Isole di calore urbane: cause e possibili soluzioni

Di Alessandro Campiotti

Nel periodo estivo le città sono puntualmente soggette al fenomeno microclimatico dell’isola di calore, che può determinare temperature notevolmente superiori rispetto alle zone suburbane e rurali. Spazi verdi, mobilità sostenibile ed efficientamento energetico degli edifici possono contribuire a mitigare gli eccessi del microclima urbano.

Superfici inerbite in una via di Milano
Immagine di Alessandro Campiotti

Dopo una primavera più calda rispetto alle medie stagionali, il mese di luglio ha portato con sé il caldo torrido e insopportabile, certificando di fatto l’inizio di una lunga estate che durerà almeno fino a settembre. Da diversi giorni le città di mezza Europa sono da bollino rosso, con temperature record che superano i 40 gradi nelle ore centrali della giornata, causando non pochi problemi al buon funzionamento delle cose e soprattutto alla salute di persone ed esseri viventi. A causa della crisi climatica in atto, i dati meteorologici registrano ogni anno livelli di temperatura superiori agli anni precedenti, con un conseguente surriscaldamento degli ecosistemi naturali e antropizzati, dagli ambienti marini e costieri fino a quelli urbani.

Non è un mistero che nel periodo estivo le città non siano il luogo ideale in cui risiedere, poiché quei comuni fattori negativi, come l’inquinamento dell’aria o la scarsità di spazi verdi, risultano esacerbati dall’avvento del “solleone”. Le città, inoltre, tendono a manifestare un fenomeno microclimatico che prende il nome di isola di calore urbana, dall’inglese Urban Heat Island (UHI), che consiste nel particolare riscaldamento di alcune aree, le cui temperature possono risultare fino a sette gradi superiori rispetto alle zone limitrofe, suburbane e rurali. I luoghi maggiormente interessati sono quelli caratterizzati da elevata concentrazione di edifici e densità abitativa, alte percentuali di superfici pavimentate e scarsità di parchi e suoli permeabili. Materiali come cemento e asfalto, che costituiscono edifici, strade e marciapiedi, hanno l’elevata capacità termica e radiativa di trattenere il calore trasmesso dalla radiazione solare nelle ore diurne per rilasciarlo nelle ore successive al tramonto, determinando il riscaldamento dell’aria circostante.

Un altro parametro da tenere in considerazione è la configurazione geometrica e topografica della città, che consiste nella disposizione degli elementi artificiali e naturali in relazione alle diverse altitudini presenti sul territorio. In questo senso, un complesso di palazzine poco distanziate tra loro, collocato in una zona pianeggiante e circondato da superfici asfaltate può ridurre notevolmente il passaggio dell’aria, favorendo un effetto cappa che può risultare assai fastidioso per i residenti. Gli effetti negativi del caldo, peraltro, possono risultare più sfavorevoli per quelle fasce di popolazione svantaggiate dal punto di vista socioeconomico, che vivono in aree fortemente urbanizzate, scarsamente dotate di spazi verdi e spesso prive dell’accesso a sistemi di condizionamento dell’aria. Le conseguenze negative sul benessere psico-fisico possono manifestarsi sotto forma di colpi di calore, disidratazione, riduzione di concentrazione, apprendimento e produttività lavorativa. Per queste ragioni, molte città sono impegnate a stilare la lista dei cosiddetti “rifugi climatici”, luoghi pubblici come giardini, aree verdi, biblioteche e case di quartiere, dove le persone possono trovare temperature più miti e sopportabili grazie al raffrescamento dell’aria conseguito in maniera artificiale tramite condizionatori, o naturale tramite la presenza di piante.

A questo proposito, i sistemi vegetali rappresentano una soluzione naturale di mitigazione microclimatica grazie alle proprietà fisiologiche delle piante, che con la traspirazione utilizzano il calore proveniente dall’energia solare per trasformare l’acqua veicolata dai sistemi vascolari dallo stato liquido a quello gassoso, refrigerando gli organi fogliari e raffrescando, di conseguenza, l’aria circostante. Al contempo, la presenza di specie arboree può garantire un piacevole ombreggiamento e contribuire a migliorare la qualità dell’aria tramite l’attività fotosintetica, che sequestra anidride carbonica (CO2) ed emette ossigeno, e la riduzione della concentrazione di polveri sottili, che tendono a depositarsi sulle superfici fogliari.

Tuttavia, non basta delegare la mitigazione del clima all’azione delle piante, che oltretutto in città restano sotto rappresentate. Bisognerebbe in primo luogo pianificare l’ambiente urbano in modo da massimizzare la presenza di aree verdi, suoli drenanti e superfici chiare che riflettano la radiazione solare e in secondo luogo agire per ridurre l’impatto antropico sul microclima potenziando la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica degli edifici e tenendo a mente che l’aria calda che i condizionatori espellono dalle nostre abitazioni o uffici, contribuisce a riscaldare ulteriormente l’ambiente esterno, determinando in questo modo un circolo vizioso.

Per approfondire:

Albini G., Guerri G., Munafò M., Morabito M.,Investigation of the Surface Urban Heat Island (SUHI) by two remote sensing-based approaches in Italian regional capitals, Remote Sensing Applications: Society and Environment, Volume 38, 2025, 101567, ISSN 2352-9385, https://doi.org/10.1016/j.rsase.2025.101567.

Hsu, A., Sheriff, G., Chakraborty, T. et al. Disproportionate exposure to urban heat island intensity across major US cities. Nat Commun 12, 2721 (2021). https://doi.org/10.1038/s41467-021-22799-5.

PAC 2028-2034: la Commissione europea avvia le trattative

Di Alessandro Campiotti
In una recente comunicazione europea sono state divulgate le linee guida che orienteranno l’architettura della prossima Politica Agricola Comune. Il dibattito tra gli Stati è in corso ed emergono i primi segnali di dissenso da parte delle associazioni di categoria del mondo agricolo.

Campagna della Val d’Orcia
Immagine di Alessandro Campiotti

Attrattività, innovazione tecnologica e competitività, sono solo alcuni dei requisiti a cui il settore agroalimentare europeo dovrà rispondere nei prossimi anni per mantenere e consolidare il ruolo strategico che riveste negli Stati membri dell’UE. In questi mesi, infatti, presso la Commissione europea è in corso un serrato dibattito per la programmazione della prossima Politica Agricola Comune (PAC) che regolamenterà l’attività del settore primario nel periodo 2028-2034.

Sebbene le discussioni siano ancora in atto, lo scorso febbraio la Commissione ha divulgato una comunicazione per rendere noti alcuni dei principi che dovrebbero orientare la strategia della prossima PAC. Inoltre, per comprendere meglio l’attenzione rivolta nei confronti della PAC, bisogna ricordare che si tratta di un ambito di intervento fondamentale per l’UE, che nel periodo 2021-27 è stato sostenuto con un budget complessivo di 387 miliardi di euro, pari al 31% del bilancio europeo. Questa notevole mole di finanziamenti è necessaria a promuovere l’attività di un settore in cui operano oltre 30 milioni di persone, che da anni sconta una serie di difficoltà dovute tanto alla crisi climatica quanto alle tensioni geopolitiche determinate dai numerosi conflitti globali.

Allo stesso tempo, l’instabilità dei redditi, l’impegno oneroso e l’elevato rischio d’impresa hanno fatto sì che negli ultimi decenni le nuove generazioni considerassero solo limitatamente l’ipotesi di intraprendere una professione in questo settore; basti pensare che l’età media degli agricoltori supera i 55 anni e che gli under 40 rappresentano appena il 12% del totale, di cui molti portano avanti realtà aziendali di tipo familiare. Per tali ragioni, tra i principali obiettivi avanzati dalla Commissione per ristrutturare il settore agroalimentare, c’è l’ambizione di riformare il ruolo stesso dell’agricoltore, che dovrà essere sempre più una figura professionale ibrida, a cavallo tra tradizione e innovazione tecnologica. La conoscenza e valorizzazione di nuovi asset di mercato, come i crediti di carbonio e di biodiversità, le energie rinnovabili, i servizi ecosistemici, la bioeconomia e l’eco-turismo, infatti, possono produrre fonti di reddito aggiuntive rispetto a quello frutto della terra e dei sostegni europei, i quali rappresentano circa il 20% del reddito agrario.

Ma non è tutto, infatti la nuova PAC avrà il compito di rendere il comparto più competitivo sui mercati internazionali, tutelando i prodotti di alta qualità e trattando con gli Stati importatori affinché operino nel rispetto delle norme in materia di responsabilità ambientale e di benessere animale, per ridurre i fenomeni di concorrenza sleale. In questo senso, continueranno ad essere incentivate quelle pratiche di produzione rispettose delle risorse naturali, come l’agricoltura biologica, rigenerativa e di precisione, mentre per tutelare le aree rurali verranno promosse produzioni locali, filiere corte e comunità energetiche rurali.

Tra le possibili novità oggetto di discussione, c’è la semplificazione del quadro legislativo e finanziario, secondo cui nella programmazione 2028-2034 i singoli Stati potrebbero beneficiare di maggiore autonomia rispetto al recepimento di alcune norme europee. Inoltre, i due pilastri che da oltre venti anni caratterizzano l’architettura della PAC, potrebbero essere accorpati in un unico fondo, responsabile sia dei pagamenti diretti a sostegno del reddito agrario che dei finanziamenti per le politiche di sviluppo rurale.

Tuttavia, queste prime rivelazioni trovano in disaccordo numerosi esponenti del mondo agricolo, a partire dai rappresentanti delle associazioni di categoria come Confagricoltura e Coldiretti, i quali temono che l’accorpamento dei due pilastri possa tradursi in una sostanziale riduzione delle risorse destinate all’agricoltura. Al contempo, sostengono la necessità di valutare l’impatto delle riforme tramite il coinvolgimento degli operatori del settore e di mantenere il carattere “comune” della PAC, senza concedere agli Stati membri una flessibilità che potrebbe causare situazioni di disparità a livello europeo.

Per approfondire:

Ceccarini I., “PAC 2028-2034, dibattito in corso”, Rinnovabili, giugno 2025https://www.rinnovabili.it/agrifood/agricoltura/pac-2028-2034-politica-agricola-comune/.

Commissione europea, “Una visione per l’agricoltura e l’alimentazione. Creare un settore agricolo e agroalimentare attraente per le generazioni future”, febbraio 2025 https://agriculture.ec.europa.eu/overview-vision-agriculture-food/vision-agriculture-and-food_it.

Gestione dei rifiuti ed economia circolare: l’Italia è virtuosa ma sconta il divario nord-sud

Di Alessandro Campiotti


L’Italia ha superato il 65% di raccolta differenziata ed è seconda in Unione europea per l’indice di circolarità delle risorse. Tuttavia, resta necessario colmare le notevoli differenze tra regioni del nord e del sud e aumentare il ciclo di vita dei prodotti immessi sul mercato.


Contenitori per la raccolta differenziata.
Immagine di Alessandro Campiotti

Negli ultimi anni l’Italia ha fatto progressi nel campo dell’economia circolare, attestandosi tra gli Stati europei più virtuosi per quanto riguarda i numeri della raccolta differenziata dei rifiuti e la percentuale di riutilizzo dei materiali. È quanto emerge dal Rapporto Rifiuti Urbani presentato dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), in cui viene fatto il punto sugli obiettivi fin qui raggiunti a livello nazionale e sulle prossime sfide per rendere più sostenibile il sistema della gestione dei rifiuti.

Nel 2023 l’Italia ha raggiunto un tasso di raccolta differenziata del 65,2% rispetto alla produzione di rifiuti totale, di cui larga parte sono di origine urbana, dove la quota di riciclo è di poco inferiore al 50%, ancora sotto la soglia del 55% definita a livello europeo. Inoltre, il Paese mostra una condotta particolarmente virtuosa nel riutilizzo dei materiali di scarto, collocandosi al secondo posto nell’Unione europea, superata solo dai Paesi Bassi, per l’indice di circolarità delle risorse, che consiste in un indicatore che misura quanto un sistema sia in grado di dare nuova vita ai prodotti di scarto tramite un processo di valorizzazione e reinserimento nelle filiere produttive. Nel 2023, per esempio, oltre il 20% dei materiali utilizzati dal settore industriale provenivano dalle cosiddette materie prime seconde (MPS), mentre a livello europeo il dato medio si attestava di poco sopra all’11%. Entro la fine del 2025, peraltro, la percentuale di riciclo degli imballaggi dovrebbe crescere rispetto agli anni precedenti e raggiungere un dato medio del 75%, pari a circa 10,8 milioni di tonnellate, con picchi superiori all’80% per carta, vetro e acciaio, mentre la plastica rimane leggermente sotto al valore soglia del 50%.

Tuttavia, spalmando il dato medio nazionale di raccolta differenziata del 65,2% sull’intero territorio italiano, ci rendiamo contro delle notevoli differenze che caratterizzano le diverse regioni, così come le città, sebbene negli ultimi anni il divario nord-sud sia stato parzialmente ridotto. Le regioni più virtuose, con un livello di differenziazione superiore al 70% sono Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Lombardia, mentre le regioni del centro-sud presentano valori meno soddisfacenti, che spesso superano di poco il 50%, come nel caso di Lazio, Sicilia e Calabria, anche a causa della scarsità di impianti di smaltimento rispetto al nord. Oltre a rafforzare la rete di infrastrutture per la gestione dei rifiuti, bisognerebbe agire a monte riducendo l’immissione sul mercato dei prodotti con un ciclo di vita molto limitato, difficilmente riciclabili e ad elevato impatto ambientale.

Per queste ragioni, gli ultimi regolamenti europei in materia di economia circolare dispongono che i nuovi prodotti vengano progettati secondo criteri di ecocompatibilità, per avere un ciclo di vita più lungo ed essere al contempo più riparabili e riciclabili, in modo tale da poter essere recuperati nel mercato delle materie prime seconde. Inoltre, per orientare le scelte dei consumatori verso prodotti più sostenibili, dal 20 giugno di quest’anno i nuovi modelli di dispositivi elettronici, come smartphone e tablet, dovranno esporre un’etichetta relativa al livello di efficienza e prestazioni energetiche, autonomia delle batterie e grado di riparabilità, con il fine di contrastare la pratica dannosa dell’obsolescenza programmata, che da troppi anni caratterizza gli standard produttivi di numerosi prodotti di importazione.

Per approfondire:

Il Sole 24 ore, Il futuro dell’ambiente, Rifiuti urbani: cresce la differenziata, ora servono gli impianti, C. Dominelli, 2025.

ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2024, https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-rifiuti-urbani-edizione-2024;

Regolamento delegato (Ue) 2023/1669 della Commissione, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32023R1669;