reflui. L’efficacia della preidrolisi acida è stata testata solamente sul campione liquame suino 2, che non ha prodotto risultati soddisfacenti (8.36 %).

Per quanto riguarda invece gli effluenti bovini, la preidrolisi acida è ritenuta necessaria per riuscire a degradare le fibre più recalcitranti e ottenere buone rese idrolitiche complessive.

In generale, le rese idrolitiche non superano il 46 %, per la presenza di fibre molto recalcitranti, difficili da degradare.

Tabella 2 – Rese idrolitiche dei campioni dopo preidrolisi acida e successiva idrolisi enzimatica

 

Rese idrolitiche totali %

Letame vacche da latte

44.19

Liquame vacche da latte

35.76

Liquame Manze

46.01

Liquame vacche da latte SS

44.55

Pollina broiler 1

33.63

Liquame suino 2

27.47

 

In seguito alla fermentazione alcolica dei campioni, realizzata in co-fermentazione per riuscire a trasformare in alcool sia xilosio che glucosio, le rese fermentative si attestano attorno ad un 50 % circa della resa teorica. La motivazione probabilmente risiede nella difficoltà di crescita osservata nel lievito Pichia stipitis coinvolto nella fermentazione degli zuccheri pentosi, di fatto quindi non utilizzati (Bona et al., 2011). Discorso diverso va fatto in merito ai campioni suini, che hanno restituito valori di produzione di etanolo molto scarsi rispetto a tutti gli altri campioni considerati (Tabella 3).

Tabella 3 – Rese di fermentazione registrate nei campioni sottoposti a preidrolisi acida e successiva idrolisi enzimatica

 

Rese di fermentazione
%

Rese calcolate rispetto
alla resa teorica %

Letame vacche da latte

24.69

48.03

Liquame vacche da latte

30.35

59.05

Liquame Manze

22.15

43.09

Liquame vacche da latte SS

26.69

51.94

Pollina broiler 1

23.20

45.14

Liquame suino 2

0,95

1,84

 

Gli effluenti zootecnici nella filiera di produzione del bioetanolo

La composizione degli effluenti di allevamento varia moltissimo in funzione di specie, età, stato di salute e finalità produttiva dell’allevamento (carne, latte, lana, lavoro). Essi contengono differenti tipologie di molecole di interesse: polisaccaridi di riserva e strutturali, proteine e grassi.

Il più comune e importante utilizzo dei reflui zootecnici è legato alla distribuzione in campo per il mantenimento della fertilità dei suoli. Assai diffuso negli ultimi anni lo sfruttamento per la produzione di energia elettrica e calore attraverso il processo di digestione anaerobica. Più recente la loro comparsa nel settore dei biocarburanti: dal biogas infatti, si arriva al biometano utilizzando tecnologie già mature (www.biomaster-project.eu), mentre altre opzioni, come il bioetanolo, sono ancora oggetto di attività sperimentale.

Quest’ultimo approccio interessante ed innovativo si basa appunto sulla conversione delle fibre contenute nei reflui per la produzione di monosaccaridi attraverso l’idrolisi delle catene di glucosio e xilosio che compongono le fibre lignocellulosiche (Chen et al., 2004; Wen et al., 2005). L’idrolisi dei materiali lignocellulosici è stata molto studiata a partire dagli anni ’70 (Wen et al., 2004) e i due metodi maggiormente utilizzati sono idrolisi acida ed enzimatica (Sun and Cheng, 2002; Galbe and Zacchi, 2002 – 2007).

I risultati sperimentali ottenuti da alcune esperienze precedenti hanno dimostrato una produzione di glucosio pari a 11,32 g/100 g su campioni di deiezioni bovine, che corrisponde quindi circa ad un 40 % di conversione della fibra contenuta (Chen et al., 2003). I liquami/letami sono materiali fibrosi molto particolari e differiscono dalle altre matrici lignocellulosiche considerate per questo scopo, proprio per la presenza di elevate concentrazioni di azoto.

Pertanto, passaggio preliminare per considerare queste biomasse nella filiera di produzione di biocarburanti è quella della caratterizzazione preliminare e della verifica del contenuto in termini di fibra, ovvero cellulosa ed emicellulosa, macromolecole coinvolte nella liberazione di zuccheri riducenti attraverso reazioni idrolitiche specifiche (Tabella 1).

Tabella 1 – Caratterizzazione preliminare e dei carboidrati strutturali e di riserva coinvolti nella produzione di zuccheri fermentescibili. Non sono state trovate quantità significative di amido e ß-glucani sia nei campioni di deiezioni bovine che nei campioni di pollina

Campioni

SS
%

SV
% ss

Ceneri
% ss

Cellulosa
% ss

Emicellulosa
% ss

Lignina
% ss

Amido
% ss

β-glucani
% ss

Liquame
manze

11.90

87.80

12.20

14.40

16.10

13.10

Indet.

Indet.

Liquame
VdL

10.00

79.80

20.20

9.30

19.80

9.20

Indet.

Indet.

Letame
VdL

19.90

82.20

17.80

26.80

17.40

7.90

Indet.

Indet.

Liquame
VdL SS

21.10

91.10

8.90

28.30

22.10

14.80

Indet.

Indet.

Pollina
Broiler 1

65.00

80.60

19.40

18.6

17.7

3,70

Indet.

Indet.

Pollina
Broiler 2

58.00

89.00

11.00

47.4

21.4

4,60

Indet.

Indet.

Pollina
ovaiole

23.00

61.40

38.60

11.4

23.2

2.00

Indet.

Indet.

Liquame
suino 1

24.30

82.90

17.10

11.5

21.1

1.6

3.2

1.5

Liquame
suino 2

14.90

84.50

15.50

15.2

28.4

2.2

2.5

2.1

Liquame
suino 3

19.60

72.70

27.30

18.5

18.5

1.2

3.9

1.9

A fronte delle numerose prove sperimentali condotte, il trattamento di queste matrici per l’ottenimento di bioetanolo necessita di una serie di pretrattamenti di diluizione e omogeneizzazione a monte dell’intero processo, soprattutto per i campioni palabili. Successivamente è stata introdotta l’idrolisi enzimatica della durata totale di 70 ore, con enzimi commerciali α-amilasi e β-glucanasi, cellulasi ed emicellulasi utilizzati seguendo le specifiche fornite. Per migliorare le rese ottenute, sui campioni più promettenti è stata introdotta una preidrolisi acida (sono state condotte diverse prove con acido solforico a diverse concentrazioni, 2 – 5 %) sono stati suddivisi in bottiglie da 1000 ml e quindi portati in autoclave per 20 min a una temperatura di 121 °C. Dai dati emersi la concentrazione migliore scelta è del 3.5 % in rapporto 1:5 p/p (Bona et al., 2011).
La fermentazione alcolica si è realizzata grazie all’azione di Saccharomyces cerevisiae e Pichia stipitis (DSMZ e collezione NRRL), in co-fermentazione per produrre etanolo sia dagli zuccheri esosi, sia da quelli pentosi. Infatti le catene di cellulosa liberano, come monosaccaridi, zuccheri a sei atomi di carbonio, mentre l’emicellulosa libera zuccheri a cinque atomi di carbonio.

Il comparto zootecnico considerato: analisi territoriale della distribuzione di allevamenti bovini, suinicoli ed avicoli

Le aree rurali considerate per il campionamento degli effluenti zootecnici sono quelle del Friuli Venezia Giulia e del Trentino; in particolare liquami e letami bovini sono stati campionati e studiati in provincia di Trento, mentre pollìne e liquami suini sono stati campionati e studiati in provincia di Udine e Gorizia.

La tipologia produttiva prevalente in provincia di Trento è quella del bovino da latte con 1446 aziende (73%); 335 le stalle che allevano bovini da carne. La consistenza zootecnica è pari a 34.657 U.B.A. (unità bovino adulto) con un numero di capi pari a 44.942 unità. La produzione media di sostanza secca escreta risulta pari a 8,05 kg/capo al giorno, nelle zone ad elevata intensità zootecnica (28 l/giorno di latte e alimentazione ricca di insilati e concentrati) e 7,7 kg/capo al giorno per le realtà meno specializzate. Relativamente alla lettiera, sono stati considerati i consumi di 1 kg/giorno di paglia per vacca e 3 kg/giorno di paglia per capo da rimonta. La maggior parte delle stalle viene gestita a letame (circa 80%), mentre la restante parte a liquame (10%) o in modalità mista (10%); le stalle di maggiori dimensioni sono generalmente condotte a liquame. Il 56,5% delle vacche da latte viene alpeggiato, mentre la quota sale a 92,0% per le manze da rimonta. Negli allevamenti di bovini da ingrasso invece troviamo prevalentemente liquame su grigliato. Sono stati campionati il liquame delle manze da ingrasso (liquame manze), il letame delle vacche da latte (Letame VdL), il liquame delle vacche da latte (Liquame VdL), la frazione solida del liquame vacche da latte (Liquame VdL SS), ottenuta da separatore aziendale.

Gli allevamenti suinicoli hanno forte rilevanza nel comparto zootecnico del Friuli Venezia Giulia; la tendenza degli ultimi anni è quella della contrazione del numero di aziende a fronte però di un incremento della consistenza di capi per singola azienda. La presenza è di circa 225.321 capi per l’intera regione (Dati ISTAT 2007). La provincia maggiormente interessata dagli allevamenti suini risulta essere quella di Pordenone. Il patrimonio nazionale suino al 2010 mostra un totale di 9.324.000 capi, principalmente da ingrasso con quasi 5 milioni di capi, quindi il Friuli Venezia Giulia rappresenta il 2,42 % del patrimonio nazionale. I campioni considerati sono il liquame raccolto in allevamenti con pavimento totalmente fessurato (Liquame suino 1), in allevamenti con pavimento parzialmente fessurato (Liquame suino 2) e con allevamento a terra (Liquame suino 3).

Un’analisi dei dati Istat 2007 ha messo in luce che gli allevamenti avicoli in Friuli Venezia Giulia sono 332 (di cui 108 allevamenti di pollame da carne, 231 allevamenti di galline ovaiole, 77 allevamenti di altro pollame; in alcuni casi sono presenti più forme di allevamento nella stessa azienda, con conseguente sovrapposizione dei dati. Il numero totale di capi in regione è 5.234.581. In Italia in totale sono state censite 80.325 aziende avicole per un totale di oltre 150 milioni di capi. Sono state campionate tre matrici: pollina di ovaiole senza lettiera (Pollina ovaiole), pollina di broiler allevati su lettiera di paglia trinciata fine (Pollina broiler 1), pollina di broiler allevati su lettiera di segatura (Pollina broiler 2).

Il progetto ZOOTANOLO: produzione di bioetanolo e valorizzazione delle borlande di distillazione

Il progetto ZOOTANOLO “La produzione di bioetanolo come valorizzazione energetica innovativa dei reflui zootecnici”, co-finanziato dal Ministero italiano dell’Agricoltura (MiPAAF) della durata di tre anni, 2010 – 2013 è stato sviluppato dalla FEM (Fondazione Edmund Mach) in collaborazione con il CETA (Centro Ecologia Teorica ed Applicata) di Gorizia e con I’Istituto per lo Studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo (CRA) di Gorizia.

Il piano sperimentale ha comportato le seguenti attività: caratterizzazione delle diverse tipologie di effluenti, individuazione di specifici pretrattamenti chimici e meccanici, idrolisi enzimatica delle fibre di cellulosa ed emicellulosa, fermentazione alcolica dell’idrolizzato ottenuto da parte di lieviti e quindi distillazione.

La gestione della borlanda così ottenuta, in particolar modo dei nutrienti in eccesso in essa contenuti, è di interesse nella realizzazione di filiere sostenibili. Pertanto per realizzare da un lato il recupero/rimozione dell’azoto e dall’altro valorizzare questi scarti per la produzione di nuova biomassa, è stata testata la possibilità di ottenere buone rese in termini di crescita algale. La realizzazione di questa azione specifica nell’ambito del progetto Zootanolo è stata possibile grazie alla collaborazione con il Bioenergy Lab dell’Environment Park di Torino.

Sono oggetto degli ultimi mesi di attività le valutazioni economiche e ambientali per definire la sostenibilità della filiera sulla base delle evidenze tecniche raccolte durante la fase di sperimentazione.

Introduzione

Gli effluenti zootecnici rappresentano una risorsa interessante in quanto contengono ancora buone quantità di sostanza organica e nutrienti. Da sempre sono utilizzati in agricoltura per il ripristino ed il mantenimento della fertilità dei suoli e per l’apporto di nutrienti alle colture, anche se in certi contesti territoriali, caratterizzati da elevata intensità zootecnica, questa pratica agronomica può rappresentare un elemento di forte criticità per quanto riguarda l’insorgenza di problemi legati alla salvaguardia ambientale. Attualmente vengono ampiamente sfruttati anche in ambito energetico, attraverso processi di digestione anaerobica per la produzione di biogas (e quindi di energia).

Un approccio alternativo per la loro valorizzazione è legato all’idrolisi delle fibre lignocellulosiche, in particolar modo cellulosa ed emicellulosa, fonti di zuccheri fermentescibili, che possono essere successivamente impiegati nella produzione di etanolo o altri prodotti (Sun and Cheng, 2002; Chen et al., 2003).

Il ricorso al loro impiego nel settore delle rinnovabili nasce dall’esigenza di sostituire i carburanti fossili con una percentuale di biocarburanti pari al 10% (direttiva Clima Energia “20–20–20”) e dalla necessità di promuovere lo sviluppo di filiere agro energetiche sostenibili. Il recente decreto legislativo 3 marzo 2011 nr 28 fissa per l’Italia una quota minima di sostituzione degli attuali combustibili di origine fossile con biocarburanti, calcolata sulla base del tenore energetico, pari ad un 5% da conseguire entro il 2014. Inoltre, la Commissione Europea ha pubblicato lo scorso 17 ottobre 2012 una proposta di Direttiva volta a limitare, a livello mondiale, la conversione dei terreni per la produzione di biocarburanti e stimolare quindi lo sviluppo di biocarburanti alternativi, detti anche di seconda generazione, derivati da materie prime non alimentari.

Affinché la filiera di produzione di biocarburanti sia completa e possa assumere carattere virtuoso è molto importante l’approfondimento relativo alla gestione degli scarti di processo. In particolar modo è oggetto di studio la gestione dei nutrienti in eccesso, di cui sono molto ricche le deiezioni zootecniche, così come gli scarti di processo tipo digestati e borlande, in considerazione del fatto che, fermentazione alcolica e digestione anaerobica non modificano di fatto sostanzialmente i quantitativi di azoto e fosforo.

Una possibilità, attualmente ancora oggetto di sperimentazione, è quella della valorizzazione di queste matrici liquide per la produzione di microalghe, nuova biomassa potenzialmente utilizzabile in molti e diversi settori (agronomico, alimentare o nutraceutico, bioenergetico).

Nell’ambito del progetto ZOOTANOLO (grafico 1), il cui obiettivo principale è stato quello di verificare la possibilità di estendere l’utilizzo dei reflui zootecnici anche ad altri settori oltre a quello agronomico, come ad es. la produzione di biocarburanti alternativi (bioetanolo), si è testata anche la coltura di microalghe sui sottoprodotti di distillazione, con l’obiettivo principale di ridurre il contenuto di nutrienti delle borlande.

Grafico 1 – Filiera studiata

Parliamo di acqua