Dalla ricerca alla comunicazione: Stefano Bertacchi ci ha spiegato l’evoluzione del ruolo del ricercatore nella divulgazione scientifica
Di Alessandro Campiotti
La sua folgorazione per la divulgazione scientifica è avvenuta a causa di un imprevisto e da quel momento non ha più smesso. Parliamo di Stefano Bertacchi, classe 1990, ricercatore nell’ambito delle biotecnologie industriali presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca ma anche divulgatore scientifico, autore di articoli e testi sui temi che più lo appassionano, come la biologia sintetica, gli OGM e la microbiologia, che spiega con un linguaggio semplice e divertente ai non addetti ai lavori tramite canali social, eventi in presenza e spettacoli teatrali. Lo abbiamo incontrato in quello che definisce ironicamente il suo “habitat naturale”, ovvero l’ambiente universitario, affaccendato tra l’attività di laboratorio, la revisione di tesi e paper e la partecipazione ad un convegno scientifico e ha risposto ad alcune nostre domande e curiosità sulla divulgazione della scienza.

Stefano, qual è stato il momento chiave in cui hai iniziato ad interessarti alla divulgazione scientifica?
Probabilmente è iniziato tutto a causa di un imprevisto! Alcune persone, infatti, si erano introdotte nello stabulario dell’università, dove vengono allevati gli animali utilizzati per le sperimentazioni, e ne avevano portato via alcuni esemplari, compromettendo il lavoro di molti ricercatori. Quel gesto di così scarso rispetto nei confronti della ricerca scientifica e di chi la porta avanti con passione e fatica mi ha spinto ad attivarmi per fare informazione su questi temi, coinvolgendo numerose persone e creando un vero e proprio network. Da quel momento, quindi, ho iniziato a “farmi le ossa” interessandomi alla comunicazione e alla divulgazione della scienza tramite i canali social e gli eventi dal vivo.
In cosa consiste oggi il ruolo del divulgatore scientifico e come pensi che sia cambiato rispetto al passato?
La professione del divulgatore scientifico è molto sfaccettata, perché tocca un mix eterogeneo di discipline che vanno dalla ricerca al giornalismo, dal teatro all’attività museale, ma direi che il suo ruolo principale è quello di servirsi di vari mezzi comunicativi per avvicinare le persone alla scienza, rendendo comprensibili e/o di intrattenimento le tematiche più complesse. Il ruolo poi si è molto evoluto rispetto al passato, soprattutto grazie all’avvento dei social e alla loro crescente esplosione mediatica, che ha fatto della divulgazione una professione più pop, in quanto sempre più persone si affacciano a questo mondo, spesso arricchendolo con nuovi temi e linguaggi, ma in altri casi abbassando il livello qualitativo dei contenuti.
Chi sono i tuoi riferimenti nell’ambito della divulgazione e perché?
Tra i miei riferimenti in questo ambito ci sono alcuni nomi noti al grande pubblico, come Dario Bressanini, Roberta Villa e Beatrice Mautino, ma anche diversi nomi appartenenti alla nuova generazione di divulgatori e giornalisti, come Ruggero Rollini, Simone Angioni e Barbascura X, che oggi sono miei colleghi e amici, e nonostante ci occupiamo di argomenti diversi, collaboriamo sempre con piacere ispirandoci a vicenda. Oggi, inoltre, posso dire di avere la soddisfazione di essere io stesso il riferimento di molti giovani che si approcciano alla divulgazione, quindi sarò contento di poter passare gradualmente il testimone.
Come selezioni gli argomenti da trattare in modo che siano rilevanti e sempre di interesse per il pubblico?
Da un lato seguo la cronaca del momento e cerco di legarmi alle notizie che reputo di maggiore interesse, dall’altro, però, mi concentro sulle tematiche che più mi appassionano, sia perché le racconto con maggiore facilità ma soprattutto perché credo interessino al pubblico che segue i miei canali e le mie ricerche. Alcune volte, tuttavia, mi è capitato di prendere spunto direttamente dai fatti di cronaca, come quando nelle scorse Olimpiadi di Parigi 2024 si parlava della contaminazione del fiume Senna causata dalla presenza del batterio Escherichia coli, di cui ho parlato in radio e in alcuni articoli.
Qual è la principale sfida che ti trovi ad affrontare in qualità di divulgatore?
Rendere interessante per il pubblico ciò che è interessante per me e adattare il livello delle tematiche trattate e il registro linguistico ai diversi contesti a cui mi rivolgo. Nei miei libri, per esempio, ho la possibilità di prendermi tutto il tempo e lo spazio necessario a trasmettere certi concetti. Negli eventi dal vivo o nei video social, al contrario, i tempi sono più stretti e bisogna sempre trovare il giusto compromesso tra l’argomento, la situazione e la platea che ascolta. In questo senso, devo ammettere di essere molto agevolato dall’esperienza maturata come ricercatore, sempre pronto a adattarmi alle diverse situazioni, ma non nascondo che in alcuni casi ho qualche difficoltà ad interpretare il pubblico che mi segue, soprattutto nel caso dei social.
Quali sono le principali tematiche di cui ti sei interessato negli ultimi anni?
Sicuramente si tratta di tematiche in linea con la mia attività di ricerca, come le tecnologie genetiche CRISPR e TEA che si utilizzano per la modificazione genetica delle piante, gli OGM (organismi geneticamente modificati) in generale, poi mi sono molto interessato di plastiche, bioplastiche e microrganismi a 360 gradi, da quelli necessari alla preparazione del pane fino a quelli che causano malattie infettive. Ogni argomento, poi, apre a sua volta molte derivazioni di grande interesse.
Pensi che la scienza oggi persegua obiettivi che intercettano le esigenze e la sensibilità delle persone o va più veloce rischiando in alcuni casi di non essere compresa o addirittura di rappresentare un elemento di rischio?
La scienza e l’innovazione tecnologica corrono veloci e non sempre la società corre di pari passo, soprattutto per quanto riguarda i temi relativi all’intelligenza artificiale, alla produzione di carne coltivata e alle nuove tecnologie genetiche. Per queste ragioni, come scienziato e comunicatore sento il dovere di spiegare al pubblico il processo di transizione che stiamo vivendo, che in alcuni casi può avere delle evidenti ripercussioni economiche e politiche, basti pensare alle nuove dinamiche che caratterizzano il lavoro in molti settori. In questo senso trovo fondamentale instaurare un dialogo sincero con il pubblico, per evitare di alimentare i dubbi e le incomprensioni sui diversi argomenti.
Cosa consiglieresti ad una persona che volesse approcciarsi al mondo della divulgazione?
Il primo consiglio che darei sarebbe di interessarsi ad un argomento, approfondirlo ed esercitarsi a raccontarlo, senza avere paura di sbagliare. Quando ho cominciato io, nel 2014, questa porzione di mercato era sicuramente più inesplorata, anche perché i social non erano ancora così sviluppati. Io ho cominciato a condividere i miei contenuti su Facebook e poi, dal 2018, sono passato anche su Instagram, che da qualche anno è diventato un’interessante vetrina di prodotti di vario genere. Allo stesso tempo, però, bisogna ammettere può risultare più complicato inserirsi in un mercato più maturo e saturo rispetto a dieci anni fa, ma dobbiamo ricordare che la divulgazione scientifica non è solo social e ci sono tante altre opportunità da cogliere in un settore molto variegato e sempre disposto a collaborare e darsi una mano.