Premio nobel economia_principale

Il premio Nobel di quest’anno mostra lo stretto legame tra economia e ambiente

Come creare una crescita economica sostenuta e sostenibile a lungo termine? A questa domanda hanno risposto William D. Nordhaus della Yale University e Paul M. Romer della Stern School of Business della New York University, vincitori del premio Nobel per l’Economia 2018 per i loro studi “sull’integrazione dei cambiamenti climatici e delle innovazioni tecnologiche nell’analisi macroeconomica a lungo termine”. 


Una carbon tax a livello globale

William D. Nordhaus, 77 anni, professore alla Yale University, può essere definito un “economista del clima”. Negli anni ’90 fu il primo a creare un modello quantitativo in grado di descrivere l'interazione tra economia e clima, combinando teorie ed esperienze di fisica, chimica ed economia. Consulente economico nell’amministrazione Carter, Nordhaus ha scritto insieme con l’amico e collega Paul Samuelson, anch’egli premio Nobel per l’economia (nel 1970), uno dei manuali economici più diffusi al mondo dal titolo “Economia”. Le ricerche di Nordhaus vertono sull’interazione tra economica e cambiamento climatico e mostrano che il rimedio più efficace per risolvere i problemi causati dalle emissioni di gas ad effetto serra è una carbon tax da applicare uniformemente a tutti i Paesi a livello globale. Con questa misura si condizionerebbe il mercato, spingendo imprese e consumatori ad adottare soluzioni green o meno inquinanti, perché economicamente più convenienti, anche grazie agli incentivi a favore delle energie rinnovabili. In altri termini, con l’aumento del prezzo dell’energia prodotta attraverso il carbone, la domanda verso questo tipo di prodotti diminuirebbe a vantaggio di altre soluzioni con un minor impatto ambientale. “L’umanità sta giocando a dadi con l’ambiente”, ha dichiarato Nordhaus, rifacendosi ad una celebre affermazione fatta da Albert Einstein secondo cui “Dio non gioca a dadi con il mondo”. Einstein aveva risposto in questo modo ad una serie di accuse secondo le quali egli non comprendeva pienamente i traguardi raggiunti nel campo della nascente fisica quantistica. Per l’appunto: alcuni anni più tardi lo stesso Einstein si dovette ricredere e affermò: “Dio non gioca a dadi, ma qualche volta lo fa”.

Ci troviamo tuttavia in anni e in campi delle scienze completamente differenti. Oggi, l’attività antropica contribuisce a immettere nell’atmosfera gas e prodotti chimici che attaccano l’ozono, un gas fondamentale per gli equilibri del nostro pianeta, causa cambiamenti nell’uso del terreno e deforestazioni su larga scala, eliminando l’habitat naturale di molte specie animali e vegetali. Una delle sfide più urgenti del nostro tempo, ha spiegato la Royal Academy of Sciences di Stoccolma, “è combinare la crescita sostenibile a lungo termine dell’economia globale con il benessere della popolazione del pianeta”. Secondo i modelli sviluppati da Nordhaus le attività che dipendono fortemente dalle piogge o dai cambiamenti di temperatura, come l’agricoltura, la selvicoltura,  le attività ricreative all’aperto, saranno le più colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici. 

 
La crescita economica è un processo endogeno

L’altro economista vincitore del premio Nobel per l’Economia, Paul M. Romer, 62 anni, è professore alla Stern School of Business della New York University. Romer, che fino a gennaio di quest’anno ricopriva il ruolo di Chief Economist della Banca Mondiale, è noto, tra gli economisti, per la sua “teoria della crescita endogena”. Secondo questa teoria le forze economiche governano la volontà delle imprese, influenzando la produzione di nuove idee e innovazione. La teoria della crescita endogena parte dal presupposto che la crescita si basa sul processo tecnologico, inteso come processo endogeno in grado di portare nel tempo allo sviluppo produttivo e, di conseguenza, all’aumento della ricchezza e della prosperità a lungo termine. Il primo teorico di questo modello di crescita fu l’economista Robert Solow, premio Nobel per l’Economia nel 1987. Il “modello Romer” rappresenta un superamento del “modello Solow” e mostra come i mercati non regolamentati possano produrre cambiamenti tecnologici, tenendo tuttavia poco conto del settore ricerca e sviluppo (R&S). In questo scenario sono necessari interventi governativi ben programmati, tra i quali il sostegno e gli aiuti a ricerca e sviluppo e la regolamentazione dei brevetti. L’analisi di Romer punta proprio a dimostrare che queste politiche sono di vitale importanza per la crescita a lungo termine, non solo all’interno di un singolo Paese ma a livello globale. I nuovi modelli proposti da Nordhaus e Romer, spiega il comitato dei Nobel, hanno allargato “lo spettro delle possibilità dell’analisi economica mettendo in opera soluzioni che spiegano come l'economia di mercato interagisca con la natura e la scienza”.

L’aver assegnato il premio Nobel a due teorie economiche legate ai cambiamenti climatici dimostra che la dimensione economica e quella ambientale sono ormai strettamente collegate e non possono essere prese in esame l’una scissa dall’altra.

Nessun paese europeo Accordo Parigi_principale

Nessun paese europeo è in linea con l’Accordo di Parigi

Il Climate Action Network stila una classifica dei paesi europei sulla base dei provvedimenti attuati per allinearsi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ultima in classifica è la Polonia che, dal 3 al 14 dicembre, dovrà ospitare la Conferenza mondiale sul clima (COP24). Il Paese ha inoltre annunciato la costruzione di una nuova centrale a carbone della potenza di 1000 megawatt che, secondo le previsioni, sarà capace di bruciare ogni anno 3 milioni di tonnellate di carbone.


Le parole non sempre si traducono in fatti. Secondo un recente rapporto  del Climate Action Network, pubblicato con il sostegno della Commissione europea e della Fondazione Kann Rasmussen, nessun paese europeo sta facendo quanto necessario per raggiungere gli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi. Primo fra tutti, quello che prevede di limitare l’aumento della temperatura globale, di qui al 2100, ad un massimo di 2°C rispetto ai livelli preindustriali (con volontà di contenerlo entro gli 1,5°C). Il rapporto prende in esame i provvedimenti attuati da ciascuno paese membro dell’Unione europea volti a diminuire il gap esistente tra il livello attuale delle emissioni di gas ad effetto serra e quello che sarebbe necessario per porsi in linea con l’Accordo di Parigi. I risultati sono drammatici: nonostante l’Ue si sia più volte esposta a favore dell’intesa raggiunta a Parigi al termine della Cop21, a dicembre del 2015, nella classifica dei paesi europei stilata dal Climate Action Network nessun paese ha ricevuto un giudizio “eccellente” (Figura 1). Infatti, evidenzia il rapporto, solamente la Svezia ha ricevuto un giudizio “buono” per quanto riguarda l’allineamento agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, mentre Portogallo, Francia, Paesi Bassi e Lussemburgo hanno ricevuto una valutazione “discreta”. Tutti gli altri paesi, invece, negli ultimi tre anni, hanno fatto meno di quanto era necessario per allinearsi agli obiettivi dell’Accordo. In particolare, la Polonia, che dovrà ospitare la prossima COP24 dal 3 al 14 dicembre, risulta ultima in classifica per quanto riguarda i provvedimenti presi per rispettare gli obiettivi globali in termini di lotta al cambiamento climatico. D’altra parte, il Paese conferma, anno dopo anno, la propria linea in direzione totalmente opposta rispetto agli impegni indicati dall’Accordo di Parigi. Ancora oggi, il 90% dell’energia consumata nel Paese viene prodotta attraverso fonti di energia fossili, soprattutto carbone. Il settore carboniero impiega 100 mila lavoratori e contribuisce alla produzione di oltre 65 milioni di tonnellate di carbone ogni anno (dati aggiornati al 2017). Inoltre, fanno sapere le organizzazioni non governative locali, in Polonia si registrano 40 mila decessi prematuri a causa dell’inquinamento atmosferico. Nonostante ciò, il primo gruppo pubblico del settore ha annunciato lo scorso 24 settembre l’approvazione definitiva della costruzione di una nuova centrale a carbone. La centrale verrà costruita nella città di Ostroleka, nel nord del Paese e, secondo le previsioni, avrà una potenza di 1000 megawatt e sarà capace di bruciare tre milioni di tonnellate di carbone all’anno. Il costo totale del progetto è stimato in 1,4 miliardi di euro (riporta ANSA). Perciò, non stupisce che il Paese risulti ultimo nella classifica dei paesi europei rispetto alla coerenza nell’assunzione degli impegni contro il cambiamento climatico, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Risultati molto bassi sono stati ottenuti anche da Cipro, Malta, Bulgaria, Estonia e Irlanda.

 

Figura 1. Classifica dei paesi europei sulla base dei provvedimenti attuati per allinearsi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi (fonte: Climate Action Network)
 

Il rapporto sottolinea poi che il nuovo obiettivo di portare al 32% (il precedente obiettivo prevedeva il 27%) il valore che le energie rinnovabili dovranno avere nel mix energetico dell’Ue entro il 2030, non sarà sufficiente per rispettare l’Accordo di Parigi. Il Climate Action Network punta il dito soprattutto contro la scarsa volontà da parte delle economie più ricche dell’Ue di voler mantenere gli impegni presi. Ad esempio, la Francia, che nella classifica del Network ha ottenuto un giudizio “discreto”, posizionandosi al quarto posto, probabilmente non manterrà la promessa di arrivare al 23% di rinnovabili entro il 2020, a causa degli investimenti troppo bassi fatti nel settore. L’Italia, invece, risulta dodicesima in classifica e fa parte di quei paesi europei che ancora non si trovano a metà strada negli sforzi necessari a mantenere gli obiettivi. Tra questi figurano anche Gran Bretagna (14° posto), Finlandia (10° posto), Belgio (16° posto) e Germania (8° posto). Alla luce dei dati emersi dal rapporto, il direttore del Climate Action Network Europe, Wendel Trio, ha sottolineato l’urgenza di portare avanti delle politiche che abbiano obiettivi energetici e climatici più ambiziosi sia a livello europeo che nazionale.

Il rapporto del Network arriva in un momento particolare, ovvero a due mesi dall’avvio della COP24. Le premesse non sono però delle migliori. Ogni aumento di temperatura, anche di mezzo grado, sarà cruciale per il raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi. Contenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5° gradi entro fine secolo rappresenta oggi un’ancora di salvezza per tutti quei paesi che si trovano ad essere esposti in prima linea ad eventi climatici estremi e che solamente così potranno proteggere i loro fragili ecosistemi, molti dei quali saranno perduti anche con l’aumento di 2°C della temperatura globale.

Italia distante obiettivi 2030_principale

L’Italia resta distante dagli Obiettivi dell’Agenda 2030

Secondo il Rapporto 2018 dell’ASviS l’Italia è indietro nel conseguimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030. Negli ultimi anni sono peggiorati povertà, situazione economica e occupazionale, disuguaglianze, condizioni delle città e qualità dell’ambiente. Tuttavia, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, cresce la coscienza ecologica: 3 italiani su 4 si dicono interessati a parlare di sostenibilità ambientale.


L’ASviS propone un piano di sviluppo sostenibile per l’Italia

È stato presentato lo scorso 4 ottobre a Roma, presso l’Aula dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati, il Rapporto 2018 dell’ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, una rete formata da oltre 200 organizzazioni della società civile, nata tre anni fa con l’obiettivo di diffondere la cultura della sostenibilità e la conoscenza dei temi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. L’Agenda 2030 rappresenta un programma d’azione sottoscritto da 193 paesi del mondo (tra i quali l’Italia) il 25 settembre 2015, composto da 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals), ciascuno su un tema di interesse globale, da raggiungere entro il 2030, e 169 target, alcuni dei quali vanno raggiunti anche entro il 2020. Gli SDGs rappresentano il proseguimento dei precedenti 8 Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals), presenti nella Dichiarazione del Millennio, ovvero la precedente agenda internazionale promossa dalla Nazioni Unite a settembre del 2000. Essi rappresentano una serie di obiettivi comuni su questioni importanti per lo sviluppo dell’umanità: dalla lotta alla povertà all’eliminazione della fame nel mondo, dal contrasto al cambiamento climatico alla riduzione delle disuguaglianze, per citarne alcuni. Il rapporto di quest’anno delinea una situazione critica per quanto riguarda le tendenze in atto in Italia rispetto a diversi obiettivi dell’Agenda 2030, attraverso un’analisi basata su 17 indicatori compositi (Figure 1 e 2), ciascuno relativo ad un diverso Goal. Negli ultimi anni, sottolinea l’ASviS, nel nostro Paese gli indicatori relativi a povertà (Goal 1), situazione economica e occupazionale (Goal 8), disuguaglianze (Goal 10), condizioni delle città (Goal 11) e qualità dell’ambiente (Goal 15) hanno rilevato un peggioramento. Per quanto riguarda gli obiettivi relativi all’accesso all’acqua e a strutture igienico-sanitarie sicure (Goal 6), sistema energetico (Goal 7), condizioni dei mari (Goal 14) e qualità della governance (Goal 16) la situazione è rimasta immutata. Un leggero miglioramento si registra, invece, nell’alimentazione e nell’agricoltura sostenibile (Goal 2), nella salute delle persone (Goal 3), nell’educazione (Goal 4), nella parità di genere (Goal 5), nell’innovazione tecnologica (Goal 9), nei modelli sostenibili di produzione e di consumo (Goal 12), nella lotta ai cambiamenti climatici (Goal 13) e nella cooperazione internazionale (Goal 17).

 

Figura 1. Indicatori sintetici per l’Italia relativi agli Obiettivi 1 – 8 dell’Agenda 2030 (fonte: Rapporto ASviS 2018

 

Figura 2. Indicatori sintetici per l’Italia relativi agli Obiettivi 9 – 16 dell’Agenda 2030 (fonte: Rapporto ASviS 2018

 

Dopo aver passato in rassegna l’evoluzione, negli ultimi anni, dei vari obiettivi dell’Agenda 2030, il rapporto evidenzia la necessità, per l’Italia, di adottare misure concrete affinché vengano raggiunti i target previsti. “Ciò che manca – ha evidenziato il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini nel corso della presentazione del rapporto – è una visione coordinata delle politiche per costruire un futuro dell’Italia equo e sostenibile”. Per fare questo, si legge nel rapporto, l’ASviS propone un piano d’azione articolato in nove punti, tra i quali compaiono l’introduzione dello “sviluppo sostenibile” tra i principi fondamentali della Costituzione, l’attivazione di una Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile (prevista dalla Direttiva della Presidenza del Consiglio del 16 marzo 2018), la trasformazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) in “Comitato interministeriale per lo sviluppo sostenibile” e l’adozione di un’Agenda urbana nazionale che garantisca lo sviluppo sostenibile delle aree metropolitane, in linea con l’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030. Si chiede inoltre che il Bes (indicatore di Benessere equo e sostenibile) entri a far parte della programmazione economica, che la Presidenza del Consiglio istituisca un organismo permanente di vigilanza sulle politiche a favore della parità di genere, che si predispongano delle linee guida rivolte alle amministrazioni pubbliche affinché applichino standard ambientali e organizzativi in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030, che si intervenga, a partire dalla prossima Legge di Bilancio, per assicurare il conseguimento dei 22 target previsti per il 2020 e che si attivino maggiori investimenti nella finanza sostenibile.

 

La transizione ad uno sviluppo sostenibile passa dalle persone

La voglia di sostenibilità emerge anche dai dati dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile 2018, un’indagine che analizza l’interesse e la percezione della popolazione circa il tema della sostenibilità, basata su conoscenza, atteggiamento, comportamenti d’acquisto e di consumo, scelte di turismo fatte da un campione rappresentativo di persone. L’indagine di quest’anno è stata svolta sotto il patrocinio della Commissione europea, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della Regione Lombardia e del Comune di Milano. Secondo i dati relativi al 2018 il tema della sostenibilità ambientale interessa ben 37,8 milioni di persone, ovvero il 74% della popolazione italiana (il 15% in più rispetto al 2017 e il 31% in più rispetto al primo Osservatorio del 2015). Tra i temi che più interessano gli italiani, sottolinea l’Osservatorio, figurano i benefici della raccolta differenziata, gli effetti dell’inquinamento atmosferico, l’agricoltura biologica e i danni causati dall’uso dei pesticidi. Negli ultimi anni, rileva l’indagine, sono aumentate le persone disposte ad usare le energie rinnovabili per alimentare i consumi nella propria casa e del proprio ufficio (96% degli intervistati) e quelle che ritengono che l’Italia debba investire maggiormente in questo settore, abbandonando le fonti fossili, come petrolio e carbone (95%). Sono inoltre aumentate le persone disponibili a spendere, anche qualcosa in più, per fare efficienza energetica, comprando lampade a LED ed elettrodomestici con minori consumi elettrici (73%).

I dati dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile sono positivi e sottolineano che uno degli “ingredienti fondamentali” nella transizione ad uno sviluppo sostenibile, oltre alla tecnologia e ad una buona governance, è proprio il cambiamento di mentalità delle persone (“L’Utopia sostenibile, 2018). Il 2030 è vicino e molti target vanno raggiunti entro il 2020. Insomma, ora bisogna passare dalle parole ai fatti e imboccare la strada dello sviluppo sostenibile.