L’accordo con il Mercosur e le tensioni europee

Di Alessandro Campiotti

Gli accordi commerciali tra Ue e Mercosur e il probabile depotenziamento della PAC 2028-2034 hanno causato molti disaccordi tra gli Stati europei. In risposta, migliaia di agricoltori sono scesi in piazza a Bruxelles per protestare contro le riforme in discussione, mentre in Italia la questione divide Confindustria e Coldiretti.


Sede della Commissione europea a Bruxelles
Immagine di Alessandro Campiotti

Dopo giorni di trattative, la mancanza di un consenso unanime tra i Paesi europei e le accese proteste degli agricoltori per le vie di Bruxelles, hanno indotto il Consiglio Europeo a rimandare la firma degli accordi commerciali tra l’Unione europea ed il Mercosur, l’organizzazione economica sudamericana di cui fanno parte Paesi come Brasile, Argentina, Bolivia, Paraguay e Uruguay. Il Mercosur, acronimo di Mercato Comune del Sud, è stato istituito nel 1991 con l’obiettivo di creare un mercato comune e favorire gli scambi commerciali e l’integrazione economica degli stati sudamericani. Nel dicembre 2024, dopo anni di negoziati, l’Ue ed il Mercosur hanno firmato un accordo di libero scambio con l’ambizione di favorire il commercio tra le due aree del pianeta, potendo contare su una platea di oltre 700 milioni di consumatori e su un PIL potenziale di 20 trilioni di dollari.

L’entrata in vigore dell’accordo prevede il voto favorevole del Consiglio Europeo, l’organo collettivo che negli scorsi giorni ha riunito a Bruxelles i rappresentanti dei 27 Stati membri dell’Ue per raggiungere un’intesa e porre definitivamente la firma sul trattato internazionale. Tuttavia, il fronte europeo, inizialmente compatto, ha mostrato segni di cedimento dovuti alla frattura aperta da un gruppo di Stati, capitanati dalla Francia, che comprende Italia, Polonia, Belgio, Austria e Irlanda, che hanno avanzato non poche riserve e perplessità in merito all’immediata sottoscrizione dell’accordo, chiedendo altro tempo per ridiscutere una serie di punti ancora controversi.

In primis, l’eliminazione dei dazi doganali, che da un lato favorirebbe l’Ue a collocare sul mercato sudamericano un paniere di beni che vanno dall’abbigliamento all’automotive, dall’altro lato incentiverebbe l’immissione sul mercato europeo di prodotti agroalimentari che seguono disciplinari di produzioni decisamente meno restrittivi di quelli vigenti nei Paesi europei, con il rischio di determinare condizioni di concorrenza sleale. Questo timore, reso ancora più allarmante dalla riforma che prevede il depotenziamento finanziario della prossima Politica agricola comune (PAC) 2028-2034, ha indotto le associazioni di categoria che rappresentano il mondo agricolo a scendere in piazza per protestare contro la duplice minaccia che potrebbe scaturire dalle scelte europee.

Per queste ragioni, il 18 dicembre, giorno di convocazione del vertice europeo, circa ottomila operatori del comparto agricolo hanno bloccato le strade che circondano il quartier generale della Commissione europea, marciando in sella a centinaia di trattori, appiccando fuochi per le strade e lanciando ortaggi e petardi contro gli edifici istituzionali. La polizia ha risposto alla protesta con misure di sicurezza e blocchi del traffico volti a contenere i disagi provocati dalla mobilitazione, ricorrendo anche all’uso di idranti e al lancio di fumogeni per allontanare i manifestanti più agguerriti. Al contempo, le numerose associazioni di categoria promotrici dell’iniziativa hanno reclamato a gran voce maggiori garanzie finanziarie e commerciali per agricoltori e allevatori europei, chiedendo che la prossima PAC mantenga il tradizionale impianto basato sui due pilastri, rispettivamente a sostegno dei pagamenti diretti al settore agricolo e del finanziamento delle politiche di sviluppo rurale.

Sul fronte italiano, la questione degli accordi con il Mercosur vede su due poli opposti anche le principali associazioni in rappresentanza del mondo industriale e agricolo: Confindustria e Coldiretti. Da un lato, Confindustria considera il trattato con i Paesi sudamericani come un’occasione strategica per determinare un aumento delle esportazioni europee di 50 miliardi di euro tra manifattura, meccanica, automotive e componentistica, con un vantaggio per l’Italia di circa 14 miliardi. Sul polo opposto, invece, Coldiretti sostiene che l’accordo di libero scambio potrebbe rivelarsi un boomerang per il comparto agroalimentare italiano, e pone la condizione che i Paesi del Mercosur adeguino i loro standard produttivi a quelli europei prima di avviare qualunque forma di importazione verso il Vecchio Continente.

La disputa iniziata in sede europea ha contagiato le singole nazioni, che in queste settimane dovranno trovare una quadra sulla gestione dello spinoso dossier in attesa della prossima convocazione del Consiglio Europeo. Appuntamento al 12 gennaio 2026.

Per approfondire:

https://www.assolombarda.it/servizi/internazionalizzazione/informazioni/accordo-ue-mercosur-opportunita-per-le-imprese-italiane.

https://www.ilpost.it/2025/12/18/proteste-argicoltori-bruxelles-accordo-unione-europea-mercosur/.

https://www.rainews.it/video/2025/12/bruxelles-la-piazza-davanti-al-parlamento-ue-e-come-un-campo-di-battaglia-310e56a3-f816-43a8-a3fd-c3b352d798c5.html.

Ruoli e potenzialità della cucina italiana, patrimonio Unesco dell’umanità

Di Alessandro Campiotti

Il prestigioso riconoscimento alla cucina italiana è stato accolto con grande estusiasmo da istituzioni e associazioni di categoria, che ora dovranno proseguire l’impegno per valorizzare i prodotti italiani, tutelarli dalle frodi e incrementare il turismo enogastronomico.

Foto di Alessandro Campiotti

Eccellenza, creatività, territorialità e tradizione, sono solo alcune delle peculiarità che caratterizzano la cucina italiana, recentemente dichiarata dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità. La votazione si è tenuta a New Delhi da parte delle 24 nazioni che costituiscono il Comitato intergovernativo dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite responsabile di promuovere a livello internazionale l’educazione, la scienza e la cultura. Le ragioni che hanno condotto a questo successo sono numerose e tratteggiano il profilo della tradizione culinaria italiana come una perfetta combinazione di amore per il cibo, rispetto per gli ingredienti, ricette anti spreco, convivialità a tavola, maestria e trasmissione di sapori tra generazioni.

Questo risconoscimento è il frutto di una lunga e articolata attività di diplomazia condotta dal governo italiano con il supporto di alcuni partner promotori come l’Accademia Italiana di Cucina, la Fondazione Casa Artusi e la rivista La Cucina Italiana, che nel marzo del 2023 lanciarono la candidatura dell’Italia a competere per il prestigioso concorso. Rispetto ai traguardi raggiunti in passato dalla gastronomia italiana, la novità di quest’anno è che il riconoscimento non è stato attribuito ad un singolo prodotto o ad una specifica ricetta, ma alla cucina italiana nel suo complesso, come modello culturale e sociale.

Negli ultimi anni, infatti, l’Unesco ha premiato diversi aspetti e peculiarità appartenenti al patrimonio culinario di stati come Francia, Messico e Giappone, ma in nessun caso è stata considerata la loro intera tradizione culinaria. La Francia, per esempio, nel 2010 ha visto riconosciuto il suo pasto gastronomico come un’esperienza rituale in grado di celebrare la convivialità attraverso una serie di portate che prevedono aperitivo, entrée, piatto principale, formaggio/dolce e digestivo. Nello stesso anno, la cucina messicana è stata premiata per la sua ricchezza nutrizionale, mentre tre anni dopo, nel 2013, è stato il turno del Washoku, pasto tradizionale giapponese, di cui sono stati elogiati l’armonia tra i sapori e la freschezza degli ingredienti di stagione.

La notizia di questi giorni è stata accolta con grande soddisfazione dalle istituzioni italiane e da tutte le associazioni di categoria in rappresentanza del settore agroalimentare, che hanno sottolineato la rilevanza strategica di una filiera che tra agricoltura, trasformazione, distribuzione e ristorazione occupa circa quattro milioni di persone, producendo un valore economico complessivo di 600 miliardi di euro. Allo stesso tempo, i numeri dell’export agroalimentare sono in controtendenza rispetto ad altri settori in crisi, risultando in costante crescita con un valore di oltre 70 miliardi di euro nel 2024, che ha determinato un surplus di 2,8 miliardi nella bilancia commerciale tra le esportazioni e le importazioni.

Per queste ragioni, istituzioni e associazioni lanciano la sfida di sfruttare il riconoscimento Unesco come un volano per potenziare la valorizzazione dei prodotti italiani e per limitare i fenomeni imitativi che sfruttano nomi e immagini tipiche della tradizione italiana per commercializzare prodotti non autentici a prezzi più elevati. Questa usanza, che prende il nome di “italian sounding” (che suona italiano), è diffusa in particolare nei ristoranti “italiani” all’estero, che spesso adottano pubblicità ingannevoli nei confronti dei clienti, offrendo il “Parmesan” al posto del Parmiggiano Reggiano o la “Pasta chuta” al posto del ragù alla bolognese. Ma questo prestigioso traguardo dovrà essere anche occasione per rafforzare ulteriormente il turismo enogastronomico, dal momento che i viaggiatori provenienti da ogni luogo mostrano da sempre una fervente passione per la cucina italiana che è pari solo all’interesse dimostrato nei confronti dei musei e dei monumenti che arricchiscono le nostre città d’arte.

Come prevedibile, la notizia non ha lasciato indifferenti i più critici, che sostenendo l’inesistenza di un’unica cucina italiana, sottolineano di fatto che si tratta della miscela di cucine regionali e locali, che nel tempo si sono contaminate senza perdere la propria identità. Inoltre, se l’enogastronomia ha acquisito nei decenni un ruolo di primaria importanza per l’economia, la cultura e l’identità, la storia dimostra che in alcune circostanze delicate, come durante i consessi internazionali, il cibo ha assunto anche una funzione di soft-power ai fini della migliore riuscita delle negoziazioni politiche, spesso portate a termine dopo la degustazione di un lauto pasto a base di ricette della migliore tradizione italiana. I sociologi la chiamano gastrodiplomazia.

Per approfondire:

https://www.lacucinaitaliana.it/article/patrimonio-unesco-in-cucina-lista-completa-a-oggi

https://www.theguardian.com/world/2025/dec/10/italy-cuisine-first-unesco-heritage-recognition

La funzione ecologica del suolo e l’inarrestabile consumo per le attività antropiche

Di Alessandro Campiotti


In occasione della Giornata mondiale del suolo, si torna a parlare dell’importanza di tutelare una risorsa necessaria allo svolgimento di servizi ecosistemici indispensabili per la vita dell’essere umano. Il Rapporto SNPA 2025 fotografa l’evoluzione del territorio italiano e lancia la duplice sfida di contenere l’urbanizzazione e potenziare il ripristino della natura.

Immagine di un paesaggio rurale in Toscana.
Foto di Alessandro Campiotti

Il 2024 non è stato un anno florido per le condizioni di salute del suolo italiano, oggetto di un rapido e crescente processo di artificializzazione e impermeabilizzazione, che ne ha determinato la perdita di 83,7 km2 (8370 ettari), traducibili in 23 ettari al giorno e in circa 2,7 m2 al secondo. È quanto emerge dall’edizione 2025 del Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” redatto dal SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), che ogni anno fa il punto della situazione sui processi di trasformazione del territorio italiano a seguito delle attività di origine antropica.

I dati del Rapporto, presentati nel mese di ottobre, sono tornati a far discutere in occasione della Giornata mondiale del suolo, 5 dicembre, instituita dalla FAO nel 2014 per porre l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema troppo spesso sottovalutato, che riguarda una risorsa limitata, non rinnovabile e al tempo stesso necessaria per la vita dell’essere umano sul pianeta. Dalla fotografia scattata dal SNPA, le coperture artificiali, come edifici e infrastrutture, occupano oltre il 7% della superficie nazionale, rispetto ad una media europea del 4,4%.

Il crescente consumo di suolo, peraltro, risulta in controtendenza rispetto al calo demografico della popolazione residente in Italia, e ai tradizionali fenomeni di urbanizzazione si sono aggiunti numerosi cantieri per la realizzazione di campi fotovoltaici finalizzati alla produzione energetica e data center per sostenere le infrastrutture digitali e i servizi di cloud. A fronte di tutto ciò, risultano ancora troppo esigui i processi di ripristino delle aree naturali o seminaturali tramite interventi di demolizione edilizia e smantellamento di cantieri incompiuti, che nel 2024 hanno interessato appena 5 km2, portando il bilancio netto di consumo di suolo a circa 78 km2.

In Italia la questione riguarda la gran parte del territorio, dove quindici delle venti regioni presentano un consumo superiore al 5%, con picchi del 12% in Lombardia e Veneto e del 10% in Campania, mentre le provincie meno virtuose nell’ultimo anno sono state Viterbo, Sassari e Lecce, che hanno consumato rispettivamente 424, 245 e 239 ettari di terreno.

Quando si parla di perdita di suolo, sempre più rapida e inarrestabile, bisognerebbe riflettere sul fatto che si tratta di una risorsa che si è costituita naturalmente nel corso dei secoli tramite processi molto lenti, che hanno favorito la formazione di una stratigrafia composita, contenente al suo interno una quota di sostanza organica, materia ricca di nutrienti e responsabile della fertilità dei suoli. Per queste ragioni, la perdita di terreni fertili a seguito delle attività antropiche e il graduale depauperamento e inquinamento determinato dalle pratiche di agricoltura intensiva, hanno prodotto nel tempo danni ambientali e costi economici e sociali.

Un suolo in buono stato di salute, permeabile e ricco di biodiversità, riesce ad espletare una serie di funzioni ecologiche necessarie per la sicurezza del territorio e per la sopravvivenza degli ecosistemi. Queste funzioni, conosciute anche come servizi ecosistemici, vanno dalla produzione alimentare alla riserva idrica, dalla fornitura di habitat per la biodiversità alla conservazione del patrimonio genetico, passando per il contenimento del fenomeno erosivo, strettamente legato al dissesto idrogeologico, che rappresenta una delle principali cause di vulnerabilità del territorio italiano.

A questo proposito, il Rapporto SNPA lancia alle istituzioni la duplice sfida di contenere l’urbanizzazione e al contempo promuovere azioni di rinaturalizzazione seguendo le linee guida della Legge sul ripristino della natura (Nature Restoration Law), approvata nel 2024 dal Parlamento europeo, che prevede l’impegno da parte degli Stati membri dell’Ue di ripristinare almeno il 20% degli ecosistemi degradati entro il 2030. Inoltre, bisognerebbe potenziare il monitoraggio del territorio per prevenire gli abusi edilizi, vincolare la realizzazione di nuove costruzioni al ripristino di aree naturali e intervenire sul recupero dei terreni agricoli inquinati tramite l’attuazione di pratiche agronomiche di fito-depurazione, che consistono nella coltivazione di specie vegetali in grado di estrarre i metalli pensanti, riducendone la concentrazione nel suolo e migliorandone la qualità complessiva.

Per approfondire:

Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA): “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, 2025 – https://www.snpambiente.it/pubblicazioni/consumo-di-suolo-dinamiche-territoriali-e-servizi-ecosistemici-edizione-2025/.