Ferron Lo sguardo del lupo

Lo sguardo del lupo

Che cosa significa vivere? È questa forse la domanda chiave che l’autore si pone e pone anche al lettore, oltre che, alla coprotagonista di questo libro. La risposta che spontaneamente fornisce la donna è:percorrere il tempo che ci viene concesso. Percorrere, non lasciar scorrere, agire quindi, conoscere, muoversi, osservare…

I protagonisti di questa storia sono una studentessa biologa cui è stata assegnata una tesi sulla vita in un paesino di montagna incontaminato o quasi e un ingegnere che non sopporta più la vita di affermato direttore di un’azienda che vende macchine di movimento terra. Questa Terra che ormai l’ingengnere sente come violata, sfruttata senza misura. Ecco insistente il richiamo delle montagne che lui vede dalla finestra del suo studio, ecco la scelta di tornare alla sua casa natale tra le montagne. Il suo sentire non è solo quello di un ritorno alla famiglia ma alle origini, quelle che lo vedono piccolo e indifeso giocare nel cortile con una lupa che, racconta il padre, lo prende per la collottola lasciandogli un piccolo graffio di cui resta una cicatrice. Qui si innesta senza dubbio la fantasia narrativa dell’autore che in chiave romanzata intreccia la storia della studentessa e dell’ingegnere. Ma in questo testo contano i messaggi importanti che vanno colti nella loro interezza: dalla conoscenza scientifica, dalla consapevolezza delle proprie emozioni nasce il rispetto. Chi non conosce non rispetta. Chi non conosce ha paura. Chi non conosce distrugge. La consapevolezza è elemento fondamentale nel libro di Ferron. Il suo sguardo è lo sguardo del lupo, aggressivo se si vuole, ma un’aggressività non  fine a se stessa bensì riconducubile all’equilibrio di una catena alimentare naturale che l’essere umano ha stravolto. Il lupo ha un suo sentire pieno di rispetto per ciò che riconosce e per il mondo che lo circonda. Come tutti i predatori in natura caccia solo per nutrirsi e solo animali che faticano a vivere. Percorre il suo tempo superando trappole e difficoltà create dall’uomo: unico essere vivente in grado di stravolgere gli equilibri naturali.

È questa consapevolezza che porterà la biologa e l’ingegnere a scegliere un angolo di mondo ancora naturale. Insieme proveranno a riequilibrare l’impronta umana e quella dei lupi e di altri animali selvatici. I suoni, i colori, le impressioni, le sensazioni sono gli altri protagonosti di questo libro dove mescolati a elementi fantastici, si possono individuare nitidi messaggi rivolti alla società attuale. Società umana intesa come consesso che si ritiene civile ma che non conosce il rispetto, forse per  ignoranza o forse, purtroppo, per interesse miope e contingente. Il testo è accompagnato dalle illustrazioni in bianco e nero, di Marcus Parisin, che interpretano in modo netto lo sguardo del lupo che ciascun lettore saprà tradurre in emozioni proprie. (A.V.)

Ecologia della parola

“Ecologia della Parola”


Liberare le parole dagli stereotipi in cui le abbiamo racchiuse. Questo lo scopo. Massimo Angelini riporta nel volume, senza pretese strettamente filologiche o letterarie, un certo numero di relazioni o conversazioni tenute in ambienti socialmente e culturalmente più disparati, sull’uso di parole quotidiane incrostate e cristallizzate dall’abitudine.

Stimolati a ripercorrere l’etimologia, a partire proprio dal significato originario di "parola" che procede da "parabola", scopriamo che l’errata scelta di non ripeterci ci porta a usare sinonimi che alterano il significato e imbrigliano il nostro pensiero. La parabola, dice Angelini, racconta in modo obliquo e, attraverso una similitudine, lascia a chi ascolta lo spazio per arrivare da solo alla comprensione vivendo il significato non come punto di arrivo passivo di una spiegazione, ma come il risultato attivo di una conquista. “La parola, intesa come parabola apre all’altro e lascia lo spazio per aggiungere nuove parole…, non mette confini, ma allude a qualcosa che va oltre se stessa. È creativa,….si addice al dialogo e pure alla poesia…”. Ben diverso è TERMINE che chiude, conclude, definisce. La parola lascia lo spazio alla libertà, il termine non tollera fraintendimenti. Bisogna saper distinguere.
La maggior parte delle parole quotidianamente usate hanno subito una involuzione simile, l'abitudine ha incatenato la loro dinamicità. Angelini ce ne fa scoprire il significato primario. Dietro il sapere c’è il sale, dietro la cultura l’aratro, dietro il grazie il dono….
Riflettere sull'ecologia della parola può aiutarci a essere più consapevoli su dove stare noi stessi: nello spazio aperto della parola o nel confine del termine?

Etta Artale

La Via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi

In copertina l’asino stracarico tirato dal somiere affondato nella neve illumina l’immaginazione: Schenèr, schena, schiena, ecco il legame: trasporto a schiena di somaro o di uomo. Ecco il senso del titolo del libro e del nome della via che da Feltre arrivava a Primiero attraverso un passo, solo con i passi di bipedi o quadrupedi da sud a nord e da nord a sud per sentiero impervio, ora abbandonato. Quanti frequentano quest’angolo di montagne tra il Pavione e il Campon d’Avena ha senza dubbio sentito nominare questo antico percorso non più in uso da decenni. La sua ragion d’essere viene individuata dall’autore con ricerche storiche e deduzioni logiche: a nord il Primiero ricco di legname e minerali, a sud Feltre con i suoi manufatti e il vino! Più in basso, nella profonda incisione del torrente Cismon fluitavano i tronchi fino al Brenta e di qui in pianura. Ma il rafting non era di moda ai tempi della Serenissima e gli uomini dovevano utilizzare la “scorciatoia” attraverso il passo Croce d’Aune e la stretta via sui dirupi rocciosi dello Schenèr ben sopra il corso d’acqua!

La via studiata negli archivi, descritta e in parte percorsa, fin dove praticabile serpeggia in un ambiente particolare che potremmo definire Alpi minori, quelle che fanno da corona alla vilipesa pianura. Alpi dense di storia quella dei grandi, la Chiesa con il suo potere temporale e quella dei piccoli che per secoli hanno percorso lo stretto valico che univa il sud e il nord: il feltrino d’influsso veneziano e il Primiero d’influsso austro germanico.
Da qui parte un volo d’angelo dell’autore che sa unire la ricerca storica in archivio,  all’immaginazione, al sogno e alle uscite nel territorio. È così che avvince il lettore arricchendo, pagina dopo pagina in un fluire leggero ma intenso, la storia vera. Aggiunge avventure e personaggi frutto di fantasia fortemente legati agli elementi storici e geomorfologici dei luoghi.

Chiunque legga questo libro fa un tuffo nella storia e nel paesaggio.
L’attenzione al paesaggio, alla sua valorizzazione pur nella sua salvaguardia è forse l’elemento che ha influito principalmente nell’assegnazione a questo libro del premio dedicato a Mario Rigoni Stern narratore di Storia dura e dolorosa e autore di storie che danno al paesaggio un’anima. Rigoni Stern dalle alte vette approva sicuramente.

Questo è anche il messaggio di  Melchiorre alla ricerca della scala storta che dovrebbe arrivare a Pontet, delle tracce di quanti hanno fatto la storia minore in tempi di pace e di guerra, nello scambio delle culture e nel fluire delle merci.

Un libro da leggere per conoscere e per amare un angolo tra Veneto e Trentino, tutto da riscoprire; poco importa se i ruderi del castello di Schenèr sono proprio tali, basta far scorrere lo sguardo verso il Cismon in basso oltre il dirupo dove l’acqua rallenta e fa una pozza smeraldina per essere appagati.

Alberta Vittadello