Il settore vitivinicolo italiano galoppa, ma si presenta il tema della sovrapproduzione

Di Alessandro Campiotti

In Italia il comparto del vino è in salute, tuttavia l’evoluzione dei modelli alimentari, l’instabilità politica internazionale e il taglio ai finanziamenti della Politica Agricola Comune da parte della Commissione europea mettono in guardia i produttori.

Vigneti della Val d’Orcia (Toscana)
Immagine di Alessandro Campiotti

Nel 2024 la produzione di vino a livello globale ha raggiunto i 226 milioni di ettolitri (pari a 22,6 miliardi di litri), di cui il 60% sono stati prodotti nei Paesi dell’Unione europea, dove Italia, Francia e Spagna detengono il podio della classifica con livelli che toccano rispettivamente il 20%, il 16% e il 14% della produzione globale. Nonostante il 2024 abbia segnato un calo della produzione mondiale del 10% rispetto al quinquennio precedente, il comparto vitivinicolo italiano ha mostrato una tendenza opposta, chiudendo l’anno con un aumento del 15%.

È quanto emerge da un’indagine condotta dall’Area Studi Mediobanca, che ha analizzato il mercato italiano del vino focalizzandosi sulla valutazione delle performance economico-finanziarie delle 255 maggiori società produttrici, con livelli di fatturato che vanno dai 20 milioni al mezzo miliardo di euro, che insieme rappresentano circa il 95% del fatturato nazionale, di poco inferiore ai 12 miliardi. Dai dati dell’inchiesta si evince che il settore vitivinicolo italiano presenta sostanzialmente buone condizioni di salute, ottenendo notevoli risultati in termini di redditività sia a livello nazionale che sul panorama internazionale. Ogni anno, infatti, le esportazioni si avvicinano al 50% della produzione interna (circa 22 milioni di ettolitri su 45 prodotti), con un incremento del saldo commerciale che ha visto triplicare il proprio valore negli ultimi venti anni, trainato in particolar modo da spumanti e vini frizzanti.

Inoltre, il 2024 ha segnato un ulteriore punto a favore dell’enoturismo, in quanto è in crescita il numero di persone che non si accontenta di consumare vino in casa o in locali ed enoteche, ma predilige l’esperienza coinvolgente e a tratti sensoriale della visita in azienda. Immergersi per qualche ora all’interno di una realtà produttiva fornisce ad appassionati e semplici curiosi l’opportunità di comprendere dal vivo gli aspetti che caratterizzano la filiera vitivinicola, partendo dalle tecniche agronomiche di coltivazione della vite in campo, passando per gli affascinanti processi di vinificazione, conservazione e invecchiamento in cantina, per concludere con l’assaggio del prodotto finale e magari con l’acquisto di qualche bottiglia.

Immagine di Alessandro Campiotti

Al contempo è aumentata da parte dei consumatori la richiesta di vini ottenuti nel rispetto dell’ambiente e senza il ricorso all’uso della chimica in campo, come nel caso dei vini biologici, che rappresentano un segmento di mercato pari al 5% del totale, la cui produzione fa riferimento a regolamenti europei e disciplinari nazionali e regionali. Per quanto riguarda invece le performance su base territoriale, il Veneto è la regione che con il 25% della produzione si conferma al primo posto della classifica italiana, seguita dalla Puglia con il 16% e da Piemonte e Toscana di poco sotto al 5%, mentre oltre il 65% delle aziende risulta mantenere un assetto proprietario di tipo familiare.

Sebbene i numeri menzionati dipingano una condizione di complessiva stabilità del comparto vitivinicolo, gli operatori del settore non sono dello stesso parere, in quanto da alcuni anni a questa parte la quantità di vino prodotto supera quella di vino consumato, e questa situazione non interessa solo l’Italia, ma numerosi altri paesi nel mondo. Ad oggi, infatti, in Italia il consumo di vino pro-capite è di 37 litri all’anno, in netto calo rispetto ai circa 100 litri annui consumati fino a pochi decenni fa. Questo dipende da una serie di fattori, primo tra tutti l’evoluzione dei modelli alimentari dettata dalla maggior informazione medica e dall’attenzione alla salute che caratterizza la società odierna e in particolare le nuove generazioni, che consumano molto meno vino rispetto ai loro genitori e nonni, anche perché prediligono altre bevande alcoliche.

Ma non è tutto, in quanto gli imprenditori manifestano preoccupazione anche nei confronti degli effetti del cambiamento climatico, delle incertezze di mercato determinate dalla politica protezionistica attuata dall’amministrazione americana e dal taglio del 20% dei finanziamenti al settore agricolo previsto dalla nuova Politica agricola comune (PAC) che entrerà in vigore dal 2028. A questo proposito, bisogna ricordare che il settore vitivinicolo, e quello agricolo nel suo complesso, oltre a rappresentare un primato a livello internazionale per quanto riguarda la quantità delle produzioni e la creazione di valore aggiunto, gioca un ruolo fondamentale nell’economica reale delle zone rurali, in quanto favorisce il presidio di aree altrimenti abbandonate e contribuisce a valorizzarne le peculiarità e le tradizioni dal punto di vista agroalimentare, enologico, gastronomico e turistico.

Per approfondire:

Area Studi Mediobanca, IL VINO ITALIANO ALLA SCOPERTA DI NUOVI MERCATI, 2025, https://www.areastudimediobanca.com/it/product/il-settore-vinicolo-italia-ed-2025.

Commissione europea, Commission supports the EU wine sector in the face of new challenges, marzo 2025, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_25_900.

Infrastrutture verdi urbane: il caso del deposito ATM di Milano


Di Alessandro Campiotti

Il quartiere milanese di Giambellino è stato teatro di un intervento di rigenerazione urbana basato sulla natura che ha visto la realizzazione di una parete verde di 350 metri quadri sulla facciata di un deposito ATM locale. A tre anni dall’inaugurazione, i residenti hanno accettato positivamente l’iniziativa e c’è stato un solo episodio di vandalismo.

Foto di Alessandro Campiotti

Da alcuni anni l’amministrazione che guida il Comune di Milano persegue una serie di interventi di rigenerazione urbana in sintonia con le politiche green promosse dall’Unione europea, per raggiungere, almeno in parte, gli obiettivi prefissati in termini di contenimento delle emissioni di gas climalteranti, promozione della biodiversità e miglioramento della qualità dell’aria. Sebbene la questione risulti assai spinosa e determini reazioni molto distinte tra i residenti, ci sono alcuni esempi virtuosi attuati tra il centro urbano e le aree limitrofe di cui vale la pena portare l’esperienza, come il caso del quartiere Giambellino.

Ci troviamo in Via Giambellino 121, periferia sud-ovest di Milano, dove nel 2021 il progetto europeo H2020 Clever Cities ha finanziato, in collaborazione con il Comune, la realizzazione di una parete verde in una facciata esterna di un deposito ATM (Azienda Trasporti Milanesi) che ospita 300 mezzi e dove lavorano circa 500 persone. L’iniziativa di candidare la società municipalizzata al bando lanciato dal Comune di Milano è stata frutto di un cambio di paradigma maturato dal CDA di ATM, che dal 2017 ha iniziato a promuovere diversi interventi in linea con le politiche di sostenibilità ambientale, come la sostituzione della flotta costituita da 1250 autobus diesel con mezzi elettrici, alimentati da colonnine installate all’interno dei diversi depositi.

Dopo tre anni dall’inaugurazione, la parete verde di 350 metri quadri, collocata lungo una via molto trafficata, risulta in perfette condizioni e le piante si presentano rigogliose e in buona salute. Il segreto della buona riuscita di questo esempio di infrastruttura verde urbana ci è stato spiegato da Paolo Pignataro, dottore agronomo che da anni opera nel settore del verde pensile e parietale, il quale ha contribuito in qualità di progettista alla realizzazione dell’impianto. Considerando l’elevata concentrazione di polveri sottili che rende l’aria di Milano particolarmente inquinata, è stato deciso di selezionare un mix di specie vegetali sempreverdi a portamento erbaceo e arbustivo, come Hedera helix, Chlorophytum comosum e Trachelospermum jasminoides, che fossero adatte alle condizioni microclimatiche e al contempo resistenti agli inquinanti atmosferici ed efficaci nel sequestro di anidride carbonica (CO2) e nell’accumulo di particolato (PM).

La scelta delle specie botaniche, spiega Pignataro, è essenziale nelle fasi progettuali per definire il numero di piante che possono essere messe a dimora per ogni metro quadro, che nel caso in questione varia tra 20 e 30 in base alle dimensioni. Un impianto di verde parietale ben progettato, infatti, richiede una manutenzione ordinaria limitata, che consiste nello svolgimento di operazioni di potatura due volte l’anno e nel regolare monitoraggio visivo delle piante in modo tale da individuare eventuali carenze nutrizionali, presenza di microrganismi dannosi o fitopatologie ed intervenire in tempi rapidi.

Per quanto riguarda la progettazione dell’impianto di irrigazione, prosegue il progettista, bisogna invece considerare parametri come la portata del muro, il peso della struttura, la tipologia di substrato e la quantità di matrice per garantire una buona ritenzione idrica, con perdite di acqua ridotte. In questo caso, il sistema irriguo è automatico e costituito da microirrigatori alimentati con acqua corrente che veicolano la soluzione circolante lungo la struttura favorendo anche il graduale scioglimento dei fertilizzanti distribuiti. Tuttavia, per rendere più sostenibile l’impianto sarebbe opportuno realizzare un sistema di raccolta e ricircolo delle acque meteoriche, affinché vengano destinate all’irrigazione delle piante.

Inoltre, per favorire il monitoraggio e la valutazione dei benefici ambientali prodotti, la parete verde è stata dotata di sensori di temperatura, umidità relativa e concentrazione di polveri sottili, fungendo anche da strumento di sperimentazione scientifica per studenti degli atenei locali, mentre tre grandi pannelli descrittivi mirano a fornire alcune informazioni sul progetto a residenti, passanti e automobilisti bloccati nel traffico.

In tre anni, un solo atto vandalico ha interessato la parete verde di Via Giambellino, e questo dovrebbe auspicabilmente dimostrare la sua complessiva accettazione da parte della popolazione locale, anche grazie al contributo in termini di sensibilizzazione apportato dalle associazioni di quartiere, che fin dal principio sono state coinvolte nella progettazione dell’intervento. Insieme ai residenti, anche i dipendenti del deposito ATM, inizialmente titubanti sull’iniziativa, hanno mostrato il loro sostegno rispondendo nel tempo a questionari di gradimento che hanno prodotto risultati sostanzialmente positivi.

Isole di calore urbane: cause e possibili soluzioni

Di Alessandro Campiotti

Nel periodo estivo le città sono puntualmente soggette al fenomeno microclimatico dell’isola di calore, che può determinare temperature notevolmente superiori rispetto alle zone suburbane e rurali. Spazi verdi, mobilità sostenibile ed efficientamento energetico degli edifici possono contribuire a mitigare gli eccessi del microclima urbano.

Superfici inerbite in una via di Milano
Immagine di Alessandro Campiotti

Dopo una primavera più calda rispetto alle medie stagionali, il mese di luglio ha portato con sé il caldo torrido e insopportabile, certificando di fatto l’inizio di una lunga estate che durerà almeno fino a settembre. Da diversi giorni le città di mezza Europa sono da bollino rosso, con temperature record che superano i 40 gradi nelle ore centrali della giornata, causando non pochi problemi al buon funzionamento delle cose e soprattutto alla salute di persone ed esseri viventi. A causa della crisi climatica in atto, i dati meteorologici registrano ogni anno livelli di temperatura superiori agli anni precedenti, con un conseguente surriscaldamento degli ecosistemi naturali e antropizzati, dagli ambienti marini e costieri fino a quelli urbani.

Non è un mistero che nel periodo estivo le città non siano il luogo ideale in cui risiedere, poiché quei comuni fattori negativi, come l’inquinamento dell’aria o la scarsità di spazi verdi, risultano esacerbati dall’avvento del “solleone”. Le città, inoltre, tendono a manifestare un fenomeno microclimatico che prende il nome di isola di calore urbana, dall’inglese Urban Heat Island (UHI), che consiste nel particolare riscaldamento di alcune aree, le cui temperature possono risultare fino a sette gradi superiori rispetto alle zone limitrofe, suburbane e rurali. I luoghi maggiormente interessati sono quelli caratterizzati da elevata concentrazione di edifici e densità abitativa, alte percentuali di superfici pavimentate e scarsità di parchi e suoli permeabili. Materiali come cemento e asfalto, che costituiscono edifici, strade e marciapiedi, hanno l’elevata capacità termica e radiativa di trattenere il calore trasmesso dalla radiazione solare nelle ore diurne per rilasciarlo nelle ore successive al tramonto, determinando il riscaldamento dell’aria circostante.

Un altro parametro da tenere in considerazione è la configurazione geometrica e topografica della città, che consiste nella disposizione degli elementi artificiali e naturali in relazione alle diverse altitudini presenti sul territorio. In questo senso, un complesso di palazzine poco distanziate tra loro, collocato in una zona pianeggiante e circondato da superfici asfaltate può ridurre notevolmente il passaggio dell’aria, favorendo un effetto cappa che può risultare assai fastidioso per i residenti. Gli effetti negativi del caldo, peraltro, possono risultare più sfavorevoli per quelle fasce di popolazione svantaggiate dal punto di vista socioeconomico, che vivono in aree fortemente urbanizzate, scarsamente dotate di spazi verdi e spesso prive dell’accesso a sistemi di condizionamento dell’aria. Le conseguenze negative sul benessere psico-fisico possono manifestarsi sotto forma di colpi di calore, disidratazione, riduzione di concentrazione, apprendimento e produttività lavorativa. Per queste ragioni, molte città sono impegnate a stilare la lista dei cosiddetti “rifugi climatici”, luoghi pubblici come giardini, aree verdi, biblioteche e case di quartiere, dove le persone possono trovare temperature più miti e sopportabili grazie al raffrescamento dell’aria conseguito in maniera artificiale tramite condizionatori, o naturale tramite la presenza di piante.

A questo proposito, i sistemi vegetali rappresentano una soluzione naturale di mitigazione microclimatica grazie alle proprietà fisiologiche delle piante, che con la traspirazione utilizzano il calore proveniente dall’energia solare per trasformare l’acqua veicolata dai sistemi vascolari dallo stato liquido a quello gassoso, refrigerando gli organi fogliari e raffrescando, di conseguenza, l’aria circostante. Al contempo, la presenza di specie arboree può garantire un piacevole ombreggiamento e contribuire a migliorare la qualità dell’aria tramite l’attività fotosintetica, che sequestra anidride carbonica (CO2) ed emette ossigeno, e la riduzione della concentrazione di polveri sottili, che tendono a depositarsi sulle superfici fogliari.

Tuttavia, non basta delegare la mitigazione del clima all’azione delle piante, che oltretutto in città restano sotto rappresentate. Bisognerebbe in primo luogo pianificare l’ambiente urbano in modo da massimizzare la presenza di aree verdi, suoli drenanti e superfici chiare che riflettano la radiazione solare e in secondo luogo agire per ridurre l’impatto antropico sul microclima potenziando la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica degli edifici e tenendo a mente che l’aria calda che i condizionatori espellono dalle nostre abitazioni o uffici, contribuisce a riscaldare ulteriormente l’ambiente esterno, determinando in questo modo un circolo vizioso.

Per approfondire:

Albini G., Guerri G., Munafò M., Morabito M.,Investigation of the Surface Urban Heat Island (SUHI) by two remote sensing-based approaches in Italian regional capitals, Remote Sensing Applications: Society and Environment, Volume 38, 2025, 101567, ISSN 2352-9385, https://doi.org/10.1016/j.rsase.2025.101567.

Hsu, A., Sheriff, G., Chakraborty, T. et al. Disproportionate exposure to urban heat island intensity across major US cities. Nat Commun 12, 2721 (2021). https://doi.org/10.1038/s41467-021-22799-5.