Stati Generali del Verde: Roma fa il punto sulla situazione del capitale naturale urbano

Di Alessandro Campiotti

I lavori degli Stati Generali del Verde hanno consentito all’Amministrazione capitolina di fare un bilancio dei risultati delle politiche ambientali attuate negli ultimi anni. L’evento ha favorito il dialogo tra attori istituzionali, mondo della ricerca, ordini professionali e cittadinanza.

“Roma punta ad avere un milione di nuovi alberi entro il 2026”, ha annunciato il sindaco della Capitale Roberto Gualtieri in occasione degli Stati Generali del Verde, ospitati lo scorso 24 ottobre presso la storica Sala della Protomoteca del Campidoglio. L’evento è stato promosso dall’Assessorato all’agricoltura e ambiente e ha visto la collaborazione di soggetti istituzionali come la Città Metropolitana e il Comando dei Carabinieri Forestali (CUFAA), di istituti di ricerca come il CREA e il CIRBISES e degli Ordini professionali del settore, come quello dei dottori agronomi e forestali (ODAF) e degli agrotecnici.

La giornata è stata scandita da una serie di panel che hanno toccato le diverse questioni che riguardano il verde pubblico, spaziando dalla gestione del capitale naturale di Roma, con i suoi parchi fluviali e le sue ville storiche, al confronto con i principali Comuni italiani sulle scelte intraprese negli ultimi anni in merito alla pianificazione delle aree verdi urbane e alla manutenzione del patrimonio arboreo. I lavori degli Stati Generali del Verde sono stati l’occasione per ribadire il ruolo strategico svolto dalle piante nelle nostre città riguardo l’erogazione di servizi ecosistemici, come il raffrescamento dell’aria e la mitigazione dell’effetto “isola di calore” nel periodo estivo, la migliore regimazione delle acque meteoriche, la fito-depurazione dell’aria dagli inquinanti atmosferici e la salvaguardia della biodiversità.

L’Amministrazione capitolina ha quindi illustrato i punti principali del Piano del Verde e della Natura, approvato dalla Giunta comunale alla fine dell’estate, annunciando un ambizioso progetto di riforestazione urbana finanziato con i fondi del PNRR, che prevede la piantumazione di un milione di nuovi alberi entro il 2026 nel territorio dell’area metropolitana, di cui circa 800.000 solo a Roma, distribuiti su decine di nuovi impianti boschivi. Negli ultimi mesi sono stati inaugurati e messi a disposizione della cittadinanza cinque parchi d’affaccio lungo gli argini del fiume Tevere, dal centro storico fino ad Ostia Antica, che hanno previsto una serie di azioni di bonifica e riqualificazione ecologica delle sponde fluviali, dove sono state piantumate specie erbacee e arboree autoctone e realizzate passerelle eco-compatibili in legno di larice, concepite per le più diverse funzioni: dal passeggio allo sport, dal relax alla didattica all’aperto. È prevista invece per il 30 ottobre la riapertura di Villa Glori, uno storico parco nel cuore del quartiere Parioli, che è stato oggetto di interventi di rimozione delle superfici impermeabili e successivo ripristino del suolo drenante, tale da consentire la messa a dimora di nuovi pini in sostituzione di quelli persi a causa di patologie, eventi atmosferici estremi e scarsa manutenzione.

Ma l’evento è stato anche teatro di un dialogo costruttivo tra istituzioni, mondo della ricerca, ordini professionali e cittadini, i quali hanno avuto l’opportunità di porre domande e curiosità agli esperti del settore in merito alle politiche ambientali e alle decisioni urbanistiche che orienteranno i prossimi passi delle amministrazioni a livello nazionale e locale, da nord a sud della penisola. A questo proposito, sono state prese ad esempio alcune delle principali capitali europee, come Parigi o Berlino, Vienna o Madrid, in cui le strategie di pianificazione del verde pubblico sono il frutto di un articolato lavoro di sintesi tra numerosi fattori in gioco, che vanno dagli aspetti agronomici e botanici a quelli logistici e di viabilità, passando per i costi finanziari e il consenso politico.

Come ha spiegato Francesco Ferrini, ordinario di arboricoltura presso l’Università di Firenze, ogni proposta dovrebbe partire da un’attenta analisi preliminare del luogo di intervento, in cui valutare le condizioni di salute delle specie arboree presenti in relazione alla stabilità degli apparati radicali e dei fusti e all’assenza di stress abiotici e biotici, come la carenza idrica e le fitopatologie. Successivamente, andrebbero considerati i benefici prodotti dagli alberi in termini di servizi ecosistemici, così come gli eventuali disservizi che potrebbero impattare la sicurezza di pedoni e ciclisti o interagire negativamente con la viabilità stradale. Sulla base dei dati raccolti, sarà possibile decidere se intervenire in modo conservativo, sostituendo singole piante, o in blocco, rinnovando completamente la dotazione arborea di una via secondo un progetto che sia innovativo dal punto di vista tecnologico, ma che possa essere al contempo accolto dalle persone come un elemento migliorativo del luogo in cui vivono.

Da Slow Food al “National Biodiversity Future Center”: l’impegno unanime per un’alimentazione più sana e sostenibile

Di Alessandro Campiotti

In vista della prossima COP30 di Belém, associazioni e istituzioni rinnovano l’impegno di sensibilizzare la società sul rapporto tra alimentazione, sostenibilità ambientale e tutela della biodiversità. L’appello è rivolto tanto agli studenti quanto ai rappresentanti dei 198 Paesi che prenderanno parte alla Conferenza.

Un orto nella campagna toscana – foto di Alessandro Campiotti

Dal 10 al 21 novembre 2025 la città brasiliana di Belém ospiterà la COP30, 30° Conferenza delle Parti promossa dalle Nazioni Unite che avrà al centro dei negoziati l’attuale, nonché controverso, dibattito sui cambiamenti climatici. Migliaia di delegati provenienti da 198 Paesi si incontreranno nella città amazzonica in rappresentanza del mondo politico, scientifico, accademico, industriale e associativo, per promuovere il multilateralismo e discutere dello stato di salute del pianeta, dei risultati raggiunti in termini di salvaguardia ambientale e delle tante sfide ancora da perseguire.

Ad animare i lavori della Conferenza saranno questioni che da anni alimentano il dibattito pubblico nazionale e internazionale, che vanno dallo sviluppo sostenibile all’equità sociale, dalla salvaguardia della natura alla riorganizzazione dei sistemi agricoli e alimentari, con l’auspicio di giungere alla ratifica di un pacchetto di accordi che orienti le politiche ambientali globali dei prossimi anni. La necessità di un rapido intervento in questa direzione è dettata dallo stato in cui versa la natura, che da decenni subisce un graduale impoverimento delle proprie risorse a causa del sovrasfruttamento di origine antropica, che nel tempo ha determinato elementi di instabilità a livello socioeconomico, politico e sanitario, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

In vista dell’inizio della COP30, non mancano gli appelli e le mobilitazioni da parte di numerose associazioni e movimenti culturali, che si stanno muovendo per fare rete e trasmettere la loro voce ai governi e alle istituzioni che prenderanno parte ai lavori della Conferenza. Lo scorso 16 ottobre, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, Slow Food, il movimento internazionale fondato da Carlo Petrini, che da quasi quaranta anni promuove la consapevolezza delle scelte alimentari, ha rivolto un appello al Ministero dell’Ambiente italiano, in cui sostiene la necessità di rendere più sostenibili i sistemi agricoli e alimentari che caratterizzano vaste aree del pianeta.

Tra le proposte che Slow Food auspica possano pervenire ai tavoli dei negoziati della COP30 figura la promozione di sistemi alimentari che rispettino i principi dell’agroecologia e che siano basati su una gestione integrata delle risorse naturali, che veda il progressivo abbandono dei prodotti chimici di sintesi, come fertilizzanti e fitofarmaci, e la netta riduzione degli allevamenti intensivi, a favore di tecniche di produzione più rispettose dell’ambiente, della fertilità dei suoli e degli ecosistemi naturali. Allo stesso tempo, si richiede ai governi di sostenere le filiere locali, valorizzare le peculiarità dei territori e rafforzare la coesione sociale nelle zone depresse, incentivando le comunità energetiche e sostenendo le attività locali e sostenibili con sussidi economici e sgravi fiscali. Infine, si mettono in discussione le dinamiche della finanza climatica, che spesso favoriscono le imprese in attività energivore, inquinanti e basate sul consumo di combustibili fossili, salvo poi dargli la possibilità di “rimediare” attraverso progetti di compensazione della CO2 prodotta, magari a migliaia di chilometri da dove è stata emessa.

Nelle stesse ore in cui Slow Food rinnovava l’impegno per un’alimentazione sana e consapevole, il National Biodiversity Future Center (NBFC), centro di ricerca nazionale sulla biodiversità, finanziato dall’Unione Europea, ha lanciato I Feel Food, un progetto di edutainment, neologismo che unisce le parole education (educazione) ed entertainment (intrattenimento), per descrivere un approccio didattico che integra l’apprendimento con il divertimento. L’iniziativa, portata avanti da ricercatori ed esperti del settore, si pone l’obiettivo di entrare in decine di scuole superiori da nord a sud della penisola per coinvolgere gli studenti in laboratori ed attività di sensibilizzazione sui temi legati all’importanza che una sana alimentazione riveste nei confronti della salute umana e dell’ambiente, e per invitare i giovanissimi a ragionare sui numerosi elementi che mettono in relazione i sistemi alimentari con la sostenibilità ambientale e la tutela della biodiversità.

Diventeremo mai entomofagi?

di Alessandro Campiotti

Dal gennaio del 2023 l’Unione europea ha autorizzato la commercializzazione di prodotti alimentari a base di insetti, eppure la pratica dell’entomofagia stenta a superare la naturale barriera psicologica delle persone. Informazione, comunicazione e nuove ricette culinarie saranno indispensabili per diffondere la conoscenza degli insetti.

Immagine di un grillo. Foto di Leeyoungku – Pixabay

L’annuale rapporto pubblicato dal Global Footprint Network sulle condizioni di salute del pianeta sostiene che da decenni numerosi Stati consumano molte più risorse di quante la natura ne possa rigenerare, mettendo a dura prova la sopravvivenza degli ecosistemi e aumentando il deficit ecologico. Nel 2025 l’Overshoot Day o Giorno del sovrasfruttamento terrestre è stato il 24 luglio, una settimana prima dell’anno precedente, mentre in Italia questo triste anniversario è coinciso addirittura con il 7 maggio, decretando che in poco più di quattro mesi il sistema paese aveva già esaurito le risorse naturali rinnovabili, come energia, acqua e cibo, che sarebbero servite per l’intero anno.

I dati del rapporto risultano ogni anno più sconfortanti a causa della rapida crescita della popolazione mondiale, che nel corso di circa settanta anni è più che triplicata, passando dai 2,5 miliardi del 1950 agli 8 miliardi del 2023, e si stima che possa salire ulteriormente a 10 miliardi entro il 2050. In un contesto in cui la biocapacità del pianeta di rigenerare risorse naturali diventa un fattore limitante, la fornitura di servizi ecosistemici, come la produzione di cibo per tutti, diventa una “voce di spesa” enormemente cara dal punto di vista dell’impatto ambientale. Peraltro, dal momento che gli allevamenti zootecnici intensivi sono estremamente energivori e inquinanti, non sarebbe possibile adeguare la produzione di carne all’aumento della domanda mondiale e si pone il tema di trovare qualche soluzione per rendere più sostenibili gli attuali sistemi alimentari.

A questo proposito, a partire dai primi anni 2000, la FAO ha più volte suggerito di ripensare le tradizionali abitudini alimentari introducendo il concetto di entomofagia, che consiste nell’abitudine di mangiare entomi, cioè insetti. Questa pratica, di fatto sconosciuta alle nostre latitudini, riguarda invece circa l’80% della popolazione mondiale in vaste aree del pianeta, dall’America all’Africa, passando per numerosi Paesi asiatici come Cina, India, Corea e Thailandia. In questi luoghi, gli insetti commestibili come grilli, cavallette, bruchi e formiche sono parte integrante della dieta di miliardi di persone, rappresentando una straordinaria alternativa al consumo di carne.

Il loro valore nutrizionale è legato all’elevato contenuto di proteine, vitamine, grassi, e sali minerali, in alcuni casi superiore a quello della carne bovina, ma con costi di produzione immensamente inferiori. Gli insetti, infatti, hanno un ciclo di vita molto rapido rispetto alle specie zootecniche e sono molto efficienti nella conversione del cibo assunto in massa corporea. Allevare insetti, quindi, sarebbe una scelta sostenibile e a ridotta impronta ecologica, in quanto consentirebbe di abbattere gli input in termini di spazio, acqua, nutrimento ed energia, consentendo al tempo stesso di ridurre il consumo di suolo, i fenomeni di deforestazione e perdita di biodiversità, le emissioni di gas serra e le problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti.

Parlare di entomofagia in un Paese come l’Italia, che ha fatto della dieta mediterranea il perfetto e invidiabile connubio tra qualità alimentare e salute umana, potrebbe apparire una provocazione, eppure nessuno propone di rivoluzionare la dieta degli italiani sostituendo la bistecca di manzo con l’hamburger di grillo. Sarebbe invece una proposta accettabile quella di ridurre il consumo di carni prodotte negli allevamenti intensivi, integrando al contempo la dieta degli animali allevati – bovini, suini, polli o pesci – con una maggiore quota di alimenti ricavati da insetti, come previsto anche da norme europee approvate negli ultimi anni.

Dal gennaio del 2023 l’Unione europea ha autorizzato la vendita di prodotti alimentari a base di insetti anche per il consumo umano e nel dicembre dello stesso anno il governo italiano, già contrario alla cosiddetta “carne sintetica”, ha regolamentato la produzione e commercializzazione di prodotti derivati da farine di quattro specie di insetti, tra cui larve del verme della farina, locuste migratorie e grilli domestici. Come ogni prodotto in vendita, anche quelli a base di farine di insetti, come pane, pasta o biscotti, devono rispettare gli standard di etichettatura vigenti a livello europeo, tuttavia devono essere esposti su scaffali differenti dagli altri prodotti.

Per evitare che questa novità generi forme di neofobie alimentari, spetterà a divulgatori e comunicatori l’arduo compito di proporre contenuti informativi che consentano di perforare la naturale barriera psicologica delle persone, mentre agli chef toccherà sperimentare nuove ricette che incuriosiscano gli scettici e ricordino quanto siano minime le differenze tra gli insetti e i prelibati crostacei, e che il miele, anche noto come nettare degli dei, è in realtà prodotto proprio dagli insetti.

Per approfondire:

Antonio Pascale, Cavallette fritte, perché no? Basta con le nonne, pensiamo a come nutrire i nipoti, Il Foglio, 6 ottobre 2025, https://www.ilfoglio.it/cibo/2025/10/06/news/cavallette-fritte-perche-no-basta-con-le-nonne-pensiamo-a-come-nutrire-i-nipoti-8159878/;

Massimiliano Jattoni Dall’Asén, Le farine d’insetti arrivano anche in Italia: pubblicati i decreti, come saranno utilizzate, Il Corriere della Sera, 5 gennaio 2024
https://www.corriere.it/economia/consumi/24_gennaio_05/farine-d-insetti-arrivano-anche-italia-