verde urbano 2018_principale

Il verde urbano asset del settore edile

Nell’Unione europea, i consumi energetici per la climatizzazione degli edifici contribuiscono al 40% delle emissioni totali di CO2. Tetti, muri e pareti verdi creano un vero e proprio “cappotto” che protegge l’edificio e abbassa i costi energetici per il condizionamento climatico. Le coperture verdi contribuiscono inoltre a migliorare il microclima urbano, mitigando il fenomeno delle “isole di calore”, e attenuano gli effetti delle piogge intense, riducendo i deflussi dell’acqua verso il sistema idrico.


Tetti, muri e pareti verdi

Nell’Unione europea, i consumi energetici per la climatizzazione degli edifici contribuiscono al 40% delle emissioni totali di CO2. Per far fronte a questa situazione, la Commissione europea, prima con la COM(2013) 249 final “Infrastrutture verdi – Rafforzare il capitale naturale in Europa”, poi con la Direttiva(UE) 2018/844 del 30 maggio 2018, ha posto l’attenzione sulla necessità di adottare soluzioni basate sulle infrastrutture verdi nel settore edile. Tetti e pareti verdi per isolare e ombreggiare gli edifici a seconda della stagione, giardini pensili e piantumazioni di siepi e alberi nelle città per ridurre la domanda energetica per il riscaldamento e il raffrescamento. Il tutto volto al raggiungimento degli obiettivi europei in termini di miglioramento dell’efficienza energetica. Le coperture vegetali, tecnicamente definite tetti verdi (Green roof),  muri verdi (Green walls) e pareti verdi (Green facades), possono essere realizzate su un’ampia gamma di edifici (Figura 1), a partire dalle infrastrutture pubbliche come scuole, uffici pubblici, fino ad arrivare alle aree industriali, ai condomini e agli edifici residenziali in generale (Dessì, 2007).

 

Figura 1. Tetti, pareti e muri verdi realizzati sull’edificio a seconda della loro collocazione sulla struttura costruita.

 

Verde verticale, verde orizzontale

Il verde verticale (pareti e muri verdi) risulta particolarmente efficace contro gli eccessi di temperatura nel periodo estivo grazie alla sua capacità di creare un cappotto verde in grado di proteggere l’edificio e abbassare i costi energetici per il condizionamento climatico (Figura 2). Il verde orizzontale (tetti verdi), d’altro canto, si dimostra utile per l’isolamento degli ultimi piani dell’edificio e contribuisce ad attenuare la pericolosità delle piogge intense, le cosiddette “bombe d’acqua” (Figura 3). Il verde orizzontale comprende essenzialmente tre tipologie di applicazione: tetti verdi estensivi, intensivi e semi-intensivi. Queste tre tipologie si basano sulle specifiche caratteristiche delle specie vegetali adattate all’edificio e della stratigrafia di costruzione. Pertanto, bisogna tener conto dello strato di impermeabilizzazione, del drenaggio, del substrato di coltivazione e dello strato di vegetazione, cioè la “copertura verde”.

 

Figura 2. Copertura vegetale verticale realizzata presso la Scuola delle Energie dell’ENEA, Casaccia (piattaforma dimostrativa)

 

Figura 3. Copertura vegetale sperimentale realizzata sul tetto della Scuola delle Energie dell’ENEA, Casaccia (piattaforma dimostrativa)

 

Particolare attenzione nella realizzazione di una copertura vegetale deve essere posta al peso della stratigrafia che costituisce l’infrastruttura verde. A questo proposito, la normativa italiana UNI 11235 descrive le caratteristiche dei materiali e dei componenti  con i quali si realizza la copertura vegetale.

 

Figura 4. Tipologie di applicazione del verde orizzontale (tetti verdi estensivi, intensivi e semi-intensivi)

 

I benefici delle infrastrutture verdi

I benefici per gli edifici dovuti alla realizzazione di coperture vegetali sono essenzialmente i seguenti: 

  • contenimento della temperatura superficiale dovuto ai minori effetti radiativi notturni della massa verde grazie al quale lo strato verde raggiunge valori superiori a quelli esterni;
  • diminuzione del calore apportato dalla radiazione solare grazie ad alcune proprietà delle piante, in primis, evapotraspirazione e fotosintesi clorofilliana; 
  • aumento dell’isolamento dei materiali della stratigrafia del lastrico solare che in estate contribuisce a mantenere una temperatura inferiore negli spazi interni sottostanti il tetto verde.

Considerato che i tetti e i terrazzi rappresentano il 20% della superficie totale delle città, la realizzazione di coperture vegetali, oltre ai vantaggi prima indicati, avrebbe effetti significativi anche sul microclima urbano, contribuendo a contrastare il fenomeno della cosiddetta “isola di calore urbana” (Urban Heat Island), che causa differenze di temperatura tra il centro cittadino e la campagna non inferiori ai 3 °C (Figura 5). Alla formazione delle isole di calore contribuiscono inoltre il riscaldamento eccessivo dei manti stradali, le coperture superficiali e verticali degli edifici e l’inquinamento atmosferico.

 

Figura 5. Effetti delle “isole di calore”

 

Alla luce dei numerosi benefici delle infrastrutture verdi in termini di efficienza energetica (diminuzione dei consumi energetici per il condizionamento degli edifici), miglioramento del microclima urbano (mitigazione del fenomeno delle “isole di calore urbane”) e attenuazione degli effetti delle cosiddette “bombe d’acqua” (riduzione dei deflussi dell’acqua verso il sistema idrico), il verde urbano può ormai essere considerato un vero e proprio asset del settore edile.  


Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra una copertura verde verticale. La foto è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell'articolo) nel quartiere parigino di Montmartre, XVIII arrondissement ("Pareti verdi a Montmartre").

Rischio ob

A rischio il primo obiettivo dell’Agenda 2030

1,3 miliardi di persone nel mondo sono povere. La metà di questi è costituita da persone sotto i 18 anni. A questi si aggiungono altri 879 milioni di persone che potrebbero cadere in condizioni di povertà a causa di conflitti, malattie, siccità, disoccupazione e altri fattori. A dirlo è l’ultimo Multidimensional Poverty Index. 


La metà di tutte le persone che vivono in condizioni di povertà nel mondo ha meno di 18 anni. Questo è uno dei dati più allarmanti presenti nell’ultimo Multidimensional Poverty Index (MPI), una misurazione alternativa rispetto a quella meramente economica, basata esclusivamente sul reddito pro-capite, che prende in considerazione tre fattori determinanti per lo sviluppo della persona: salute, educazione e standard di vita (Figura 1). Ideato dall’Oxford Poverty and Human Development Initiative (OPHI) insieme con lo United Nations Development Programme (UNDP) e giunto quest’anno alla sua ottava edizione, il MPI costituisce oggi uno degli strumenti statistici più attendibili nella misurazione della povertà. L’Indice sulla povertà multidimensionale prende in considerazione le condizioni di povertà di 104 Paesi dove vivono 5,6 miliardi di persone, circa tre quarti della popolazione globale. Dall’Indice emerge che 1,3 miliardi di persone nel mondo vive in condizioni di povertà multidimensionale e la metà di questi è in gravi condizioni. L’83% dei poveri multidimensionali vive nell’Africa subsahariana e nei Paesi dell’Asia meridionale, rispettivamente 560 milioni di persone (58% della popolazione), di cui 342 milioni in condizioni molto gravi, e 546 milioni (31% della popolazione), di cui 200 milioni gravi. I dati inerenti alle altre regioni del mondo sono meno gravi e vanno dal 19% negli Stati arabi al 2% in Europa e in Asia centrale.

L’Indice rileva poi significative disparità all’interno dei singoli Paesi: su 1.101 regioni subnazionali analizzate in 87 Paesi si rilevano forti diseguaglianze, soprattutto fra le regioni urbane e quelle rurali. Queste ultime raccolgono la maggior parte dei poveri multidimensionali, circa 1,1 miliardi di persone, con un tasso di povertà quattro volte superiore a quello rilevato nelle aree urbane. Nonostante la povertà multidimensionale sia molto diffusa, vi sono alcuni segni di miglioramento. In India, ad esempio, tra il 2006 e il 2016, 271milioni di persone sono uscite dalla povertà, mentre tra il 2006 e il 2017 l’aspettativa di vita nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale è aumentata rispettivamente di 7 e di 4 anni. Al contempo, il tasso di istruzione primaria in queste regioni è salito al 100%.

 

Figura 1. Tre fattori determinanti per lo sviluppo della persona: salute, educazione e standard di vita (fonte: Multidimensional Poverty Index, 2018)

 

“L’Indice di povertà multidimensionale è uno strumento efficace per esaminare la povertà a livello globale – ha sottolineato il Direttore dell’OPHI Sabina Alkire. “Le misure tradizionali di povertà, spesso calcolate sul numero di persone che guadagnano meno di un 1,90 dollari al giorno, fanno luce sul reddito pro-capite ma non sono sufficienti a capire come queste persone affrontano la povertà nella loro vita quotidiana. “Il MPI – ha evidenziato la Alkire – fornisce un’immagine complementare della povertà e di come influisce sulla vita delle persone nel mondo”. L’Agenda 2030 tra i suoi obiettivi si pone quello di sconfiggere la povertà in tutte le sue forme in ogni parte del mondo (Goal 1). L’Indice di povertà multidimensionale fornisce uno strumento prezioso per comprendere la povertà nella sua multidimensionalità, considerando coloro che sono poveri, gravemente poveri e molto vicino a diventare poveri. A questo proposito, i dati contenuti nell’Indice mostrano che oltre agli 1,3 miliardi di persone nel mondo classificate come “poveri”, vanno aggiunti altri 879 milioni che sono a rischio di cadere in povertà a causa di conflitti, malattie, siccità, disoccupazione e altri fattori. Questi ultimi fanno salire il numero di poveri multidimensionali nel mondo a quota 2 miliardi.

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Gli effetti del cambiamento climatico sui sistemi agricoli globali

I cambiamenti climatici sconvolgeranno l’agricoltura e il mercato dei prodotti alimentari a livello globale. A dirlo è un rapporto della FAO presentato a Roma lo scorso 17 settembre. Tuttavia, le regole del commercio internazionale stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio e i nuovi meccanismi di adattamento ai cambiamenti climatici indicati dall’Accordo di Parigi, sottolinea la FAO, potranno essere di reciproco sostegno per riuscire a trasformare il mercato agricolo-alimentare in un pilastro della sicurezza capace di adattarsi ai mutamenti globali.


Gli effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura

Le temperature sono in costante aumento a livello globale, assistiamo ad eventi climatici estremi come alluvioni, inondazioni e uragani sempre più frequentemente, le calamità naturali minacciano l’economia, il territorio e la popolazione in numerose regioni del mondo. E non è tutto: nei prossimi anni, i cambiamenti climatici sconvolgeranno anche i sistemi agricoli e il mercato dei prodotti alimentari a livello globale. I Paesi che si trovano nella fascia climatica temperata avranno benefici per l’agricoltura dovuti all’innalzamento della temperatura, ma i Paesi che invece si trovano a basse latitudini vedranno un peggioramento delle performance dei loro sistemi agricoli. Questo è quanto emerge dal rapporto della FAO dal titolo The State of agricultural commodity markets 2018 , presentato nella sede romana dell’Organizzazione lo scorso 17 settembre. Le regole del commercio internazionale stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio e i nuovi meccanismi di adattamento ai cambiamenti climatici indicati dall’Accordo di Parigi, sottolinea la FAO, possono essere di reciproco sostegno per riuscire a trasformare il mercato agricolo-alimentare in un pilastro della sicurezza capace di adattarsi ai mutamenti globali. Poiché i cambiamenti climatici saranno destinati ad alterare significativamente la capacità di molte regioni del mondo di produrre cibo (Figura 1), la FAO prevede che il commercio internazionale di prodotti agricoli e alimentari avrà un ruolo sempre più importante nella lotta alla fame, in crescita da tre anni. A questo proposito, l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della sicurezza alimentare e della denutrizione nel mondo evidenzia dati allarmanti: nel 2017, 821 milioni di persone nel mondo (17 milioni in più rispetto al 2016), vale a dire una persona su nove a livello globale, hanno sofferto di denutrizione. Di questi, 151 milioni (nel 2012 erano 169 milioni) sono bambini al di sotto dei cinque anni con forti probabilità di subire ritardi nella crescita, nell’apprendimento e nelle capacità richieste dagli impegni futuri. Tutto ciò avviene, sottolineano le Nazioni Unite, a fronte di un aumento del numero di persone che sono in sovrappeso, 2,6 miliardi di persone a livello globale secondo i dati dell’Accademia Pontificia delle Scienze, e di un enorme spreco alimentare quantificato in 1,3 miliardi di tonnellate di cibo gettate via ogni anno per un valore economico che supera i 1.000 miliardi di dollari.

 

Figura 1. Effetti del Cambiamento climatico sui sistemi agricoli globali al 2050 (fonte: rapporto “The State of agricultural commodity markets 2018", FAO)

 

“Dobbiamo garantire che l’evoluzione e l’espansione del commercio agricolo siano eque e operino nella direzione dell’eliminazione della fame, dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione – ha affermato il direttore generale della FAO José Graziano da Silva nel corso della presentazione del rapporto. “Il commercio internazionale – ha sottolineato da Silva – ha la capacità di stabilizzare i mercati e ridistribuire il cibo dalle regioni in eccedenza verso quelle deficitarie, aiutando i paesi ad adattarsi ai cambiamenti climatici e contribuendo a promuovere la sicurezza alimentare”. Una prospettiva che emerge con forza soprattutto in quelle aree del mondo maggiormente soggette ai cambiamenti climatici. Molti Paesi si affidano già oggi ai mercati internazionali come fonte di cibo, sottolinea la FAO, per far fronte ai propri deficit nelle produzioni agricole dovuti alla limitata disponibilità di terra e acqua per cui devono far fronte ad elevati costi per le produzioni agricole. Ad esempio, il Bangladesh, nel 2017, ha tagliato i dazi doganali sul riso per aumentare le importazioni e stabilizzare il mercato interno a seguito delle gravi inondazioni che avevano colpito il Paese e fatto salire i prezzi di oltre il 30%. Nella stessa direzione si è  mosso il Sudafrica, grande produttore ed esportatore di mais, che ha di recente aumentato le importazioni per limitare i danni causati dai frequenti periodi di siccità.

 

Le conseguenze per l’economia globale

Il rapporto FAO sullo stato dei mercati agricoli globali fornisce anche una panoramica dell’andamento del sistema commerciale dei prodotti agricoli e alimentari negli ultimi anni. Dopo una rapida crescita dei commerci a registrata a livello globale tra il 2000 e il 2008, sottolinea il rapporto, si è invertita la rotta negli anni successivi. Tuttavia, i commerci sono cresciuti significativamente sotto il profilo economico passando da 570 miliardi di dollari nel 2000 a 1.600 miliardi di dollari nel 2016. Questa crescita è stata dovuta, spiega la FAO, alla vertiginosa espansione economica della Cina e di altre economie emergenti come India, Indonesia e Brasile. Ad esempio, tra il 2000 e il 2016, il Brasile ha aumentato le esportazioni di prodotti alimentari dal 3,2% al 5,7%, la Cina ha superato Canada e Australia ed è diventato il quarto più importante esportatore agricolo del mondo, l'Indonesia e l'India hanno aumentato le loro esportazioni agricole posizionandosi tra i primi dieci maggiori esportatori di cibo al mondo, rispettivamente all'ottavo e al decimo posto. Nello stesso periodo, la quota combinata del valore totale delle esportazioni di Stati Uniti, Unione europea, Australia e Canada è diminuita di dieci punti percentuali. Tuttavia, nei prossimi anni, saranno molti i Paesi, situati soprattutto nel Sud del mondo, a pagare il prezzo più elevato dell’impatto del Cambiamento climatico. Le proiezioni della FAO al 2050 tratteggiano una situazione allarmante per l’Africa, dove la produzione agricola potrebbe subire un calo di quasi il 3% rispetto alla baseline, cioè lo scenario ipotetico che considera costanti le condizioni climatiche, per l’India dove si prevede un calo del 2,5% e per il Medio Oriente dove si prevede un calo più o meno analogo.  Al contrario, i Paesi che si trovano nella fascia climatica temperata, come Canada e Russia avranno vantaggi da qualche grado centigrado in più e avranno la possibilità, ad esempio, di avviare colture di cereali e altri prodotti in zone, ad oggi, ancora troppo fredde e inospitali (Figura 2).

 

Figura 2. Effetti del Cambiamento climatico sui prezzi dei prodotti alimentari nel mondo al 2050 (fonte: rapporto “The State of agricultural commodity markets", FAO)

 

A causa del Cambiamento climatico, i prezzi dei prodotti alimentari tenderanno ad aumentare a livello globale, seppure in modo differente da regione a regione. La FAO prevede per i Paesi dell’Africa Occidentale un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari legato al clima del 5,6%, per l’India del 4,6% e per il Sud-Est asiatico dell’1,3%. Il PIL africano e del Sud-Est asiatico potrebbe contrarsi in modo significativo, rispettivamente del 2,5% e del 2% rispetto alla baseline.

Le proiezioni della FAO sugli effetti dei cambiamento climatico sull’agricoltura e sul mercato dei prodotti alimentari evidenziano una situazione molto critica. Continuando di questo passo, avverte l’Organizzazione, le disuguaglianze esistenti continueranno ad aggravarsi e il divario tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo aumenterà ulteriormente. Fenomeni tra i quali povertà, insicurezza alimentare, denutrizione, conflitti e crisi migratorie, già in costante aumento, si intensificheranno nei prossimi anni e, ancora una volta, a pagare il prezzo maggiore, saranno i Paesi più vulnerabili agli effetti del Cambiamento climatico.