Desertificazione, siccità, carenza idrica: tre sfide di rilevanza globale

Di Alessandro Campiotti


In occasione della Giornata mondiale della desertificazione si torna a parlare di un fenomeno che interessa oltre il 40% delle superfici del pianeta. Le cause sono plurime, di origine naturale ed antropica, e le conseguenze negative sono tangibili dal punto di vista sociale, economico e ambientale.

Foto di Alessandro Campiotti

Il 17 giugno è stata celebrata la Giornata mondiale per il contrasto alla desertificazione e alla siccità, istituita dall’ONU nel 1994 con l’obiettivo di promuovere la consapevolezza dell’opinione pubblica mondiale sul fenomeno del degrado del suolo e delle sue numerose conseguenze negative per l’ambiente e per l’essere umano. Ogni anno, infatti, si stima che nel mondo alcune decine di milioni di ettari di suolo vadano incontro al processo di desertificazione a causa del progressivo deterioramento delle proprietà chimico-fisiche e biologiche dei terreni, necessarie a supportare la produttività agronomica e quindi la produzione alimentare. Questo fenomeno, a sua volta, dipende da una combinazione di fattori di origine naturale ed antropica, come la scarsità di piogge e l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, che influenzano le variazioni climatiche in atto in alcune aree del pianeta, rendendo sempre più comuni eventi atmosferici estremi.

Il suolo, peraltro, è una risorsa limitata e non rinnovabile, e la sua degradazione può causare nel tempo la perdita irreversibile del suo potenziale biologico, mettendo in discussione le capacità di approvvigionamento alimentare di interi territori e determinando serie conseguenze anche a livello socioeconomico. Secondo le stime, circa il 40% dei terreni mondiali presentano scarse condizioni di salute ed elevati livelli di degrado, che si traducono in una sostanziale riduzione delle principali funzioni ecologiche, che vanno dalla riserva idrica alla produzione alimentare, dalla fornitura di habitat per la biodiversità alla regolazione del clima. La desertificazione, inoltre, è strettamente legata alla siccità e alla carenza idrica, e questi fenomeni interessano oltre due miliardi di persone nel mondo, in particolare tra le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, dove è in crescita il numero di persone non hanno accesso a fonti di acqua potabile.

Alla luce di recenti rapporti nazionali e internazionali, tuttavia, le preoccupazioni legate al degrado dei suoli e alla siccità interessano anche il 40% del territorio europeo e il 28% di quello italiano, con un maggior coinvolgimento delle regioni meridionali e delle isole. Nel panorama nazionale, infatti, l’inquinamento dei terreni e la drastica riduzione del livello di fertilità sono da imputare ad una serie di fattori, come i prodotti chimici di sintesi largamente utilizzati nelle pratiche di agricoltura intensiva e lo smaltimento non sempre adeguato dei rifiuti di origine urbana e industriale.

In questo contesto va sottolineato che un terreno in salute, permeabile e ricco di biodiversità, oltre a garantire la sicurezza alimentare, influenza tangibilmente il livello di sicurezza del territorio, tema particolarmente sentito in Italia, dove i fenomeni dell’erosione e del dissesto idrogeologico sono all’ordine del giorno. Inoltre, bisogna ricordare anche che l’Italia è il Paese dove ogni secondo vengono consumati 2,3 metri quadri di suolo a causa dell’eccessiva urbanizzazione, il consumo pro-capite di acqua è tra i più alti d’Europa e ogni anno la rete di distribuzione registra perdite idriche superiori al 40%. Per tali ragioni, numerosi organismi internazionali, compresa la Commissione europea, sostengono la necessità di eseguire azioni atte a ripristinare i suoli degradati e contaminati partendo dall’attuazione di pratiche di agricoltura conservativa e rigenerativa, che consistono rispettivamente nel mantenere la copertura del suolo per ridurne l’erosione, e nella coltivazione di colture fitodepuratrici, capaci di estrarre i metalli pesanti accumulati in profondità.

Per approfondire

Commissione Europea: Strategia dell’UE per il suolo per il 2030 “Raccogliere i benefici di suoli sani per le persone, il cibo, la natura ed il clima”, COM (2021) 699 final;

ONU – Centro Regionale di Informazioni delle Nazioni Unite: Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile;

Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA): “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, 2024 – https://www.snpambiente.it/temi/suolo/consumo-di-suolo-dinamiche-territoriali-e-servizi-ecosistemici-edizione-2024/.

Inequalities: un itinerario interdisciplinare tra le disuguaglianze della società contemporanea

Di Alessandro Campiotti

Il tema delle disuguaglianze è al centro della 24° Esposizione Internazionale dal titolo Inequalities, in programma dal 13 maggio al 9 novembre 2025, presso gli spazi dell’istituzione culturale Triennale Milano, nella più ampia cornice di Parco Sempione.

Interni della mostra

La mostra mira ad analizzare la questione delle disuguaglianze secondo un approccio trasversale, toccando numerose sfere disciplinari, come quella sociale, economica, etnica, geografica, culturale, ambientale ed ecologica. Per fare ciò, l’esposizione è articolata secondo due principali chiavi di lettura del tema, rappresentate dalla geopolitica e dalla biopolitica delle disuguaglianze. Il primo concetto si riferisce in maniera particolare alle città, luoghi in cui le differenze socioeconomiche tra persone risultano più evidenti, mentre il secondo analizza in che modo le disparità determinate dall’essere umano influenzano non solo la qualità della vita umana, ma anche quella dell’ambiente circostante, a partire dagli ecosistemi naturali e dalla biodiversità.

Attraverso un percorso multidisciplinare che spazia dall’arte all’architettura, dall’antropologia alla biologia, la mostra delinea i principali elementi che contribuiscono ad accentuare le disparità nella società contemporanea, fornendo al pubblico l’opportunità di riflettere sui tanti temi trattati, e coinvolgendolo al tempo stesso nella ricerca delle migliori soluzioni per far fronte ai diversi scenari.

Passeggiando per le sale dell’esposizione, è possibile imbattersi nel controverso paradosso del surplus calorico, secondo il quale l’aspettativa di vita delle persone non rispecchia sempre i livelli di PIL dello stato in cui si vive. È il caso degli Stati Uniti, che pur detenendo il più alto PIL mondiale, hanno un’aspettativa di vita di 76.4 anni, nettamente inferiore ai quasi 85 anni di molti paesi europei, in quanto l’eccesso calorico che caratterizza la dieta di milioni di persone, spesso appartenenti alle fasce meno abbienti della popolazione, causa problemi di obesità e disturbi metabolici.

Proseguendo l’itinerario museale, ci si può immergere tra le mappe e gli scenari del mondo futuro, dove le numerose conseguenze del cambiamento climatico, a partire dall’innalzamento del livello dei mari, potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza stessa delle città lagunari. Oltre al caso di Venezia, risulta emblematico quello di Jakarta, capitale dell’Indonesia, dove l’eccessiva urbanizzazione, abbinata al progressivo smottamento del terreno e al pericolo di inondazioni, ha determinato l’esigenza da parte delle istituzioni di progettare il trasferimento della capitale da Jakarta a Nusantara, in una deserta giungla sulla costa orientale dell’isola del Borneo.

Dall’Asia si torna poi in Italia, in particolare a Milano, città che oltre a 1.360.000 abitanti, ospita anche altre 21 specie di mammiferi, 250 di uccelli, 1000 di insetti e 1200 di specie vegetali, che insieme contribuiscono ad arricchire la biodiversità urbana. La presenza di uccelli, insetti o piccoli mammiferi, infatti, rappresenta un bio-indicatore di qualità degli habitat all’interno del più ampio ecosistema urbano, in cui la diversità specifica viene fortemente influenzata dalle caratteristiche dei diversi quartieri, come il grado di urbanizzazione, la presenza di aree verdi quali parchi e viali alberati e persino il contesto socioeconomico.

Rotaie del tram su un viale alberato a Milano

A questo proposito, alcuni studi dimostrano che ad un maggior livello di urbanizzazione – che in alcune città si rileva nei quartieri più abbienti mentre in altre in quelli meno abbienti – corrisponde una minore presenza di biodiversità, anche a causa del fatto che molte persone prediligono una cura intensiva delle aree verdi cittadine. Tuttavia, considerando che nei prossimi anni sempre più persone vivranno nelle città, i recenti canoni di progettazione urbana prevedono un graduale aumento della percentuale di aree verdi per abitante, che oggi a Milano è uguale ad appena 15 m2 mentre secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dovrebbe essere di almeno 50 m2 per garantire quel pacchetto di servizi ecosistemici che migliorano la qualità dell’ambiente sia per l’essere umano che per la biodiversità circostante.

Per approfondire tutto questo, e parlare di tanto altro, è stato definito un ricco programma di incontri e conferenze che nei prossimi mesi vedrà la partecipazione di personalità internazionali del mondo dell’arte, della scienza, della cultura, del design e dell’architettura, che porteranno il loro punto di vista sulla questione drammaticamente attuale delle disuguaglianze.

Per approfondire:

https://triennale.org/24-esposizione-internazionale

https://triennale.org/forum-inequalities

https://triennale.org/eventi/geopolitica-delle-disuguaglianze

Foto di Alessandro Campiotti

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Dalla ricerca alla comunicazione: Stefano Bertacchi ci ha spiegato l’evoluzione del ruolo del ricercatore nella divulgazione scientifica

Di Alessandro Campiotti


La sua folgorazione per la divulgazione scientifica è avvenuta a causa di un imprevisto e da quel momento non ha più smesso. Parliamo di Stefano Bertacchi, classe 1990, ricercatore nell’ambito delle biotecnologie industriali presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca ma anche divulgatore scientifico, autore di articoli e testi sui temi che più lo appassionano, come la biologia sintetica, gli OGM e la microbiologia, che spiega con un linguaggio semplice e divertente ai non addetti ai lavori tramite canali social, eventi in presenza e spettacoli teatrali. Lo abbiamo incontrato in quello che definisce ironicamente il suo “habitat naturale”, ovvero l’ambiente universitario, affaccendato tra l’attività di laboratorio, la revisione di tesi e paper e la partecipazione ad un convegno scientifico e ha risposto ad alcune nostre domande e curiosità sulla divulgazione della scienza.

Stefano Bertacchi

Stefano, qual è stato il momento chiave in cui hai iniziato ad interessarti alla divulgazione scientifica? 

Probabilmente è iniziato tutto a causa di un imprevisto! Alcune persone, infatti, si erano introdotte nello stabulario dell’università, dove vengono allevati gli animali utilizzati per le sperimentazioni, e ne avevano portato via alcuni esemplari, compromettendo il lavoro di molti ricercatori. Quel gesto di così scarso rispetto nei confronti della ricerca scientifica e di chi la porta avanti con passione e fatica mi ha spinto ad attivarmi per fare informazione su questi temi, coinvolgendo numerose persone e creando un vero e proprio network. Da quel momento, quindi, ho iniziato a “farmi le ossa” interessandomi alla comunicazione e alla divulgazione della scienza tramite i canali social e gli eventi dal vivo.

In cosa consiste oggi il ruolo del divulgatore scientifico e come pensi che sia cambiato rispetto al passato? 

La professione del divulgatore scientifico è molto sfaccettata, perché tocca un mix eterogeneo di discipline che vanno dalla ricerca al giornalismo, dal teatro all’attività museale, ma direi che il suo ruolo principale è quello di servirsi di vari mezzi comunicativi per avvicinare le persone alla scienza, rendendo comprensibili e/o di intrattenimento le tematiche più complesse. Il ruolo poi si è molto evoluto rispetto al passato, soprattutto grazie all’avvento dei social e alla loro crescente esplosione mediatica, che ha fatto della divulgazione una professione più pop, in quanto sempre più persone si affacciano a questo mondo, spesso arricchendolo con nuovi temi e linguaggi, ma in altri casi abbassando il livello qualitativo dei contenuti.

Chi sono i tuoi riferimenti nell’ambito della divulgazione e perché? 

Tra i miei riferimenti in questo ambito ci sono alcuni nomi noti al grande pubblico, come Dario Bressanini, Roberta Villa e Beatrice Mautino, ma anche diversi nomi appartenenti alla nuova generazione di divulgatori e giornalisti, come Ruggero Rollini, Simone Angioni e Barbascura X, che oggi sono miei colleghi e amici, e nonostante ci occupiamo di argomenti diversi, collaboriamo sempre con piacere ispirandoci a vicenda. Oggi, inoltre, posso dire di avere la soddisfazione di essere io stesso il riferimento di molti giovani che si approcciano alla divulgazione, quindi sarò contento di poter passare gradualmente il testimone.

Come selezioni gli argomenti da trattare in modo che siano rilevanti e sempre di interesse per il pubblico? 

Da un lato seguo la cronaca del momento e cerco di legarmi alle notizie che reputo di maggiore interesse, dall’altro, però, mi concentro sulle tematiche che più mi appassionano, sia perché le racconto con maggiore facilità ma soprattutto perché credo interessino al pubblico che segue i miei canali e le mie ricerche. Alcune volte, tuttavia, mi è capitato di prendere spunto direttamente dai fatti di cronaca, come quando nelle scorse Olimpiadi di Parigi 2024 si parlava della contaminazione del fiume Senna causata dalla presenza del batterio Escherichia coli, di cui ho parlato in radio e in alcuni articoli.

Qual è la principale sfida che ti trovi ad affrontare in qualità di divulgatore? 

Rendere interessante per il pubblico ciò che è interessante per me e adattare il livello delle tematiche trattate e il registro linguistico ai diversi contesti a cui mi rivolgo. Nei miei libri, per esempio, ho la possibilità di prendermi tutto il tempo e lo spazio necessario a trasmettere certi concetti. Negli eventi dal vivo o nei video social, al contrario, i tempi sono più stretti e bisogna sempre trovare il giusto compromesso tra l’argomento, la situazione e la platea che ascolta. In questo senso, devo ammettere di essere molto agevolato dall’esperienza maturata come ricercatore, sempre pronto a adattarmi alle diverse situazioni, ma non nascondo che in alcuni casi ho qualche difficoltà ad interpretare il pubblico che mi segue, soprattutto nel caso dei social.

Quali sono le principali tematiche di cui ti sei interessato negli ultimi anni?  

Sicuramente si tratta di tematiche in linea con la mia attività di ricerca, come le tecnologie genetiche CRISPR e TEA che si utilizzano per la modificazione genetica delle piante, gli OGM (organismi geneticamente modificati) in generale, poi mi sono molto interessato di plastiche, bioplastiche e microrganismi a 360 gradi, da quelli necessari alla preparazione del pane fino a quelli che causano malattie infettive. Ogni argomento, poi, apre a sua volta molte derivazioni di grande interesse.

Pensi che la scienza oggi persegua obiettivi che intercettano le esigenze e la sensibilità delle persone o va più veloce rischiando in alcuni casi di non essere compresa o addirittura di rappresentare un elemento di rischio? 

La scienza e l’innovazione tecnologica corrono veloci e non sempre la società corre di pari passo, soprattutto per quanto riguarda i temi relativi all’intelligenza artificiale, alla produzione di carne coltivata e alle nuove tecnologie genetiche. Per queste ragioni, come scienziato e comunicatore sento il dovere di spiegare al pubblico il processo di transizione che stiamo vivendo, che in alcuni casi può avere delle evidenti ripercussioni economiche e politiche, basti pensare alle nuove dinamiche che caratterizzano il lavoro in molti settori. In questo senso trovo fondamentale instaurare un dialogo sincero con il pubblico, per evitare di alimentare i dubbi e le incomprensioni sui diversi argomenti.

Cosa consiglieresti ad una persona che volesse approcciarsi al mondo della divulgazione? 

Il primo consiglio che darei sarebbe di interessarsi ad un argomento, approfondirlo ed esercitarsi a raccontarlo, senza avere paura di sbagliare. Quando ho cominciato io, nel 2014, questa porzione di mercato era sicuramente più inesplorata, anche perché i social non erano ancora così sviluppati. Io ho cominciato a condividere i miei contenuti su Facebook e poi, dal 2018, sono passato anche su Instagram, che da qualche anno è diventato un’interessante vetrina di prodotti di vario genere. Allo stesso tempo, però, bisogna ammettere può risultare più complicato inserirsi in un mercato più maturo e saturo rispetto a dieci anni fa, ma dobbiamo ricordare che la divulgazione scientifica non è solo social e ci sono tante altre opportunità da cogliere in un settore molto variegato e sempre disposto a collaborare e darsi una mano.