5 febbraio, in Italia si celebra la Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare

Di Alessandro Campiotti

Foto di Alessandro Campiotti

Il 5 febbraio si celebra la Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare, per porre l’attenzione su un fenomeno in crescita che presenta dei numeri sconfortanti, le cui conseguenze toccano al contempo la sfera etica, sociale, economica e ambientale. I dati pubblicati dai più recenti rapporti internazionali descrivono un contesto globale in cui viene sprecato circa un terzo del cibo prodotto, uguale ad un miliardo di tonnellate lungo l’intera filiera, per un valore economico che si avvicina ai 1000 miliardi di dollari l’anno. Contrariamente a quanto si possa pensare, i settori della ristorazione e della vendita al dettaglio sono responsabili di circa il 40% degli sprechi, mentre la quota maggioritaria, pari al 60%, va attribuita alla gestione della dispensa, tutt’altro che avveduta, condotta da parte delle famiglie. Gli stessi rapporti sottolineano l’urgenza di intervenire concretamente a livello globale per abbattere l’attuale volume di spreco alimentare, che peraltro è destinato ad aumentare con l’aumento demografico, per poter raddoppiare entro 2050, quando si stima che il pianeta sarà abitato da circa 10 miliardi di persone.

La realtà fotografata dai numeri dello spreco di cibo si scontra con la drammatica condizione di insicurezza alimentare che tocca circa un terzo della popolazione mondiale, di cui quasi un miliardo soffre di fame acuta, a causa di fattori quali gli eventi atmosferici estremi, la carenza idrica e l’insorgenza di parassiti che mettono in discussione le produzioni agricole. Il WWF ha inoltre sottolineato come lo spreco alimentare sia strettamente legato ad un vero e proprio spreco di capitale naturale oltre che economico, in quanto bisogna tenere conto di tutte le risorse investite nella produzione degli alimenti, come suolo, acqua, energia, trasporti, manodopera e capitali finanziari.

Inoltre, risulta molto importante anche il tema dell’impatto ambientale causato da un sistema alimentare insostenibile, responsabile dell’immissione in atmosfera di tonnellate di gas climalteranti, che nei paesi dell’Unione europea (UE) rappresentano il 16% delle emissioni, mentre raggiungono il 10% a livello globale. Ma i numeri dello spreco variano anche in base al livello socio-economico e culturale dei diversi stati, e a questo proposito i paesi ad alto reddito presentano livelli di spreco nettamente superiori rispetto a quelli a basso reddito, dove incidono negativamente anche gli standard di conservazione. La popolazione dell’Ue, per esempio, spreca ogni anno circa 60 milioni di tonnellate di cibo, che corrispondono ad una quantità pro capite superiore ai 130 chili. In Italia, invece, i livelli di spreco risultano inferiori rispetto agli standard europei, con un valore pro capite di circa 80 chili all’anno, di cui soprattutto frutta e verdura fresca, latte, yogurt e pane. Allo stesso tempo, si evidenzia che la geografia dello spreco premia le regioni del nord, che manifestano un comportamento più virtuoso rispetto a quelle del centro-sud.

Per contrastare tale fenomeno, l’UE è impegnata nel perseguimento del Target 12.3 dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile, che prevede il dimezzamento dello spreco di cibo pro capite a livello globale entro il 2030. Per raggiungere tale obiettivo e promuovere una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile, le istituzioni sono impegnate nel coinvolgimento di ampi settori della società, come associazioni, banche alimentari, imprese, enti pubblici e scuole, per potenziare le azioni di riciclo all’insegna dell’economia circolare, sensibilizzare le persone e migliorare la loro percezione del valore del cibo.

Per approfondire

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), l’Agenda 2030 dell’Onu e gli Obiettivi di Sviluppo
Sostenibile, 2020, https://asvis.it/public/asvis2/files/Pubblicazioni/Fatti_%26_Cifre_2020.pdf;
European Commission, Food wastehttps://food.ec.europa.eu/food-safety/food-waste_en;
Global Network Against Food Crises (GNAFC), Global Report on Food Crises 2024https://azionecontrolafame.it/news/rapporto-sofi-2024/;
United Nations, International Day of Awareness on Food Loss and Waste Reduction 29 Septemberhttps://www.un.org/en/observances/end-food-waste-day.
WWF, Spreco alimentare in aumento, le buone pratiche per ridurlo, 2025, https://www.wwf.it/pandanews/ambiente/spreco-alimentare-aumento-buone-pratiche-per-ridurlo/

Vertical farming: pro e contro dell’agricoltura verticale

Di Alessandro Campiotti

L’innovativo sistema di produzione vegetale consente di risparmiare suolo, acqua e pesticidi, massimizzando al contempo la produttività, ma presenta anche degli aspetti limitanti di cui tenere conto, come i costi di investimento, la scarsa diversificazione colturale e i consumi energetici.


Interni di una vertical farm (fattoria verticale)

Foto di Alessandro Campiotti


Le più recenti stime demografiche internazionali concordano sulla tesi che nei prossimi due decenni la popolazione mondiale potrebbe subire una forte crescita, fino a superare i 10 miliardi di abitanti nel 2050. Un tale aumento demografico comporterebbe una serie di sfide molto complesse per la società, che dovrà gestire problematiche improrogabili, quali l’aumento dell’urbanizzazione, il crescente consumo di suolo, la scarsità di acqua potabile (di cui il 70% utilizzata in agricoltura) e una maggiore richiesta di beni alimentari, il tutto in un contesto di evidenti cambiamenti climatici. Le stesse stime evidenziano che nel 2050 la quota di terra coltivabile a livello globale potrebbe essere nettamente inferiore rispetto a quella coltivata nei decenni precedenti (alcuni dati parlano addirittura del 30% in meno), e questo causerebbe situazioni di insicurezza alimentare in molte aree del pianeta. Di fronte a questi scenari, sorge la necessità di rendere gli attuali metodi di approvvigionamento alimentare più efficienti sotto il profilo del consumo di risorse naturali, come suolo, acqua e fonti energetiche.

Tra le soluzioni che possono contribuire ad aumentare la sostenibilità e la resilienza dei sistemi colturali tradizionali, c’è il vertical farming o agricoltura verticale, una tecnica di produzione vegetale sperimentata per la prima volta nel 2010. Si tratta di un metodo di coltivazione indoor, cioè all’interno di spazi chiusi, protetti e isolati dall’ambiente esterno, dove le piante crescono fuori suolo in sistemi verticali a più livelli, in cui risultano massimizzati la densità colturale, la protezione da fattori biotici e abiotici e il monitoraggio delle condizioni microclimatiche e di crescita tramite un’apposita sensoristica.

I fattori produttivi quali acqua e sostanze nutritive vengono combinati in una soluzione circolante costantemente a contatto con le radici vegetali, mentre la luce, di origine artificiale, viene modulata in modo tale da riprodurre il naturale fotoperiodo delle piante, ma selezionando, al tempo stesso, le lunghezze d’onda mirate a massimizzare il processo di fotosintesi, e questo consente di incrementare la produttività per unità di superficie. Inoltre, l’impiego di circuiti chiusi per la distribuzione della soluzione nutritiva tramite sistemi soil-less (fuori suolo) di tipo idroponico o aeroponico ne consente la filtrazione, la sterilizzazione e il ricircolo, ottenendo un risparmio di acqua variabile tra il 30% e il 90% rispetto alle tradizionali coltivazioni in serra. Un ulteriore vantaggio è rappresentato dall’opportunità di realizzare filiere molto corte, con produzioni locali a chilometro zero, che permettono un abbattimento dei consumi energetici legati alle operazioni logistiche di trasporto e spedizione.

Sebbene le soluzioni di vertical farming forniscano numerosi benefici, va data la giusta attenzione anche all’altra faccia della medaglia, che presenta alcuni aspetti limitanti e in alcuni casi svantaggiosi. Il primo ostacolo è rappresentato dagli elevati costi iniziali di realizzazione dell’impianto, dove sono previsti investimenti compresi tra i 1000 e i 3000 euro/m2, di gran lunga superiori rispetto ai 100-300 euro/m2 necessari in serra. In secondo luogo, c’è il tema dei consumi elettrici connessi all’ingente richiesta di luce e al mantenimento di un microclima con livelli di temperatura e umidità relativa ideali, che tuttavia possono essere ridotti ricorrendo a un’illuminazione LED a basso consumo energetico e alimentata da sistemi fotovoltaici. Infine, un terzo elemento di dibattito è legato alla scarsa diversificazione colturale delle fattorie verticali, che per il momento hanno mostrato ottimi risultati nella coltivazione di piante di piccola taglia e dal rapido ciclo colturale, come insalate, ortaggi, verdure a foglia e piante officinali, mentre sono ancora in fase sperimentale le coltivazioni di cereali, tuberi e piante da frutto, soprattutto all’interno di edifici e capannoni industriali in disuso.

Attualmente le vertical farm sono diffuse soprattutto nelle grandi città di USA, Canada, Cina, Giappone, Corea del Sud e Singapore, e rappresentano un valore di mercato che nel 2022 si aggirava intorno ai 5 miliardi di dollari, ma che potrebbe superare i 30 miliardi nel 2032 grazie all’impulso di finanziamenti da parte di portatori di interesse come banche, fondi di investimento e altri soggetti privati. In Italia, i numeri del settore descrivono ancora un mercato di nicchia, vincolato a prezzi di vendita relativamente elevati, che in alcuni casi possono raddoppiare i prezzi medi dei prodotti di serra o di pieno campo, e che pertanto risultano spesso proibitivi per le tasche di molti consumatori. Allo stesso tempo, c’è un target di consumatori disposto a sostenere i costi di una produzione di qualità e più rispettosa dell’ambiente, così come anche in Italia stanno progressivamente nascendo nuove realtà aziendali guidate da imprenditori giovani e specializzati, fiduciosi che la ricerca e l’innovazione consentiranno presto di efficientare i sistemi produttivi e migliorare il rapporto qualità/prezzo dei prodotti agroalimentari da agricoltura verticale.


Per approfondire:

Carotti L., Pistillo A., Zauli L., Meneghello D., Martin M,, Pennisi G., Gianquinto G., Orsini F.,
Improving water use efficiency in vertical farming: Effects of growing systems, far-red radiation and planting density on lettuce cultivation , Agricultural Water Management, Volume 285, 2023, 108365, ISSN 0378-3774,
https://doi.org/10.1016/j.agwat.2023.108365.

Magnano R., Contadini verticali, sostenibili e senza suolo, Radio 24 – 24 Ore Podcast, 2024.

Oh, S., & Lu, C. (2022). Vertical farming – smart urban agriculture for enhancing resilience and sustainability in food security. The Journal of Horticultural Science and Biotechnology, 98(2), 133–140.
https://doi.org/10.1080/14620316.2022.2141666

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Città energivore, fonti di inquinamento e salute umana

Di Alessandro Campiotti

Nuovi criteri di pianificazione urbana, riduzione degli sprechi e una corretta informazione sono tra le principali soluzioni per gestire il problema dell’inquinamento atmosferico e acustico nei centri urbani.

Corridoio vegetale nel centro della città di Siviglia (Spagna)
Foto di Alessandro Campiotti


Nell’attuale panorama europeo e mondiale, i processi di urbanizzazione sono in continua crescita, e si stima che nei prossimi anni oltre il 70% dei cittadini dell’UE vivrà nelle aree urbane, che, sebbene rappresentino appena il 4% della superficie, sono luoghi estremamente energivori, responsabili di oltre il 60% della produzione di gas climalteranti. Questi, oltre a condizionare i fenomeni climatici e atmosferici, determinano un sostanziale peggioramento della qualità dell’aria, che a sua volta incide negativamente sulla salute delle persone, causando ogni anno oltre 250.000 decessi prematuri in UE, di cui circa 60.000 in Italia. A questo proposito, la comunità scientifica mondiale concorda sul fatto che un’esposizione prolungata nel tempo ad elevate concentrazioni di inquinanti atmosferici – quali particolato, biossido di azoto e ozono – può essere correlata all’insorgenza di malattie respiratorie, cardiovascolari e tumorali sui soggetti più vulnerabili.
Una recente relazione della Corte dei Conti europea, dal titolo Inquinamento urbano nell’UE – Le città hanno aria più pulita, ma sono ancora troppo rumorose, afferma che l’inquinamento dell’aria non è il solo parametro che le città dovrebbero tenere sotto controllo, e pone l’attenzione anche su altre fonti inquinanti, quali il rumore e la luce. L’inquinamento acustico, in particolare, viene generato dall’insieme dei rumori ambientali prodotti dalle attività antropiche, primo tra tutti il traffico stradale, e può avere implicazioni negative sulla salute umana, causando disturbi del sonno, fastidio cronico e malattie cardiache. Allo stesso tempo, va ricordato che il mix di rumori nocivi può disturbare anche la biodiversità urbana, specialmente l’avifauna (insieme delle specie di uccelli), i cui esemplari possono avvertire una forte riduzione delle capacità sensoriali.

Negli ultimi decenni, lo sviluppo di nuove tecnologie e l’inasprimento delle norme europee in materia di inquinamento atmosferico nelle città, hanno determinato un sostanziale miglioramento della qualità dell’aria, che ha portato ad un rilevante contenimento dei decessi, ridotti del 41% in circa quindici anni: dai 430.000 del 2005 ai 250.000 del 2021. Per tali ragioni, l’UE ha destinato agli obiettivi in materia di riduzione dell’inquinamento atmosferico 46 miliardi di euro nella programmazione 2014-2020 e ben 185 miliardi nell’attuale programmazione 2021-2027. A questo proposito, per tenere sotto controllo la concentrazione dei principali inquinanti aerei, sono stati definiti dei valori soglia da non superare, e dei valori obiettivo da raggiungere, che i diversi stati devono monitorare costantemente, mentre è stata incentivata la realizzazione di mappe acustiche per la valutazione dei rumori ambientali nei centri urbani con più di 100.000 abitanti. La relazione della Corte, inoltre, sottolinea la necessità di un’azione sinergica da parte dei 27 stati UE, in quanto l’inquinamento atmosferico non rispetta i confini nazionali o regionali, ma ha un carattere transfrontaliero, e può essere soggetto a lunghi spostamenti se veicolato da forti correnti d’aria.

Tra le principali soluzioni individuate per migliorare la qualità dell’aria e contenere l’inquinamento acustico nelle città, ci sono l’introduzione di limiti alla circolazione dei veicoli più inquinanti, l’efficientamento energetico degli edifici, la riduzione degli sprechi alimentari, la sostituzione degli impianti di riscaldamento a biomassa, il potenziamento della produzione di energie da fonti rinnovabili e la realizzazione di infrastrutture e aree verdi per favorire la fitodepurazione dell’aria ed il contenimento dei rumori. Allo stesso tempo, non meno importante in questo processo di transizione risulta essere la corretta informazione dell’opinione pubblica per favorire la comprensione di questi interventi ed incentivarne l’interesse. Molto spesso, infatti, la scarsa accettazione dei nuovi criteri di pianificazione urbana deriva dalla limitata conoscenza dei benefici che nel tempo si possono ottenere per le comunità di persone e per l’ambiente.

Per approfondire:

Campiotti A.,
Inquinamento atmosferico e salute umana: l’importanza di migliorare l’aria che respiriamo
Ambiente, Risorse, Salute, 2024,
https://www.scienzaegoverno.org/?openpublish_article=inquinamento-atmosferico-e-salute-umana-limportanza-di-migliorare-laria-che-respiriamo.

Corte dei conti europea, Inquinamento urbano nell’UE – Le città hanno aria più pulita, ma sono ancora troppo rumorose, 2025,
https://www.eca.europa.eu/it/publications/SR-2025-02.

European Environmental Agency (EEA)
https://www.eea.europa.eu/en/topics/in-depth/air-pollution,

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