Mytho, il nuovo gene anti-età che aiuta a invecchiare in salute

di Alessia Zanetti su

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Esiste un modo per vivere a lungo, invecchiando bene e in salute? Lo studio dal titolo Mytho promotes healthy ageing in C. elegans and prevents cellular senescence in mammals, pubblicato sulla rivista medica di ricerca traslazionale Journal of Clinical Investigation, tenta di dare una risposta.

In natura, gli organismi sono continuamente esposti a stress ambientali che mettono a dura prova la loro stessa esistenza e solo le specie che si adattano in modo rapido ed efficiente alle condizioni ostili sopravvivono. Questa risposta positiva alle condizioni ostili è regolata da cambiamenti trascrizionali – trasferimenti dell’informazione genetica dal DNA all’RNA – che limitano il danno tissutale e favoriscono la riparazione e la resistenza allo stress.

La funzione della maggior parte del nostro codice genetico, tuttavia, è ancora ignota: un esempio sono i geni che codificano le proteine, di cui più di 5mila su un totale di 20mila sono completamente sconosciuti. Per conoscere e caratterizzare il mondo all’interno del nostro DNA servono infatti tempo, risorse ed energie. Dopo nove anni di studio e la collaborazione internazionale tra ricercatori di tutto il mondo, oggi possiamo dire di aver ricostruito un tassello in più del nostro genoma: un gruppo di ricercatori diretto da Marco Sandri, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova e principal investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) ha infatti identificato e caratterizzato Mytho, un nuovo gene che controlla l’invecchiamento cellulare e la longevità.

Lo studio è stato in parte finanziato da un’azione del PNRR nel partenariato sull’invecchiamento, chiamato AGE-IT “Ageing Well in an Ageing Society”, che ha permesso la creazione di una rete nazionale di ricercatori che studiano questo processo biologico. Age-It è una rete di università, enti di ricerca e imprese che unisce le eccellenze nazionali nello studio dell’invecchiamento tramite una triangolazione tra le forze delle scienze sociali, biomediche e tecnologiche. La mission del progetto è fare dell’Italia un hub scientifico internazionale e un laboratorio empirico per studiare l’invecchiamento della popolazione.
Le prime autrici dello studio, Anais Franco Romero (dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova) e Valeria Morbidoni (dipartimento di Salute della donna e del bambino dell’Università di Padova), sono partite da una ricerca informatica per identificare potenziali geni implicati nei meccanismi che controllano la qualità delle proteine e delle strutture cellulari. Tra i diversi candidati, il team si è focalizzato su un gene che spiccava per essere estremamente conservato tra le diverse specie animali, dall’uomo fino ai vermi, denominato Mytho (da Macroautophagy and YouTHOptimizer).

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I rischi nascosti in pane e biscotti. Il decalogo per sfornare in maniera sicura (e buona)

Notizia a cura di Stefano Polacchi su newsletter di “Il Gambero Rosso” del 3 luglio 2024

L’Unione Europea lancia l’allarme per il cancerogeno acrilammide sviluppato in cereali, patate e caffè da cotture troppo elevate. Ecco il decalogo per usare il forno senza rischi.

Se c’è una cosa che attrae i nostri sensi come il canto delle sirene per Ulisse, questo è il profumo del pane appena sfornato. E se il filone ha una bella crosta marrone, scura e appetitosa che già promette croccantezza, allora il rapimento diventa totale. Eppure, è proprio dietro a quel pane che si nasconde in agguato uno dei più infidi e insidiosi nemici della nostra salute: l’acrilammide. Sostanza poco conosciuta e molto cancerogena.

Il pericolo nascosto nel pane

«Ed è proprio il pane il più pericoloso contenitore di acrilammide – spiega Chiara Manzi, nutrizionista e studiosa di longevità – Il pane è l’alimento che maggiormente contribuisce all’assunzione di questo cancerogeno, seguito dai biscotti e da altri prodotti da forno: i bambini consumano molti di questi alimenti e sono tra le fasce più vulnerabili. Per gli adulti, poi, uno dei maggiori responsabile dell’assunzione di acrilammide è anche il caffè». Pensiamo per un attimo a quello bruciato (anche nel cappuccino) che ci propongono ogni mattina in diversi bar accompagnato da croissant e cornetti purtroppo spesso anch’essi marroni, troppo marroni.

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All’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles grande successo per “L’arte triestina al femminile nel ‘900 d’avanguardia italiano ed europeo”

Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles,
fino al 31 luglio 2024

Ampio risalto è stato per altro dato da parte della stampa belga all’evento espositivo: tra gli altri, “La Libre Belgique”, il più importante e storico quotidiano belga in lingua francese, fondato nel 1883, ha dedicato all’esposizione, visitata e apprezzata finora da un ampio pubblico internazionale, un’intera pagina con un articolo molto approfondito e sensibile di Aurore Vaucelle, nota e brillante giornalista del settore cultura del quotidiano belga e fondatrice e conduttrice di “La Libre Explore”, sezione storico-culturale che accompagna i lettori in un viaggio di reportage e di approfondimento.

Traendo spunto dalla mostra, che racconta l’avanguardia delle donne triestine nella vita e nell’arte attraverso cinque artiste iconiche (Leonor Fini, Maria Lupieri, Maria Melan, Anita Pittoni, Miela Reina), Vaucelle traccia con maestria un ritratto inedito del milieu culturale triestino della prima metà del ‘900, costellato di personaggi d’eccezione, tra cui Joyce, Svevo e Saba, Leo Castelli, Gillo Dorfles, Bobi Bazlen. Che sarebbero divenuti noti a livello internazionale e che permearono di sé l’ambiente culturale triestino dell’epoca frequentato assiduamente dalle cinque artiste. Un milieu, nel cui controluce s’intravvedeva anche la figura dello psicanalista triestino Edoardo Weiss, allievo di Freud, che attraverso Trieste traghettò la psicanalisi in Italia.

Il fascino glamour di cui attualmente gode Trieste – “La città celeste” descritta dallo scrittore Diego Marani, da poco riscoperta da un pubblico internazionale – proviene certamente da questo passato d’eccezione, ora noto nel cuore d’Europa, grazie anche a questa mostra.

E vanno pure ricordati gli antichi e forti legami che sussistono fra Bruxelles e Trieste. La capitale belga, considerata nell’Ottocento la più bella città d’Europa in virtù dell’eleganza dei suoi edifici, dovuta anche ai ricchi proventi derivanti dalle miniere del Congo, fu meta di studio e di lavoro da parte di vari artisti di Trieste e dei territori limitrofi. Tra questi, per esempio, Edmondo Passauro (Trieste 1893 – 1969), ritrattista, pittore di figura e maestro di Leonor Fini, che influenzò molto la pittrice nell’ispirazione e nello stile almeno finchè lei partì per Parigi. Nel 1930 Passauro si trasferì a Bruxelles, apprezzato e richiesto soprattutto dall’aristocrazia belga e dalla ricca borghesia europea.

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