Padova e il suo suolo: non solo edifici e strade ma anche agricoltura di prossimità

Di Alberta Vittadello

Arativo con siepe bordo campo.
Sullo sfondo edifici abitativi, zona Montà.
(Foto di Alberta Vittadello)


Il territorio comunale di Padova ha un’estensione di poco meno di 100 kmq, in misure agrarie corrisponde a 10.000 ettari, il 99% di tale superficie è occupato da edifici, strutture produttive e infrastrutture stradali. Percorrendo le strade, dalle tangenziali alle circonvallazioni interne ci sono scarse possibilità di vedere il territorio e la presenza o meno di coltivi, l’orizzonte è costantemente costituito da edifici più o meno elevati. Tuttavia, prendendosi il tempo di passeggiare a piedi o in bicicletta, lungo i 50 Km dell’anello fluviale che circonda l’area comunale si possono vedere scorci molto diversi. Dagli argini del Brenta, della Brentella, dello Scaricatore o del Bacchiglione, si ha modo di cogliere una realtà rurale che non si immagina.

Si tratta di 54 ettari coltivati a cereali, leguminose, orticole e 21 ettari coltivati a vigneti e frutteti a uso familiare. Dal punto di vista numerico rappresenta ben meno dell’1% della superficie comunale ma si tratta di una realtà molto importante.

Sono 490 le aziende censite dove sono presenti siepi campestri a bordo campo, una trama che separa e nel contempo unisce la città alla campagna circostante, mantenendo viva la biodiversità come l’avifauna e la flora spontanea. La metà delle 210 case coloniche censite ha ancora la funzione originaria, le restanti, in parte restaurate rispettando l’architettura originale, sono state trasformate in residenze, mentre un numero non trascurabile, circa una quarantina, è in stato di totale abbandono.
Alcune aziende che operano nel territorio padovano hanno creato dei punti di vendita di prodotti agroalimentari e distributori di latte crudo, coltivazioni agricole biologiche e mercati a Km0 che hanno una clientela locale. Queste realtà confermano che i cittadini padovani esprimono una forte domanda di filiera corta. L’Amministrazione comunale ha il compito di rendere il sistema Km0 un sistema visibile con la valorizzazione delle realtà agricole-orticole affinché la produzione locale si integri e acquisti il ruolo che buona parte dei consumatori già riconosce.

Arativo con siepe a bordo campo. Sullo sfondo edificio produttivo. Via Monte Cero. (Foto di B. Bellon)

In questo contesto socio-produttivo ed economico-culturale si inseriscono progetti e attività che danno un grande contributo alla salvaguardia del territorio e alla sostenibilità in senso ampio.

Il Laboratorio “A che punto siamo con la salute del suolo e del cibo nella città di Padova?”, svoltosi in città in modalità World cafè, il 18 novembre 2024, va in questa direzione.
L’iniziativa è sostenuta da due importanti realtà territoriali SAUR: Suoli Agricoli Rigenerati e Coltiva Padova. I partecipanti partivano da parole chiave come: cibo, salute, accessibilità. La metodologia del World cafè ha favorito il confronto tra gruppi informali e dinamici. Il metodo ha permesso di raccogliere una varietà di prospettive e idee valorizzando la diversità di esperienze e competenze dei partecipanti.

Il degrado del suolo causato anche dall’eccessivo uso di sostanze chimiche è un notevole elemento di criticità per la salute del substrato pedologico. Spesso però si incontrano difficoltà ad usare sostanze organiche come il letame, la cui movimentazione causa cattivi odori mal sopportati in contesto urbano. Negli ultimi anni, gli eventi meteorici estremi mettono in difficoltà gli agricoltori che faticano ad essere risarciti in caso di grandinate, siccità o periodi troppo piovosi. Il cambiamento climatico entra nella discussione/confronto e viene spontaneo dire che vi è poca consapevolezza a tutti i livelli, anche governativo. Dal punto di vista socio/culturale si mette in evidenza la necessità di aiutare il consumatore a diventare consapevole del valore del cibo, della qualità, stagionalità e del lavoro agricolo che segue le stagioni. D’inverno nella nostra terra si coltivano verze e cavoli, si raccolgono tarassaco e rosolaccio, salutari e davvero a km0.

Si evidenzia anche che la gestione della filiera necessita di maggior coordinamento e dialogo tra produttori e consumatori.

Dai tavoli emerge l’importanza di costruire un sistema più collaborativo e resiliente.

Elementi essenziali diventano l’educazione e sensibilizzazione a partire dalle nuove generazioni; la scuola Primaria fa la sua parte con diverse attività compreso l’orto. Importante ci sembra la proposta di creare un “Atlante del cibo” locale per mappare la filiera e favorire relazioni.

Rafforzare la rete tra agricoltori, istituzioni e cittadini è un altro degli obiettivi perché sostenibilità e accessibilità diventino traguardi vicini.

Alla protezione e salvaguardia del suolo vanno aggiunte pratiche agro-ecologiche e diversificazione delle colture avvicinandosi alle pratiche dell’agricoltura di precisione che, grazie alle nuove tecnologie, permette di individuare i bisogni dei coltivi dalla concimazione all’innaffiatura programmate e mirate.

Innovazione agricola e pianificazione territoriale coinvolgono tutte le realtà presenti: è necessario proteggere i terreni agricoli, valorizzare i margini urbani al fine di integrare agricoltura e città.

Le strategie individuate ai tavoli e succintamente descritte sopra, necessitano di supporti concreti da parte di Associazioni di categoria, singoli agricoltori, ricerca, società civile. Nella collaborazione tra ciascuna realtà, individuale o associata, ogni attore deve fare la propria parte per dare avvio a iniziative di economia circolare, sostegno ai singoli agricoltori e lotta allo spreco.

Lungo l’argine del Canale Brentella.
Campi coltivati, zona Montà.
(Foto di Francesco Manfrotto)

Per maggiori informazioni

Comune di Padova | Progetto europeo Saur
Verso una Politica del Cibo sostenibile e giusta per Padova | Etifor
l’anello fluviale in bici

COP 16 sulla Biodiversità: Roma chiude gli accordi iniziati a Cali


Di Alessandro Campiotti

La XVI Conferenza delle Parti sulla diversità biologica definisce le strategie di finanziamento per attuare gli obiettivi dell’Accordo di Kunming Montreal del 2022. Tra le principali sfide figurano la riduzione dei sussidi dannosi per la biodiversità e la creazione di un fondo a sostegno delle comunità locali dei Paesi in via di sviluppo.

Sede centrale della FAO a Roma (foto di Alessandro Campiotti)


Salvaguardia della natura, sviluppo sostenibile ed equità sociale sono tra i numerosi temi che hanno animato la COP 16 sulla Biodiversità, tradizionale Conferenza delle Parti promossa dalle Nazioni Unite che ha avuto luogo a Roma, presso la sede della FAO, dal 25 al 27 febbraio scorsi, per concludere il dibattito iniziato lo scorso novembre a Cali, in Colombia, dove il mancato raggiungimento del quorum aveva causato il rinvio delle discussioni. Alla tre giorni di dibattiti hanno preso parte i rappresentanti di oltre 150 Paesi al mondo, per riprendere i negoziati avviati a Cali, e giungere finalmente alla ratificazione di un pacchetto di accordi su cui basare le strategie di tutela della biodiversità dei prossimi anni.

La necessità di un intervento immediato in questa direzione è dettata dallo stato di grave degrado in cui versa la natura, che da alcuni decenni subisce una progressiva erosione del proprio patrimonio biologico a causa di numerosi fattori di origine antropica, a partire dall’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Come certifica il WWF, che ogni due anni pubblica un rapporto approfondito sullo stato di salute globale degli ecosistemi (Living Planet Report), negli ultimi 50 anni si è assistito alla perdita di circa il 70% delle popolazioni di vertebrati come mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci. Questa condizione di rapido impoverimento delle risorse naturali, aggravata dagli eventi climatici estremi sempre più frequenti, determina una serie di elementi di instabilità anche a livello socioeconomico, politico e sanitario, di cui fanno le spese soprattutto le comunità locali dei Paesi in via di sviluppo.

Per far fronte a questa situazione e promuovere dei piani di intervento concreti, la COP 16 ha preso in esame il quadro di riferimento globale per la protezione delle biodiversità (Kunming Montreal Global Biodiversity Framework) approvato nella precedente COP 15 tenutasi a Montréal (Canada) nel 2022. Il Protocollo, caratterizzato da 23 obiettivi da perseguire entro il 2030, annovera tra le principali sfide il ripristino del 30% degli ecosistemi degradati (terrestri, acquatici e marini), la riduzione dell’impatto delle attività antropiche e l’introduzione del concetto di biodiversità nei processi decisionali che guidano le politiche ambientali e le strategie di sviluppo territoriale.

Allo stesso tempo, sono state previste una serie di azioni finalizzate a responsabilizzare imprese internazionali e istituzioni finanziarie nella valutazione dell’impatto ambientale legato al loro operato. Per tale ragione, è stato approvato un taglio progressivo di almeno 500 miliardi di dollari annui di incentivi pubblici considerati dannosi per la biodiversità, e il conseguente finanziamento della protezione della natura con almeno 200 miliardi annui finanziati da soggetti pubblici e privati. Inoltre, dopo avere definito le strategie di finanziamento per attuare gli obiettivi dell’Accordo di Kunming Montreal, la COP 16 ha lanciato il “fondo Cali”, uno strumento finanziario necessario alla raccolta di una parte dei proventi delle industrie farmaceutiche, biotecnologiche e cosmetiche che utilizzano le risorse genetiche di origine vegetale e animale, per destinarli alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.

A margine di tre giorni di discussioni, che purtroppo hanno suscitato uno scarso interesse mediatico e politico, si può affermare che la COP 16 abbia compiuto alcuni passi in avanti rispetto al passato, coinvolgendo i rappresentanti delle comunità locali e della società civile a livello decisionale, incentivando la responsabilizzazione del settore privato e definendo una serie di indicatori per rendere omogeneo il sistema di valutazione e monitoraggio degli interventi programmati. Tuttavia, occorre sottolineare anche una serie di elementi contrastanti emersi dagli accordi finali, come la mancanza di vincoli chiari in merito al taglio degli incentivi dannosi per la biodiversità, la non obbligatorietà per le industrie inquinanti di contribuire al fondo Cali e la raccolta di sostegni economici da parte dei paesi donatori per un importo pari a poche centinaia di milioni di dollari, una cifra ancora molto lontana da quella stimata per la realizzazione di azioni concrete a beneficio dell’ambiente.

Per approfondire:

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), Cop 16: definita a Roma la strategia per finanziare la protezione della biodiversità, 28/02/2025, https://asvis.it/notizie/2-23139/cop-16-definita-a-roma-la-strategia-per-finanziare-la-protezione-della-biodiversita

Convention on Biological Diversity, Kunming Montreal Global Biodiversity Framework, 2030 Targets (with Guidance Notes), 2022, https://www.cbd.int/gbf/targets

Legambiente, Cop 16, raggiunto accordo per la biodiversità, 03/03/2025, https://www.legambiente.it/news-storie/natura-e-biodiversita/cop-16-raggiunto-accordo-per-la-biodiversita/

L’Italia e il PNRR, tra opportunità e ritardi


Di Alessandro Campiotti

A meno di due anni dalla fine del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) l’Italia ha speso solo il 30% delle risorse erogate dalla Commissione europea. Inoltre, le numerose revisioni programmatiche e le difficoltà di coordinamento nell’attuazione dei progetti minano le potenzialità di crescita economica del Paese.

Tra i numerosi temi che hanno alimentato il dibattito pubblico e mediatico degli ultimi anni, molta attenzione è stata certamente rivolta al PNRR, acronimo che identifica il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ovvero la declinazione italiana del più ampio Programma europeo Next Generation EU (NGEU), lanciato dall’Unione europea (UE) nel 2020 per far fronte alla grave crisi sanitaria economica e sociale scatenata dalla pandemia da Covid-19. Il Programma NGEU, entrato in vigore nel febbraio del 2021, è stato finanziato con 723,8 miliardi di euro da erogare agli Stati membri dell’UE entro il 2026, di cui 338 sotto forma di sovvenzioni e 385,8 sotto forma i prestiti a tassi agevolati. Coerentemente con il NGEU, il PNRR italiano si rivolge in particolare al futuro delle nuove generazioni, ed è stato disegnato con l’obiettivo di intervenire nell’ambito di sette principali missioni, che vanno dalla transizione ecologica alla trasformazione digitale, dalla coesione sociale e territoriale al potenziamento delle infrastrutture, agendo al contempo sui settori della salute, dell’istruzione, della ricerca e dell’energia.

Come è noto, l’Italia è stato il Paese che più di tutti ha beneficiato dei finanziamenti europei, portando a casa un importo totale di 194,4 miliardi, di cui 71,8 come sovvenzioni e 122,6 come prestiti. Contrariamente a quanto si possa pensare, l’entità della dotazione finanziaria erogata ai diversi Paesi è stata definita matematicamente da un algoritmo messo a punto dalla Commissione europea, che, considerando una serie di parametri, come il numero delle vittime da Covid-19 e la consistenza dei danni economici, ha commisurato la mole di finanziamenti allo shock socio-economico causato dalla pandemia. In questi anni le risorse europee sono state erogate con una cadenza semestrale, e ad oggi l’Italia ha già ottenuto oltre 140 miliardi, tuttavia sconta un grave ritardo sulla tabella di marcia relativa al raggiungimento degli obiettivi, che dovrebbero essere conseguiti entro il 30 giugno 2026.

A questo proposito, un recente rapporto pubblicato dalla Fondazione ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) fa il punto sullo stato di attuazione del PNRR, sottolineando che all’inizio del 2025 è stato speso solo il 30% dei 194 miliardi spettanti all’Italia. Inoltre, viene segnalato che i fondi fin qui allocati sono andati a finanziare una miriade di oltre 250.000 interventi lungo il territorio nazionale – localizzati per il 45% al Nord, per il 35% nel Mezzogiorno e per il 17% nel Centro – di cui hanno beneficiato soprattutto i centri con oltre 250.000 abitanti, a discapito di quelli minori, spesso dotati di amministrazioni con un personale carente di figure specializzate. Un tale numero di progetti – molti dei quali presumibilmente di entità limitata – ha determinato una situazione di eccessiva frammentazione rispetto agli interventi strutturali che il PNRR ambisce a perseguire. Per queste ragioni, nel corso degli anni, l’Italia ha più volte ricorso alla possibilità di effettuare delle revisioni programmatiche rispetto ai piani iniziali, e questo ha alimentato ritardi e incertezze nell’attuazione dei progetti.

Inoltre, va ricordato che tra gli attori in gioco nella macchina operativa, oltre alle pubbliche amministrazioni, come ministeri, regioni e comuni, c’è il settore delle imprese private, responsabile della realizzazione pratica delle opere, e pertanto tra i principali beneficiari delle risorse del PNRR. A tale riguardo, Assonime (Associazione italiana delle società per azioni), ha recentemente messo in evidenza che le numerose revisioni apportate al PNRR hanno alimentato nel tempo un clima di instabilità e incertezza tra gli operatori del mercato, i quali ravvisano una sostanziale difficoltà di pianificazione, insieme al rischio di partecipare a bandi pubblici che potrebbero essere modificati o cancellati. Tali ragioni hanno contribuito a ridimensionare le stime dell’impatto del PNRR sulla crescita dell’Italia, e allo stesso tempo sollevano una riflessione in merito alle potenzialità del Sistema Paese di poter assorbire in modo efficiente la notevole quantità di denaro erogata. Infine, occorre tenere presente che la gran parte dei finanziamenti che non promuoveranno dei risultati proficui in termini economici, sociali e ambientali, andranno ad alimentare il debito pubblico nazionale, che ha da poco superato il tetto dei 3000 miliardi di euro.

Per approfondire:

Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) Fondazione IFEL-Ufficio Studi e Statistiche Territoriali, Lo stato di attuazione del PNRR e il ruolo dei comuni, Edizione 2024. https://www.fondazioneifel.it/documenti-e-pubblicazioni/item/download/6097_fa13d15c44978814194189de3bf0c4ee.

Assonime (Associazione italiana delle società per azioni), Note e Studi 1/2025 – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Lo stato di attuazione, 20/02/2025.

Italia Domani (2021). Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, #NextGenerationItalia, Roma.

Presidenza del Consiglio dei ministri (2024). Quarta relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (febbraio 2024), Roma.

Immagine di intestazione: Italia Domani, Presidenza del Consiglio dei Ministri.