Il «fantastico trasparente» di Dino Buzzati

Giacomo De Fusco

Marsilio editore 2025
pp. 248
Collana Ricerche
€ 21,00
IBAN 9788829792597

Una personalità artistica poliedrica e poetica quella di Dino Buzzati. Di professione giornalista con una lunga carriera al Corriere della Sera di Milano, saggista, autore di romanzi e racconti, è stato anche drammaturgo, poeta, pittore, e persino creatore di fumetti. Come molti studi hanno evidenziato, la suggestione per il fantastico accomuna tutta la sua produzione, aleggia pure nei suoi pezzi giornalistici.
Giacomo De Fusco in questo volume che è frutto di tre anni di appassionata ricerca durante il suo dottorato all’Università Federico II di Napoli, fra le varie forme di scrittura di Buzzati si è dedicato alla narrativa breve, i romanzi, la produzione teatrale e la scrittura giornalistica. Il punto d’arrivo del suo studio è il concetto di vuoto che pur declinandosi in modi e forme diverse, è sempre presente nell’opera di Buzzati. Questo concetto è un approccio nuovo, non rilevato prima di lui dalla critica buzzatiana. De Fusco lo dispiega come un filo d’Arianna nel corpus complesso dell’autore, con una pluralità di approcci che tengono conto di diversi aspetti sia nell’analisi stilistica che in quella dei temi trattati.
Punti di partenza della ricerca sono l’attenzione di Buzzati per il paesaggio, ad esempio, e per il rapporto uomo e animale che è ricco, complesso e contraddittorio nella visione buzzatiana. Una ricerca ricca, appassionata, soprattutto dotta. Assenze, mancanze, attese, omissioni caratterizzano stilisticamente il vuoto cui si accompagna un particolare tipo di inquietudine (eerie) presente particolarmente nel rapporto uomo-animale. Il concetto di vuoto può essere letto come mancanza di senso e può avvicinare Buzzati all’esistenzialismo di Camus, ad esempio, dice De Fusco. Analizza i diversi volti che il vuoto può assumere a livello concettuale, cioè come può essere percepito da personaggi e lettori. Evidenzia la ricorrenza di una particolare costruzione, “struttura a pozzo”, la chiama, perché sembra che la trama ruoti attorno a un’assenza. Studia le particolarità stilistiche con cui questo concetto di vuoto viene realizzato: elisioni, silenzi, non detti, particolarità formali che hanno riscontro nei contenuti. Passa poi ad analizzare i diversi modi di vuoto in ambito teatrale, con l’analisi di aspetti verbali e scenici e studia anche lo spazio, che rappresenta il vuoto per eccellenza: “quel deserto che l’autore tanto amava”, perché nel deserto, dice Buzzati, si è sentito veramente felice, quella volta che si trovava in Africa.
Il fascino del deserto non è tanto legato alla presenza del vuoto in sé, quanto all’inquietudine, alla sensazione che qualcosa possa venire dal nulla da un momento all’altro. Però il vuoto risalta anche quando ci si aspetta che finalmente accada qualcosa e invece non succede niente. Alla fine del suo studio prettamente analitico sul vuoto in Buzzati, De Fusco propone per la sua poetica la definizione di “fantastico trasparente”. I fattori di trasparenza che analizza con minuziosità sono comuni alla mole più importante dell’opera buzzatiana, ma il testo che più di tutti sembra assommare i fattori di trasparenza elencati, è “Il deserto dei Tartari che “risulta essere un serbatoio quasi inesauribile tanto sul piano tematico quanto su quello stilistico”. Approfondita l’analisi di De Fusco a dimostrazione di questo.
In conclusione, il fantastico in Buzzati si rileva nelle sensazioni che provengono dai vuoti, dai silenzi, dalle attese di ciò che non c’è . È un fantastico di non detti, di assenze e di lacune, di un rivelarsi in filigrana, un «fantastico trasparente», come dal titolo.

Etta Artale

In Cammino – Viaggio nelle abbazie che raccontano il nostro futuro

In cammino
Viaggio nelle abbazie che raccontano il nostro futuro.

Livia Pomodoro

Marsilio editore

pp. 208, 1° ed. 2025

Gli specchi
Prezzo di copertina €18,00

IBAN 9788829792641

Il sottotitolo del testo incuriosisce il lettore abituato a pensare alle abbazie come scrigni che si aprono verso il passato raccontando vicende e realtà di tempi anche molto lontani.

Ma queste realtà sono “vive” attuali e, soprattutto, un motore di futuro. Livia Pomodoro ci accompagna, prendendoci per mano a riempire i nostri occhi e la nostra mente di speranza. Memoria e futuro si coniugano in questo viaggio al presente, si colgono orizzonti che aprono cuore e mente. Un cammino laico che prende avvio a Canterbury e il lettore diventa pellegrino che apprende un movimento lento. Si ferma con l’autrice e il suo accompagnatore Alberico per conoscere la storia ma anche il presente delle realtà monastiche. La capacità di apprezzare il silenzio e il lavoro. Quel lavoro che i monaci alternano alla preghiera e che fornisce il sostentamento alla comunità. Si conoscono realtà diverse, dai Benedettini ai cistercensi, per comprendere quanto è importante il contributo di queste comunità ma anche le loro particolarità.

Comunità era l’idea monastica con regole da rispettare, ma a partire dall’anno Mille, il Medioevo vive un periodo di crescita economica, demografica e culturale. Anche l’etica dei Cistercensi si adegua e il lavoro non è solo un intercalarsi alla preghiera ma diventa fonte di prodotti che si vendono e il ricavato viene investito per acquisto di terreni. La gestione degli stessi prevede un reticolo di aziende agricole messe in piedi in luoghi strappati alle paludi e reso adatto ai coltivi in tutte le stagioni.Tali aziende, le grange, in omaggio alla filosofia di Bernardo, sono funzionali e fanno parte del gruppo di insediamenti che circondano l’abbazia e coinvogono gli abitanti dell’area. Reti stradali, irrigue, poderi e strutture per la produzione agricola: le Grange cambiano il territorio. L’economia ne beneficia e le abbazie diventano gioielli architettonici, abbellite da vetrate colorate e pavimenti in pietra. Il medioevo non è più un periodo buio ma un momento storico di grandi cambiamenti e i monaci ne sono il motore.

Citiamo qualcuna delle XXII tappe toccate dall’autrice a iniziare dall’abbazia Benedettina di Santa Maria di Fulda in Germania (Assia) con una storia piena di vicissitudini a partire dalla guerra dei 30 anni fino all’esilio in Francia durante il periodo nazista. Le monache non hanno mai perso il culto della natura che si esprime anche attraverso la morigeratezza, “l’eccesso ci avvicina all’avidità, distrugge le relazioni interpersonali e la capacità di ascolatre” un messaggio che va colto e valorizzato soprattutto nella società attuale.

Passiamo per Morimondo, con la sua abbazia cistercense, in provincia di Milano, il suo nome è un ossimoro: morto al mondo, ma i monaci di Morimondo sono viventi tra i viventi e come nel Medioevo praticano le attività funzionali alla comunità monastica con il mulino, il forno, le stalle per l’allevamento e la foresteria per l’accoglienza dei pellegrini. La foresteria significava allora come ora accoglienza. Non solo, attualmente i terreni e le produzioni di Morimondo sono ecostenibili, il rispetto per la biodiversità è il modo per assicurare un futuro nella diversità. Dare valore alla terra rispettandola, ci fa pensare a sorella acqua e fratello sole non solo di San Francesco ma anche di papa Francesco.

Quanti messaggi più o meno espliciti può trovare il lettore che diventa pellegrino lento e attento, capace di ascolto e accoglienza, facendo proprio il messaggio di San Bernardo di Chiaravalle che nel nell’anno 1000 scriveva: ”gli alberi ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”. Grazie a questo cammino scopriamo modi alternativi di essere cittadini oggi. I monaci colgono la necessità di cambiare prospettive per salvguardare la biodiversità e il concetto di accoglienza. Cambiamento individuale che può e deve coinvolgere il cambiamento collettivo a partire da quanti hanno il potere economico, politico e di governo.

Livia Pomodoro , già presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, del Tribunale di Milano e dell’Accademia di Brera, è presidente e direttrice artistica dello Spazio Teatro No’hma. Dal 2018 è titolare della cattedra Unesco Food Systems for Sustainable Development and Social Inclusion presso l’Università Statale di Milano. Nel 2019 è stata designata dalla Diocesi di Milano referente per la tutela delle fragilità. Da anni coltiva e nutre l’eredità artistica della sorella Teresa, fondatrice del Teatro No’hma, alla cui memoria ha istituito un premio internazionale.

Alberta

Una settimana di luglio

Una settimana di luglio
Gianluca Battistel
Editore   Alphabeta, 2025
Pagine 200 in brossura
Prezzo di copertina € 18.00
ISBN 9788872234457

Pensando alla Bosnia, alla strage di Srebrenica, si può provare un senso di colpa per aver rimosso dalla personale memoria quelle informazioni che venivano fornite, talvolta, distorte o volutamente assopite. Luglio è tempo di vacanza ma in quell’estate di 30 anni fa in Bosnia Erzegovina si inaspriva l’attrito iniziato nel 1992 diventando una vera e propria guerra.

Convivenza, nell’accezione più ampia familiare, domestica, religiosa, questa era la realtà sociale, culturale geografica di Bosnia. Famiglie miste dal punto di vista del credo religioso si trovavano allo stesso tavolo per feste e matrimoni, i bambini frequentavano le stesse scuole.

L’autore intreccia gli eventi del conflitto con la vita e la morte di tre protagonisti come a stigmatizzare tutte le esistenze spezzate dalla ferocia.

Elmin, Melisa e Ahmed non si conoscono, condividono soltanto l’appartenenza al popolo sbagliato nel momento storico sbagliato. Diventano vittime delle loro stesse precarie illusioni.

Nei due anni precedenti agli eventi descritti, Elmin fa il maestro in una scuola in cui alunni serbi e bosniaci convivono, apprendono insieme e lui è pieno di speranze per un futuro comune. Melisa è un’infermiera diplomata che lavora con passione e competenza e, fino al parossismo della guerra, si occupa di malati e infortunati ma soprattutto feriti durante le battaglie che hanno preceduto l’assedio del 1995. Ahmed è una promessa del calcio, prova ad affermarsi in uno sport che ama e sogna un futuro da campione. Ma non è tempo per campionati di calcio è tempo di guerra. Tra incertezza e dubbi esistenziali Ahmed, convinto da un coetaneo, entra nell’esercito bosniaco con la convinzione di ottenere per la propria terra quell’indipendenza che altri territori hanno ottenuto. Ma le decisioni, mai come in questo momento, non sono del popolo, sono dei potenti! A livello locale, con nomi che abbiamo conosciuto e a livello internazionale, i caschi blu dell’ONU che fanno solo da spettatori al massacro nel quale, come sempre, perdono la vita giovani e vecchi, donne e bambini. Donne che subiscono dal punto di vista culturale lo sciovinismo maschilista e dal punto di vista fisco lo stupro e la violenza definibile di massa.

Ed è proprio durante l’assedio di Srebrenica che vincono potere economico e sistema politico internazionale. Due inverni senza cibo e sotto i bombardamenti. Melisa opera nell’ospedale senza farmaci, i chirurghi tagliano arti senza anestesia. Lei si confida con Elmin e conosce Ahmed che va a donare sangue per i feriti. Gli alunni serbi non frequentano più la scuola di Elmin.

L’assedio continua durante l’estate e circa tremila persone tra cui Elmin, Ahmed e Melisa, guidate da un anziano del posto fuggono attraverso i boschi per non essere individuati e presi di mira dai serbi appostati sulle alture circostanti ma qualche razzo riesce a colpire il gruppo seminando il tragitto di brandelli umani. Tentano di avvicinarsi alle cavità carsiche lungo la Drina ma vengono individuati dai soldati serbi appostati nell’altro versante e decimati. Chi di loro emergerà da questo incubo di fame e sete, di follia e terrore, di brutalità e massacri, lo farà con la consapevolezza di aver attraversato l’inferno, e di non poter più tornare a essere la persona che era prima. L’autore assegna, quasi come un compito, a Elmin il racconto di quei giorni perché non si perda questa memoria. Nel testo vengono messi a nudo in tutto il loro orrore, i lati oscuri dell’essere umano, insieme alle ambiguità, le contraddizioni e la ferocia che si nascondono sotto la patina di quella che definiamo società civile. I tragici eventi di Srebrenica sono, purtroppo, uno dei tanti esempi di violenza che scaturisce da brama di potere locale e ancor più a livello planetario.

Alberta