Gestione dei rifiuti ed economia circolare: l’Italia è virtuosa ma sconta il divario nord-sud

Di Alessandro Campiotti


L’Italia ha superato il 65% di raccolta differenziata ed è seconda in Unione europea per l’indice di circolarità delle risorse. Tuttavia, resta necessario colmare le notevoli differenze tra regioni del nord e del sud e aumentare il ciclo di vita dei prodotti immessi sul mercato.


Contenitori per la raccolta differenziata.
Immagine di Alessandro Campiotti

Negli ultimi anni l’Italia ha fatto progressi nel campo dell’economia circolare, attestandosi tra gli Stati europei più virtuosi per quanto riguarda i numeri della raccolta differenziata dei rifiuti e la percentuale di riutilizzo dei materiali. È quanto emerge dal Rapporto Rifiuti Urbani presentato dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), in cui viene fatto il punto sugli obiettivi fin qui raggiunti a livello nazionale e sulle prossime sfide per rendere più sostenibile il sistema della gestione dei rifiuti.

Nel 2023 l’Italia ha raggiunto un tasso di raccolta differenziata del 65,2% rispetto alla produzione di rifiuti totale, di cui larga parte sono di origine urbana, dove la quota di riciclo è di poco inferiore al 50%, ancora sotto la soglia del 55% definita a livello europeo. Inoltre, il Paese mostra una condotta particolarmente virtuosa nel riutilizzo dei materiali di scarto, collocandosi al secondo posto nell’Unione europea, superata solo dai Paesi Bassi, per l’indice di circolarità delle risorse, che consiste in un indicatore che misura quanto un sistema sia in grado di dare nuova vita ai prodotti di scarto tramite un processo di valorizzazione e reinserimento nelle filiere produttive. Nel 2023, per esempio, oltre il 20% dei materiali utilizzati dal settore industriale provenivano dalle cosiddette materie prime seconde (MPS), mentre a livello europeo il dato medio si attestava di poco sopra all’11%. Entro la fine del 2025, peraltro, la percentuale di riciclo degli imballaggi dovrebbe crescere rispetto agli anni precedenti e raggiungere un dato medio del 75%, pari a circa 10,8 milioni di tonnellate, con picchi superiori all’80% per carta, vetro e acciaio, mentre la plastica rimane leggermente sotto al valore soglia del 50%.

Tuttavia, spalmando il dato medio nazionale di raccolta differenziata del 65,2% sull’intero territorio italiano, ci rendiamo contro delle notevoli differenze che caratterizzano le diverse regioni, così come le città, sebbene negli ultimi anni il divario nord-sud sia stato parzialmente ridotto. Le regioni più virtuose, con un livello di differenziazione superiore al 70% sono Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Lombardia, mentre le regioni del centro-sud presentano valori meno soddisfacenti, che spesso superano di poco il 50%, come nel caso di Lazio, Sicilia e Calabria, anche a causa della scarsità di impianti di smaltimento rispetto al nord. Oltre a rafforzare la rete di infrastrutture per la gestione dei rifiuti, bisognerebbe agire a monte riducendo l’immissione sul mercato dei prodotti con un ciclo di vita molto limitato, difficilmente riciclabili e ad elevato impatto ambientale.

Per queste ragioni, gli ultimi regolamenti europei in materia di economia circolare dispongono che i nuovi prodotti vengano progettati secondo criteri di ecocompatibilità, per avere un ciclo di vita più lungo ed essere al contempo più riparabili e riciclabili, in modo tale da poter essere recuperati nel mercato delle materie prime seconde. Inoltre, per orientare le scelte dei consumatori verso prodotti più sostenibili, dal 20 giugno di quest’anno i nuovi modelli di dispositivi elettronici, come smartphone e tablet, dovranno esporre un’etichetta relativa al livello di efficienza e prestazioni energetiche, autonomia delle batterie e grado di riparabilità, con il fine di contrastare la pratica dannosa dell’obsolescenza programmata, che da troppi anni caratterizza gli standard produttivi di numerosi prodotti di importazione.

Per approfondire:

Il Sole 24 ore, Il futuro dell’ambiente, Rifiuti urbani: cresce la differenziata, ora servono gli impianti, C. Dominelli, 2025.

ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2024, https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-rifiuti-urbani-edizione-2024;

Regolamento delegato (Ue) 2023/1669 della Commissione, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32023R1669;

L’estate porta con sé il pericolo degli incendi boschivi

Di Alessandro Campiotti


Ogni anno più di mille incendi bruciano 350.000 ettari di ecosistemi forestali nel territorio europeo, causando notevoli perdite dal punto di vista ecologico ed economico. Oltre a migliorare la manutenzione dei boschi, andrebbe aperta una riflessione sul fatto che la gran parte degli eventi sono causati dall’azione dell’uomo.

Foto di Alessandro Campiotti


L’arrivo dell’estate è alle porte, e come ogni anno la bella stagione apre un ricco ventaglio di opportunità per molte persone, che iniziano a fare il conto alla rovescia prima di abbandonare i centri urbani per qualche settimana di meritato riposo. Tuttavia, l’aumento delle temperature estive non è collegato solo alla fine delle scuole e alla tintarella balneare, ma anche all’inizio della triste stagione degli incendi boschivi, che bruciano annualmente vaste estensioni forestali causando la perdita di numerosi habitat naturali.

Una recente relazione pubblicata dalla Corte dei conti europea in merito allo scottante tema degli incendi boschivi, sostiene che ogni anno il territorio europeo viene investito da circa 1000 incendi di almeno 30 ettari l’uno, per un totale di oltre 350.000 ettari di bosco persi o gravemente danneggiati. Ogni evento, inoltre, comporta una serie di ripercussioni sia per l’ambiente che per l’essere umano, come la perdita del capitale naturale e di biodiversità e il rilascio nell’aria di elevate quantità di anidride carbonica (CO2) e altri inquinanti atmosferici che, se respirati, possono risultare particolarmente pericolosi per la salute umana. Il rischio di incendio può essere valutato in relazione ad alcuni fattori che caratterizzano il bosco, come la struttura del suolo, la topografia del paesaggio e il carico di biomassa combustibile; tuttavia, solo una minima percentuale degli incendi è riconducibile a cause naturali, come l’azione di un fulmine, mentre la gran parte sono attribuibili all’azione colposa o dolosa dell’uomo, e questo dovrebbe aprire una seria riflessione di ordine etico.

A livello europeo, la gestione del patrimonio forestale è di competenza dei singoli Stati, mentre la Commissione europea ha la responsabilità di promuovere strategie di pianificazione e manutenzione del territorio e di finanziare lo sviluppo di progetti di ricerca e innovazione per la salvaguardia del patrimonio boschivo. Al contempo, i diversi Stati dovrebbero tutelare il valore ecologico ed economico delle foreste perseguendo una politica di prevenzione che riduca quanto possibile il rischio di incendio, per esempio attuando una serie di buone pratiche di gestione che vanno dalla rimozione della vegetazione secca alla realizzazione di fasce parafuoco, dal potenziamento del monitoraggio del territorio all’aggiornamento delle mappe di rischio obsolete. Secondo il Sistema europeo d’informazione sugli incendi boschivi, ogni anno in UE si stimano perdite economiche pari a circa due miliardi di euro, pertanto la raccomandazione che viene rivolta ai governi è di investire nella prevenzione dagli incendi più di quando si spenda per far fronte alla loro estinzione, dando la precedenza alle aree più ricche di biodiversità, come quelle della Rete Natura 2000.

Puntando lo sguardo sull’Italia, i dati di un recente rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) basati su analisi di osservazioni satellitare ad alta risoluzione, certificano che nel 2024 una superficie totale di 514 chilometri quadrati è stata interessata da incendi boschivi, pari a circa la metà dell’area del comune di Roma. A farne le maggiori spese sono stati gli ecosistemi forestali costituiti da specie appartenenti alle latifoglie sempreverdi, come lecci, sugheri e mirti, seguiti dalle latifoglie decidue quali querce, faggi e castagni, per finire con le conifere, come pini e abeti, meno soggetti a prendere fuoco per via della composizione cerosa delle loro foglie. Rispetto agli anni precedenti, tuttavia, la superficie media colpita da incendi a livello nazionale è risultata inferiore di circa il 30% e le regioni più coinvolte sono state Sicilia, Calabria e Sardegna, mentre hanno mostrato risultati meno preoccupanti le regioni del centro-nord.

Per approfondire:

Corte dei conti europea, relazione speciale 16/2025, “I finanziamenti dell’UE per affrontare gli incendi boschivi – Sono state adottate più misure preventive, ma gli elementi in grado di attestarne i risultati e la sostenibilità nel lungo termine sono insufficienti”, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, 2025. https://www.eca.europa.eu/it/publications/SR-2025-16

ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), Ecosistemi terrestri ed incendi boschivi in Italia: Anno 2024, https://www.isprambiente.gov.it/files2025/attivita/report_incendi_2024_ispra.pdf.

Desertificazione, siccità, carenza idrica: tre sfide di rilevanza globale

Di Alessandro Campiotti


In occasione della Giornata mondiale della desertificazione si torna a parlare di un fenomeno che interessa oltre il 40% delle superfici del pianeta. Le cause sono plurime, di origine naturale ed antropica, e le conseguenze negative sono tangibili dal punto di vista sociale, economico e ambientale.

Foto di Alessandro Campiotti

Il 17 giugno è stata celebrata la Giornata mondiale per il contrasto alla desertificazione e alla siccità, istituita dall’ONU nel 1994 con l’obiettivo di promuovere la consapevolezza dell’opinione pubblica mondiale sul fenomeno del degrado del suolo e delle sue numerose conseguenze negative per l’ambiente e per l’essere umano. Ogni anno, infatti, si stima che nel mondo alcune decine di milioni di ettari di suolo vadano incontro al processo di desertificazione a causa del progressivo deterioramento delle proprietà chimico-fisiche e biologiche dei terreni, necessarie a supportare la produttività agronomica e quindi la produzione alimentare. Questo fenomeno, a sua volta, dipende da una combinazione di fattori di origine naturale ed antropica, come la scarsità di piogge e l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, che influenzano le variazioni climatiche in atto in alcune aree del pianeta, rendendo sempre più comuni eventi atmosferici estremi.

Il suolo, peraltro, è una risorsa limitata e non rinnovabile, e la sua degradazione può causare nel tempo la perdita irreversibile del suo potenziale biologico, mettendo in discussione le capacità di approvvigionamento alimentare di interi territori e determinando serie conseguenze anche a livello socioeconomico. Secondo le stime, circa il 40% dei terreni mondiali presentano scarse condizioni di salute ed elevati livelli di degrado, che si traducono in una sostanziale riduzione delle principali funzioni ecologiche, che vanno dalla riserva idrica alla produzione alimentare, dalla fornitura di habitat per la biodiversità alla regolazione del clima. La desertificazione, inoltre, è strettamente legata alla siccità e alla carenza idrica, e questi fenomeni interessano oltre due miliardi di persone nel mondo, in particolare tra le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, dove è in crescita il numero di persone non hanno accesso a fonti di acqua potabile.

Alla luce di recenti rapporti nazionali e internazionali, tuttavia, le preoccupazioni legate al degrado dei suoli e alla siccità interessano anche il 40% del territorio europeo e il 28% di quello italiano, con un maggior coinvolgimento delle regioni meridionali e delle isole. Nel panorama nazionale, infatti, l’inquinamento dei terreni e la drastica riduzione del livello di fertilità sono da imputare ad una serie di fattori, come i prodotti chimici di sintesi largamente utilizzati nelle pratiche di agricoltura intensiva e lo smaltimento non sempre adeguato dei rifiuti di origine urbana e industriale.

In questo contesto va sottolineato che un terreno in salute, permeabile e ricco di biodiversità, oltre a garantire la sicurezza alimentare, influenza tangibilmente il livello di sicurezza del territorio, tema particolarmente sentito in Italia, dove i fenomeni dell’erosione e del dissesto idrogeologico sono all’ordine del giorno. Inoltre, bisogna ricordare anche che l’Italia è il Paese dove ogni secondo vengono consumati 2,3 metri quadri di suolo a causa dell’eccessiva urbanizzazione, il consumo pro-capite di acqua è tra i più alti d’Europa e ogni anno la rete di distribuzione registra perdite idriche superiori al 40%. Per tali ragioni, numerosi organismi internazionali, compresa la Commissione europea, sostengono la necessità di eseguire azioni atte a ripristinare i suoli degradati e contaminati partendo dall’attuazione di pratiche di agricoltura conservativa e rigenerativa, che consistono rispettivamente nel mantenere la copertura del suolo per ridurne l’erosione, e nella coltivazione di colture fitodepuratrici, capaci di estrarre i metalli pesanti accumulati in profondità.

Per approfondire

Commissione Europea: Strategia dell’UE per il suolo per il 2030 “Raccogliere i benefici di suoli sani per le persone, il cibo, la natura ed il clima”, COM (2021) 699 final;

ONU – Centro Regionale di Informazioni delle Nazioni Unite: Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile;

Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA): “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, 2024 – https://www.snpambiente.it/temi/suolo/consumo-di-suolo-dinamiche-territoriali-e-servizi-ecosistemici-edizione-2024/.