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“La transizione alla green economy” è possibile

Dai fondamenti della green economy ai fattori che potrebbero accelerare la transizione verso un'economia più sostenibile, questi i temi del “Meeting di Primavera” della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, in occasione del quale è stato presentato l’ultimo libro di Edo Ronchi “La transizione alla Green Economy”. 


I fondamenti della green economy

Mercoledì 9 maggio si è tenuto a Roma, presso il Nazionale Spazio Eventi, il “Meeting di Primavera”, organizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile per celebrare i suoi 10 anni di attività. In occasione del Meeting, è stato presentato l’ultimo libro di Edo Ronchi, Presidente della Fondazione, dal titolo “La transizione alla green economy”, un libro – come ha affermato lo stesso Ronchi, durante la presentazione – volto a tracciare un “quadro approfondito dell’evoluzione dell’economia verde in Italia e nel mondo, a 25 anni dal Summit sulla Terra di Rio de Janeiro (3-14 giugno 1992). Nella società contemporanea l’economia svolge un ruolo decisivo, determinando la sostenibilità nonché l’insostenibilità dello sviluppo. In una società in cui le risorse diventano sempre più scarse e dove si registra un consumo inarrestabile di suolo, che minaccia la biodiversità e il capitale naturale, si sente il bisogno di una nuova narrazione economica che assicuri uno sviluppo umano sostenibile, che procuri una migliore qualità della vita in uno spazio ecologico limitato e che punti ad una crescita qualitativa e quantitativamente selettiva. “In un solo secolo (il Novecento) – ha affermato Ronchi – la popolazione mondiale è quadruplicata, il consumo di energia è cresciuto di circa 8 volte e quello di risorse naturali di oltre 12; l’uso indiscriminato dei combustibili fossili ha generato enormi volumi di anidride carbonica che stanno influenzando fortemente il clima”. “Così non si può andare avanti – ha sottolineato Ronchi – perché l’attuale sviluppo, così com’è, non va; qualche passo nella giusta direzione è stato compiuto, ma si è fatto ancora troppo poco e in modo troppo lento e tortuoso, a volte perfino contradditorio”. Parlando del suo libro, Ronchi ha individuato quelli che possono essere definiti i “tre fondamenti dell’economia verde”:

  • Tutela del clima e della biosfera. I costi di quella che ormai può essere definita una vera e propria “crisi climatica ed ecologica” hanno raggiunto un’enorme rilevanza economica;
  • Circolarità delle risorse. L’economia circolare, alla base della green economy, è la via per affrontare il nodo dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, consentendo di disaccoppiare il livello del consumo di risorse da quello delle attività economiche;
  • Benessere inclusivo e sobrio. La sostenibilità ambientale si può ottenere sostituendo il consumismo indiscriminato con una migliore qualità dei consumi, con migliori beni e servizi e minori impatti ambientali.

Nel corso della conferenza, Ronchi ha evidenziato i fattori che potrebbero accelerare la transizione verso un’economia più sostenibile: politiche pubbliche (in particolare quelle fiscali) in grado di internalizzare i costi esterni con strumenti economici quali tasse, tariffazioni, incentivi e disincentivi, in grado di orientare verso uno sviluppo economico sostenibile; l’eco-innovazione, che porta non solo benefici dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista dell’occupazione; una “finanza verde” capace di accelerare la transizione alla green economy attraverso i green bonds, in forte crescita nel mondo (non in Italia), che sono passati dagli 8,5 miliardi di dollari del 2012 ai 221 del 2017; imprese green che hanno registrato un aumento dell’occupazione pari al 40% nel periodo 2007-2013.

Ronchi ha inoltre sottolineato i settori chiave che stanno guidando attualmente la transizione alla green economy, tra i quali spiccano l’agricoltura, l’energia, la manifattura, i rifiuti, il settore delle costruzioni e dei trasporti, il turismo. Ronchi ha concluso il suo intervento, sottolineando la necessità di cambiare rotta, accelerando la transizione ad un’economia più sostenibile e investendo maggiormente sui giovani. Sul tema si è espresso anche l’economista francese Jean-Paul Fitoussi, tra i relatori della conferenza, che ha ribadito: “la sostenibilità, in tutte i suoi aspetti, sarà possibile solo se le generazioni attuali lasceranno alle generazioni future un capitale – umano, economico, sociale e naturale – almeno uguale a quello di cui essere hanno goduto”.

 

Proposte e contributi per uno sviluppo sostenibile

  • Strategia Energetica Nazionale(SEN2017). Documento di programmazioneenergetica a livello nazionale adottato con decreto interministeriale 10 novembre 2017, pone, tra i suoi obiettivi, quello di rendere il sistema energetico nazionalepiù sostenibile in modo daraggiungere gli obiettivi ambientali e di decarbonizzazionedefiniti a livello europeo, in linea con quellistabiliti dall’Accordo di Parigi. Tra i  principali target quantitativi previsti dalla SENvi è quello che prevede la riduzione dei consumi finali di energia a 108 Mtep (“Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio”) con un risparmio di circa 10 Mtep entro il 2030.
  • Fonti rinnovabili. La Direttiva europea 2009/28/CE fissa per l’Italia due obiettivi nazionali vincolanti in termini di “quota del consumo finale di energia coperto da fonti rinnovabili” al 2020: raggiungere una quota dei consumi energetici finali lordi complessivi di energia coperti da fonti rinnovabili almeno pari al 17%; raggiungere una quota dei consumi energetici finali lordi nel settore dei trasporti coperti da fonti rinnovabili almeno pari al 10%.
  • Sviluppo di un’agricoltura sostenibile. I principali programmi europei prevedono lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile di qualità emultifunzionale, al fine di contenereil consumo di suolo agricolo, grazie amisure diadattamento ai cambiamenti climaticie la promozione nonché la tutela dell’agricoltura italianaorientata alla qualità e alla sicurezza.
  • Piano nazionale per la riqualificazione delle aree urbane degradate. A questo proposito, è doveroso sottolineare che le città italiane, a differenza di quelle europee, non hanno mai vinto lo European Green Capital Award, premio istituito nel 2010 dalla Commissione europea per premiare le città che, più di altre, hanno portato avanti politiche di sviluppo sostenibile.
  • Decarbonizzazione al 2050. Le principali intese a livello globale prevedono la decarbonizzazione (la chiusura di tutte le centrali a carbone) entro il 2050, oltre ad una diminuzione delle emissioni di CO2 del 39% al 2030 e del 63% al 2050 rispetto ai dati del 1990. A questo proposito, la SEN 2017 prevede per l’Italia la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025, con cinque anni di anticipo rispetto alla precedente Strategia, che prevedeva la chiusura entro il 2030.
  • Blue economy. La Strategia europea della “crescita blu”  per sostenere una crescita sostenibile nei settori marino e marittimo.Attualmente l’economia blu impiega oltre 5 milioni di persone e genera un valore aggiunto lordo di quasi 500 miliardi di euro l'anno a livello globale. Le principali attività dell’economia blu sono: l’acquacoltura (allevamento di pesci e molluschi), turismo, biotecnologia marina, l'energia oceanica e l'estrazione mineraria dai fondalimarini.

Fonti per approfondire:

 

Nota:

La foto che compare come immagine d'intestazione dell'articolo è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell'articolo) durante l'evento presso il Nazionale Spazio Eventi, a Roma.

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Agricoltura biologica, il Parlamento europeo approva il nuovo regolamento

Controlli sui produttori annuali e massimo biennali se non si riscontreranno frodi per tre anni consecutivi, certificazioni di gruppo per i piccoli produttori riuniti in cooperative e consorzi locali. Nuove norme sulla contaminazione da fitofarmaci e fertilizzanti non autorizzati per i prodotti biologici. Giudizio sostanzialmente negativo sul nuovo regolamento da parte degli europarlamentari italiani (che hanno votato contro) e delle principali associazioni di categoria.


Cosa prevede il nuovo regolamento

Nuove norme in arrivo per il settore dell’agricoltura biologica. Lo scorso 19 aprile il Parlamento europeo ha approvato il nuovo regolamento sull’agricoltura biologica. Il regolamento comprende norme per la produzione agricola, l’allevamento, e l’acquacoltura, stabilisce migliori sistemi di informazione tra gli stati membri e armonizza i regimi di responsabilità e gli schemi di certificazione. In base al nuovo regolamento, i controlli sui produttori avranno cadenza annuale e potranno diventare biennali, se non si riscontreranno frodi per tre anni consecutivi. Al fine di ridurre i costi, i piccoli produttori riuniti in cooperative e consorzi locali potranno ottenere certificazioni di gruppo. Per quanto riguarda i prodotti importati da paesi fuori dall’Unione europea, si passerà dall’attuale “principio di equivalenza”, che richiede solamente il rispetto di standard analoghi, all’obbligo per le aziende esportatrici verso l’Ue di conformarsi alle norme comunitarie. Le attuali norme in materia di “equivalenza saranno infatti eliminate entro cinque anni dall’entrata in vigore del regolamento (nel 2027). Al fine di incentivare il settore dell’agricoltura biologica, il regolamento prevede un considerevole aumento dell’offerta di semi biologici a livello europeo. Tuttavia, le deroghe che permettono l’utilizzo di semi convenzionali nelle produzione biologiche saranno eliminate totalmente entro il 2035. Le aziende agricole che producono sia prodotti convenzionali sia prodotti biologici continueranno, anche dopo l’entrata in vigore del regolamento, ad essere autorizzate a condizione che le due attività agricole (convenzionale e biologica) rimangano separate. Per quanto riguarda poi la contaminazione con pesticidi, le nuove norme prevedono che, in caso di sospetta presenza di fitofarmaci o fertilizzanti non autorizzati, il prodotto finale non possa ricevere l’etichettatura come prodotto biologico fino ad ulteriori indagini. Qualora la contaminazione risulti essere stata volontaria o l’operatore non abbia applicato le adeguate misure precauzionali, il prodotto perderà immediatamente lo “status” di alimento biologico.

Un punto controverso – secondo gli europarlamentari italiani, i quali hanno votato contro il regolamento – riguarda le soglie massime previste per le sostanze non autorizzate presenti nelle produzioni biologiche. Secondo le nuove norme, infatti, i paesi che le applicano, come ad esempio l’Italia, potranno continuare a farlo, ma non potranno impedire la commercializzazione di prodotti provenienti da paesi europei che si comportano diversamente. A questo proposito, spiega la Commissione europea, il nuovo regolamento introduce comunque misure precauzionali che gli operatori dovranno adottare per ridurre il rischio di contaminazione accidentale nei casi di coltivazioni biologiche e convenzionali adiacenti. Il controllo spetterà, secondo la normativa, alle autorità nazionali dei singoli paesi.

 

Le associazioni di categoria si schierano contro il nuovo regolamento

Critico è stato il commento della Coldiretti, che ha sottolineato come il nuovo regolamento (secondo l’associazione di categoria) conceda troppa libertà ai singoli paesi dell’UE per quanto riguarda le soglie previste per le sostanze non autorizzate nelle produzioni biologiche. «Le nuove norme – sostiene Coldiretti – permettono di mantenere in vigore soglie meno restrittive per i residui di fitofarmaci o di contaminazione da OGM (“organismi geneticamente modificati”) con un grave danno di immagine per il settore del biologico soprattutto in quei paesi, come l’Italia, nei quali gli standard di produzione sono molto elevati». Si è dichiarata contraria al nuovo regolamento anche la Confederazione italiana agricoltori (Cia), che in una nota stampa ha fatto sapere: «Le nuove regole europee sull’agricoltura biologica non sono assolutamente in linea con i livelli e gli standard di qualità che sono applicati da anni in Italia, che è al primo posto in Europa per produzione e al secondo per superficie coltivata a ‘bio’ (Figura 1).». «Esprimiamo dunque – ha concluso la Cia  tutta la nostra contrarietà come Agricoltori Italiani». Questo è stato il commento della Cia a conclusione del voto favorevole del Parlamento europeo.
 

Figura 1. Agricoltura biologica nei paesi dell’Unione europea nel 2016 (fonte: Parlamento europeo)

 

A questo proposito, è utile ricordare che il numero di imprese che operano nel settore dell’agricoltura biologica in Italia è il più elevato tra i paesi dell’Unione europea – oltre 72 mila imprese (nel 2016) – e che la superficie coltivata utilizzata per l’agricoltura biologica si estende per quasi due milioni di ettari quadrati (Figura 2).

Figura 2. Sviluppo del mercato del biologico nell’Unione europea nel periodo 2012 – 2016 (Fonte: Parlamento europeo)

 

Un giudizio sostanzialmente negativo al nuovo regolamento è arrivato inoltre da FederBio, federazione italiana delle aziende che operano nella filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica, che ha riconosciuto tuttavia alcuni aspetti (secondo la federazione) positivi, tra i quali la possibilità della certificazione di gruppo per piccole aziende agricole riunite in cooperative e consorzi locali e i nuovi strumenti per garantire un quadro di controllo e di garanzie anche sui prodotti importati da paesi extra-Ue. Lo sviluppo del settore biologico deve ora diventare una priorità delle politiche europee e nazionali – secondo FederBio – a partire dalle programmazioni regionali dei Piani di sviluppo rurale agli acquisti verdi della pubblica amministrazione”.


Nota:

Il mercato dell’agricoltura biologica a livello mondiale supera gli 80 miliardi di dollari di fatturato complessivo, con 2,7 milioni di produttori e 57,8 milioni di ettari coltivati con i metodi dell’agricoltura biologica (rapporto “The World of Organic Agriculture”, 2018). L’Italia in particolare risulta il Paese europeo che ha registrato la maggiore crescita di superficie coltivata con metodo biologico. Si tratta di un risultato di indubbio valore rispetto agli obiettivi di sostenibilità ambientale ed energetica. Secondo la FAO, nel periodo 2005-2012 le aziende agricole sono passate da un consumo medio di fertilizzanti chimici di 120 kg/ha a 140 kg/ha, con un valore di mercato che nel 2017 raggiungeva i 230 miliardi di dollari a livello mondiale.

commissione europea economia circolare

Via libera del Parlamento europeo al pacchetto sull’economia circolare

Il nuovo pacchetto sull’economia circolare prevede il riciclo totale di almeno il 55% dei rifiuti urbani entro il 2025, fino ad arrivare ad una quota del 65% nel 2035. Prevista inoltre la riduzione degli sprechi alimentari del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030. Quota dei rifiuti smaltiti in discarica non oltre il 10% entro il 2035.


L’Unione europea imbocca la strada dell’economia circolare. Lo scorso 18 aprile il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il pacchetto europeo sull’economia circolare contenente quattro nuove direttive che vanno a modificare quelle attuali in materia di rifiuti, discariche, imballaggi, veicoli a fine vita, pile e accumulatori esausti, RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche). Il testo del pacchetto è stato definitivamente approvato dal Parlamento europeo, anche se manca ancora qualche passaggio prima che entri ufficialmente in vigore. Il testo approvato dovrà infatti tornare al Consiglio europeo per un’ulteriore approvazione (formale) per poi essere pubblicato, entro 20-30 giorni, sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. I paesi membri dell’UE avranno un periodo massimo di due anni per recepire le nuove direttive in materia di economia circolare. Il pacchetto stabilisce nuovi target: entro il 2025, almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrà essere avviato a riciclo. L’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Inoltre, entro il 2025, il 65% dei materiali da imballaggio in circolazione dovrà essere riciclato. La quota dovrà salire, secondo le stime della Commissione europea, al 70% entro il 2030. Vengono poi fissati dei sotto-target distinti per materiali da imballaggio, come plastica, legno, metalli ferrosi, alluminio, vetro, carta e cartone (Tabella 1). Le nuove norme pacchetto fissano al 10% (entro il 2035) la quota dei rifiuti da smaltire in discarica. A questo proposito, bisogna sottolineare che l’Italia, tra i principali paesi promotori del pacchetto, ha smaltito in discarica, nel 2016, circa il 28% dei totale dei rifiuti prodotti, ovvero 26,9 milioni di tonnellate di rifiuti (circa 123 chili pro capite).

 

Materiale

Entro il 2025

Entro il 2030

Tutti i tipi di imballaggi

65%

70%

Plastica

50%

55%

Legno

25%

30%

Metalli ferrosi

70%

80%

Alluminio

50%

60%

Vetro

70%

75%

Carta e cartone

75%

85%

Tabella 1. Sotto-target distinti per materiali da imballaggio specifici secondo il nuovo Pacchetto. Tutti i target potranno essere rivisti a partire dal 2024 (fonte: Commissione Europea)

 

Il pacchetto stabilisce infine l’obbligatorietà della raccolta differenziata per alcuni particolari tipi di rifiuto, indicando specifici target da raggiungere: rifiuti tessili entro il 2025; umido e rifiuti organici (bio-waste) entro il 2023; rifiuti pericolosi domestici (vernici, pesticidi, oli e solventi) entro il 2022. In linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs), la Commissione europea si propone, attraverso il nuovo pacchetto sull’economia circolare, di ridurre gli sprechi alimentari del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030, incentivando al contempo la raccolta dei prodotti invenduti e la loro redistribuzione in condizione di sicurezza (Figure 1 e 2).

 

Combattere lo spreco di cibo: eliminare impatti sulla sicurezza del cibo e della catena alimentare

Figura 1. Fonte: Commissione europea (rielaborata da http://ec.europa.eu/stopfoodwaste)

 

Figura 2. Fonte: Think.Eat.Save (rielaborata da UNEP/Think-Eat-Save, FAO, WRAP, 2014)

 

«I rifiuti organici costituiscono oltre un terzo dei rifiuti urbani in tutta Europa e sono una componente essenziale per raggiungere gli obiettivi di riciclaggio e messa in discarica di nuova adozione», ha dichiarato Massimo Centemero, Direttore del Consorzio Italiano Compostatori (CIC). «In particolare – ha aggiunto Centemero – compostaggio e digestione anaerobica dei rifiuti organici producono materie prime seconde che la direttiva quadro sui rifiuti definisce come un’opportunità di innovazione e crescita». Secondo i dati del Consorzio, nel 2016, la trasformazione dei rifiuti organici in compost in Italia ha contribuito a stoccare nel terreno 600.000 t di sostanza organica e ha permesso di risparmiare 3,8 milioni di CO2 equivalente/anno rispetto all’avvio in discarica. L'elevata purezza merceologica (nelle città italiane è superiore al 95%), l'introduzione – l’Italia è stato il primo paese in Europa – dei manufatti compostabili, l’efficienza impiantistica e la qualità del compost, sottolinea il CIC, fanno dell’Italia un’eccellenza europea in questo settore. L'innalzamento dei target di riciclaggio dei rifiuti urbani, l'inserimento di un limite di rifiuti da smaltire in discarica pari al 10%, la riduzione degli sprechi alimentari (30% nel 2025 e 50% nel 2030), fa sapere la Commissione europea, avranno ricadute concrete in termini economici, ambientali e occupazionali: 600 miliardi di euro risparmiati ogni anno dalle imprese a livello europeo; 617 milioni di tonnellate di CO2 emesse in meno entro il 2035; 1 milione di posti di lavori in più nei prossimi 10 anni nel settore della gestione dei rifiuti (50 mila specializzati nella gestione dei rifiuti organici).