Il precario equilibrio geopolitico globale e il tentennamento dell’Unione europea sulle politiche green

Di Alessandro Campiotti

Nei giorni in cui il Brasile celebra la Cop30 sui cambiamenti climatici, l’Unione europea dovrebbe fare chiarezza sull’intenzione di proseguire la via della transizione energetica o di cambiare strategia. Da un lato adeguarsi alla retromarcia trumpiana sugli impegni ambientali, dall’altro rivedere l’impianto del Green Deal per renderlo più conveniente alle imprese.

Sede della Commissione europea a Bruxelles. Immagine di Alessandro Campiotti

Lo scorso 10 novembre la città brasiliana di Belem, nel cuore dell’Amazzonia, ha inaugurato i lavori della Cop30, trentesima Conferenza delle Parti indetta dalle Nazioni Unite per fare il punto sulle questioni di carattere sociale, economico e ambientale legate ai cambiamenti climatici. Quest’anno la Conferenza cade a dieci anni dalla Cop21 del 2015 ospitata a Parigi, dove i rappresentanti di centinaia di Paesi provenienti da tutto il mondo stipularono gli Accordi che hanno steso le basi per le politiche ambientali tuttora parzialmente in vigore a livello globale.

A dare uno scossone all’impianto normativo emerso dagli Accordi di Parigi ha cominciato subito dopo la sua elezione nel novembre del 2024 il Presidente americano Donald Trump che, per la prima volta nella trentennale storia delle Cop, quest’anno non ha inviato una delegazione ufficiale in rappresentanza degli USA. Ma la retromarcia trumpiana sugli impegni ambientali non resta un caso isolato, in quanto la presa di posizione del presidente americano, fortemente negazionista e dichiaratamente insofferente agli allarmi avanzati dal mondo scientifico, rischia di contagiare anche l’operato di molti altri governi finora impegnati nella transizione energetica.

Tra questi, l’Unione europea (UE), che in questi anni ha fatto del Green Deal un faro a cui guardare per tracciare il percorso delle politiche economiche, industriali ed ambientali degli Stati membri, si trova ad affrontare una complessa fase di indecisioni e ripensamenti. Complice anche la difficile situazione geopolitica globale, che ha contribuito a rompere alleanze decennali e a modificare rapporti di forza consolidati dal tempo e dalla storia, la Commissione europea guidata per la seconda volta dalla Presidente Ursula von der Leyen sembra avere attenuato l’impegno a sostegno dell’ambiente mostrato durante il primo mandato. Nell’ultimo anno, infatti, sono stati approvati alcuni pacchetti di semplificazione delle norme europee in materia di sostenibilità ambientale, che spesso si traducono per le aziende in proroghe sugli adempimenti e minori responsabilità in relazione a standard produttivi, gestione dei rifiuti, emissioni di CO2 e trasparenza fiscale.
Questi provvedimenti hanno avuto l’effetto di esentare circa il 90% degli operatori economici dal rispetto delle direttive sulla rendicontazione di sostenibilità e sulla due diligence aziendale, che restano valide solo per le grandi imprese. Allo stesso modo, è stata fortemente ridimensionata la platea delle società che dovranno limitare le importazioni di beni altamente energivori da Paesi extra-Ue per non incorrere nel pagamento della carbon tax, così come è stato prorogato di due anni l’obbligo di non importare in Ue alimenti prodotti su terreni deforestati dopo il 2020. Altre proroghe e rinvii hanno interessato il settore agricolo riguardo la mancata riduzione nell’uso di fitofarmaci, il comparto automobilistico in relazione al contenimento di emissioni di CO2secondo i limiti previsti e quello commerciale, che rimanda le sanzioni per le aziende che praticano greenwashing.
Questa parziale retromarcia nel perseguimento degli impegni ambientali ha condizionato di conseguenza anche il mercato finanziario, soprattutto negli Usa, dove i prodotti della categoria ESG (Environmental, Social, Governance), che investono sulle imprese che dimostrano di integrare criteri ambientali e sociali nelle strategie aziendali, risultano assai meno appetibili sul mercato rispetto agli anni precedenti, spesso sostituiti da prodotti finanziari legati alle industrie degli armamenti.
Tuttavia, sarebbe poco lungimirante programmare le politiche economiche e industriali del futuro senza tenere conto dei risultati positivi raggiunti nel trentennale percorso di transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile. Risultati tangibili sono stati conseguiti nel settore energetico con il boom delle rinnovabili, in quello industriale con l’applicazione di tecnologie a minore impatto ambientale e nell’economia circolare, con un importante aumento del recupero di rifiuti sotto forma di sottoprodotti e materie prime secondarie.

In questo contesto, la palla torna in mano alla politica, nazionale e internazionale, che dovrebbe ricordare che nessuna amministrazione democratica dura in eterno, e che piuttosto che rinnegare quanto di buono è stato fatto fino ad ora, bisognerebbe rivedere l’impianto legislativo delle politiche green in modo tale da renderle più convenienti per le imprese, intervenendo sullo sfoltimento della burocrazia e favorendo i soggetti più virtuosi con sgravi fiscali e accesso a finanziamenti agevolati.

Per approfondire:

https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/imprese-auto-e-clima-l-ue-sta-davvero-smantellando-il-green-deal/fd54685d-bb00-4c0c-b570-131d442fcxlk.shtml

https://www.corriere.it/opinioni/25_novembre_07/sostenibilita-ritorno-alle-origini-27978f5d-70ba-4b1c-b2cb-89bb7d69dxlk.shtmlhttps://www.rainews.it/maratona/2025/11/cop30-brasile-accordo-clima-riscaldamento-globale-lula-foresta-fondi-belem-f8320ad1-6eb7-4647-b6f8-6f937d3ac705.html

Ecomondo 2025 ospita gli Stati Generali della Green Economy


Di Alessandro Campiotti

Nella relazione di apertura ai lavori della due giorni di kermesse, Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ha sottolineato i punti di forza e le criticità della transizione verde, mettendo in guardia l’Unione europea dalla retromarcia trumpiana sugli impegni ambientali e dall’accelerazione cinese sul settore delle tecnologie green.

Fiera di Rimini – Ecomondo media kit

Lo scorso 6 novembre si è conclusa la 28° edizione di Ecomondo, l’evento internazionale organizzato presso la Fiera di Rimini che ogni anno pone l’attenzione sulle frontiere della green, blue and circular economy, nonché sullo stato di raggiungimento degli obiettivi posti dalla transizione ecologica. Quest’anno l’evento ha registrato un incremento del 7% delle presenze, vedendo la partecipazione di 1700 espositori, oltre 600 giornalisti e decine di esponenti del panorama politico, industriale, scientifico e delle imprese, che hanno avuto l’occasione di incontrarsi e confrontarsi sulle strategie di sviluppo della politica ambientale europea.

Un ricco e articolato programma ha orientato lo svolgimento della kermesse con l’obiettivo di intercettare l’interesse del maggior numero di partecipanti, spaziando dalle nuove tecnologie allo stato di salute della biodiversità, dall’economia circolare al ruolo del settore assicurativo nella crisi climatica, dai nuovi modelli di governance ambientale alla finanza verde. Nell’ambito dell’evento si è svolta anche la 14° edizione degli Stati Generali della green economy, organizzata dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, il Ministero delle Imprese e promossa dal Consiglio Nazionale della Green Economy.

L’onore e l’onere di aprire i lavori della due giorni sono spettati come di consueto ad Edo Ronchi, già ministro dell’ambiente e attualmente presidente della Fondazione, che con il suo intervento introduttivo ha illustrato ad una folta platea la Relazione sullo Stato della Green Economy 2025. Ronchi ha esordito descrivendo i risultati positivi raggiunti dalle politiche ambientali messe in campo dall’Unione europea (Ue) negli ultimi decenni, come il taglio del 37% delle emissioni di gas serra rispetto al 1990, l’incremento delle energie rinnovabili, che nel 2024 hanno prodotto il 47% dell’elettricità e il maggiore livello di circolarità delle risorse, senza tuttavia tralasciare gli aspetti più critici e controversi che sono emersi negli ultimi anni.

Poi, alzando gli occhi sul panorama internazionale, Ronchi ha messo in guardia l’Unione europea rispetto a due fronti che potrebbero mettere in discussione il percorso del continente verso un modello di sviluppo più sostenibile, che ad oggi sono rappresentati dalla retromarcia trumpiana sugli impegni ambientali e dall’accelerazione cinese sul settore delle tecnologie verdi. Sul fronte occidentale, gli USA rappresentano la prima potenza mondiale per produzione di energia da fonti fossili come gas e petrolio, che consumano ad un livello doppio rispetto all’Ue, nonostante abbiano oltre 100 milioni di abitanti in meno. La retromarcia dettata dall’amministrazione guidata da Trump rispetto agli impegni sottoscritti dal predecessore Biden in materia di salvaguardia della natura e mitigazione della crisi climatica, rischia non solo di minare le sfide ambientali, ma di determinare un effetto emulazione da parte di alcuni Stati europei.

Sul fronte orientale, invece, la Cina dimostra una condotta ambivalente, infatti da un lato è il primo emettitore di gas serra a livello mondiale, dall’altro detiene il primato sullo sviluppo di tecnologie green, mettendo a dura prova la concorrenza europea. In questo contesto, ha ammonito Ronchi, l’Ue dovrebbe proseguire il cammino tracciato dal Green Deal, correggendo gli elementi di maggiore criticità, ma senza rinnegarlo complessivamente, per evitare di accumulare ulteriori ritardi nel raggiungimento degli obiettivi e scongiurare il rischio che il costo economico, sociale e ambientale della crisi climatica sia superiore agli investimenti in prevenzione e adattamento.

È stata poi ribadita la necessità di tutelare il capitale naturale, in quanto da questo dipende la fornitura di servizi ecosistemici, come la produzione di cibo, la rigenerazione delle risorse naturali e la regolazione dei cicli biogeochimici, che sono strettamente legati allo sviluppo economico del continente. Lo sguardo si è quindi spostato sul ruolo cruciale giocato dalle città nel processo di transizione verde, e sull’impegno che queste dovranno mantenere per gestire i numerosi interventi finanziati con i fondi del PNRR nel periodo successivo al giugno 2026, mese che decreterà la fine del copioso piano di finanziamenti.

La Relazione si è quindi conclusa con un appello a quella “maggioranza silenziosa” di cittadini europei che secondo i più recenti sondaggi condotti da Eurobarometro si dichiarano favorevoli ad una transizione verso un modello di sviluppo più rispettoso della natura, e tra questi l’85% ritiene il cambiamento climatico un problema serio mentre il 77% concorda sul fatto che intervenire in azioni di mitigazione e adattamento sia economicamente più vantaggioso rispetto che agire a seguito di eventi estremi.

Per approfondire:

Stati Generali della Green Economy 2025, i documenti della quattordicesima edizione, https://www.statigenerali.org/documenti/.

Comunicato stampa conclusivo di Ecomondo 2025, https://www.ecomondo.com/it/dettaglio-comunicato/nota%20stampa%20conclusiva%0A%0AGRANDE%20ECOMONDO!%0ANELL%E2%80%99EDIZIONE%202025%20+%207%25%20DI%20PRESENZE%20TOTALI.%0ASALGONO%20DEL%2010%25%20QUELLE%20ESTERE.%0AL%E2%80%99HUB%20DELLA%20TRANSIZIONE%20ECOLOGICA%20%C3%88%20SEMPRE%20PI%C3%99%20GLOBALE%0A?pressId=5010267.

Foto d’intestazione: Ecomondo media kit – https://www.ecomondo.com/media-room/download-loghi-immagini-e-foto

Stati Generali del Verde: Roma fa il punto sulla situazione del capitale naturale urbano

Di Alessandro Campiotti

I lavori degli Stati Generali del Verde hanno consentito all’Amministrazione capitolina di fare un bilancio dei risultati delle politiche ambientali attuate negli ultimi anni. L’evento ha favorito il dialogo tra attori istituzionali, mondo della ricerca, ordini professionali e cittadinanza.

“Roma punta ad avere un milione di nuovi alberi entro il 2026”, ha annunciato il sindaco della Capitale Roberto Gualtieri in occasione degli Stati Generali del Verde, ospitati lo scorso 24 ottobre presso la storica Sala della Protomoteca del Campidoglio. L’evento è stato promosso dall’Assessorato all’agricoltura e ambiente e ha visto la collaborazione di soggetti istituzionali come la Città Metropolitana e il Comando dei Carabinieri Forestali (CUFAA), di istituti di ricerca come il CREA e il CIRBISES e degli Ordini professionali del settore, come quello dei dottori agronomi e forestali (ODAF) e degli agrotecnici.

La giornata è stata scandita da una serie di panel che hanno toccato le diverse questioni che riguardano il verde pubblico, spaziando dalla gestione del capitale naturale di Roma, con i suoi parchi fluviali e le sue ville storiche, al confronto con i principali Comuni italiani sulle scelte intraprese negli ultimi anni in merito alla pianificazione delle aree verdi urbane e alla manutenzione del patrimonio arboreo. I lavori degli Stati Generali del Verde sono stati l’occasione per ribadire il ruolo strategico svolto dalle piante nelle nostre città riguardo l’erogazione di servizi ecosistemici, come il raffrescamento dell’aria e la mitigazione dell’effetto “isola di calore” nel periodo estivo, la migliore regimazione delle acque meteoriche, la fito-depurazione dell’aria dagli inquinanti atmosferici e la salvaguardia della biodiversità.

L’Amministrazione capitolina ha quindi illustrato i punti principali del Piano del Verde e della Natura, approvato dalla Giunta comunale alla fine dell’estate, annunciando un ambizioso progetto di riforestazione urbana finanziato con i fondi del PNRR, che prevede la piantumazione di un milione di nuovi alberi entro il 2026 nel territorio dell’area metropolitana, di cui circa 800.000 solo a Roma, distribuiti su decine di nuovi impianti boschivi. Negli ultimi mesi sono stati inaugurati e messi a disposizione della cittadinanza cinque parchi d’affaccio lungo gli argini del fiume Tevere, dal centro storico fino ad Ostia Antica, che hanno previsto una serie di azioni di bonifica e riqualificazione ecologica delle sponde fluviali, dove sono state piantumate specie erbacee e arboree autoctone e realizzate passerelle eco-compatibili in legno di larice, concepite per le più diverse funzioni: dal passeggio allo sport, dal relax alla didattica all’aperto. È prevista invece per il 30 ottobre la riapertura di Villa Glori, uno storico parco nel cuore del quartiere Parioli, che è stato oggetto di interventi di rimozione delle superfici impermeabili e successivo ripristino del suolo drenante, tale da consentire la messa a dimora di nuovi pini in sostituzione di quelli persi a causa di patologie, eventi atmosferici estremi e scarsa manutenzione.

Ma l’evento è stato anche teatro di un dialogo costruttivo tra istituzioni, mondo della ricerca, ordini professionali e cittadini, i quali hanno avuto l’opportunità di porre domande e curiosità agli esperti del settore in merito alle politiche ambientali e alle decisioni urbanistiche che orienteranno i prossimi passi delle amministrazioni a livello nazionale e locale, da nord a sud della penisola. A questo proposito, sono state prese ad esempio alcune delle principali capitali europee, come Parigi o Berlino, Vienna o Madrid, in cui le strategie di pianificazione del verde pubblico sono il frutto di un articolato lavoro di sintesi tra numerosi fattori in gioco, che vanno dagli aspetti agronomici e botanici a quelli logistici e di viabilità, passando per i costi finanziari e il consenso politico.

Come ha spiegato Francesco Ferrini, ordinario di arboricoltura presso l’Università di Firenze, ogni proposta dovrebbe partire da un’attenta analisi preliminare del luogo di intervento, in cui valutare le condizioni di salute delle specie arboree presenti in relazione alla stabilità degli apparati radicali e dei fusti e all’assenza di stress abiotici e biotici, come la carenza idrica e le fitopatologie. Successivamente, andrebbero considerati i benefici prodotti dagli alberi in termini di servizi ecosistemici, così come gli eventuali disservizi che potrebbero impattare la sicurezza di pedoni e ciclisti o interagire negativamente con la viabilità stradale. Sulla base dei dati raccolti, sarà possibile decidere se intervenire in modo conservativo, sostituendo singole piante, o in blocco, rinnovando completamente la dotazione arborea di una via secondo un progetto che sia innovativo dal punto di vista tecnologico, ma che possa essere al contempo accolto dalle persone come un elemento migliorativo del luogo in cui vivono.