Green Jobs: opportunità e limiti della nuova frontiera del lavoro

di Alessandro Campiotti


I green jobs (lavori verdi) hanno assunto un ruolo crescente nell’odierno panorama lavorativo che guarda ad uno sviluppo sostenibile, favorendo nuove opportunità di crescita per imprese e professionisti. Tuttavia, resta elevato il divario in termini di opportunità a livello geografico e di parità di genere.

Orto Botanico dell’Università degli Studi di Padova

Energy manager, giurista ambientale, specialista in contabilità verde ed esperto in sostenibilità, sono solo alcune delle nuove professioni che negli ultimi anni sono cresciute nel frastagliato mercato del lavoro moderno, prendendo il nome di green jobs o lavori verdi. Nell’ultimo decennio, infatti, il panorama lavorativo è stato fortemente influenzato dalla diffusione dei principi della green economy, che hanno spinto le filiere produttive tradizionali ad assumere nuove responsabilità nei confronti della tutela del pianeta, delle sue risorse e dei suoi abitanti. Nel bagaglio delle priorità aziendali, pertanto, il perseguimento del profitto risulta essere sempre più accompagnato da una serie di azioni ed investimenti volti ad orientare i classici assetti lavorativi e produttivi verso pratiche di conversione più sostenibili ed innovative, che guardino alla riduzione dell’impatto ambientale e ad un minore sfruttamento delle risorse naturali.

Questa transizione in senso ecologico, energetico ed etico dei settori produttivi è stata fortemente sostenuta da numerose istituzioni nazionali e internazionali, che tramite una serie di riforme, incentivi ed accordi, come l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, hanno determinato un cambiamento di approccio da parte di imprese e consumatori. La crescente attenzione nei confronti della sostenibilità ambientale ha prodotto dei mutamenti tangibili nel mercato del lavoro, rendendo sempre più richieste una serie di professionalità legate al settore della green economy e fornendo nuovi sbocchi lavorativi per studenti e giovani professionisti.

In questo contesto, i green jobs hanno iniziato a prendere piede nei più diversi settori produttivi, chiamando in causa tanto il panorama dell’agricoltura e dell’industria – manifatturiera, farmaceutica, edile, automobilistica – quanto quello dei servizi, impegnato nella riconversione sostenibile di imprese, alloggi turistici, strutture sanitarie e pubbliche amministrazioni. Ad oggi, dei green jobs non esiste una definizione ufficiale ed univoca, tuttavia l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) sostiene che le competenze verdi sono necessarie per il perseguimento di una moltitudine di benefici, che vanno dal risparmio energetico alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti, dalla protezione e ripristino degli ecosistemi degradati all’economia circolare.

L’attuale domanda di green jobs si inserisce in modo trasversale nei diversi ambiti professionali e si rivolge sia alle competenze tecniche che a profili ad elevata specializzazione, trasformando la tradizionale figura del manager in un eco-manager, pronto a gestire le sfide poste dalla transizione ecologica. Tra le figure professionali più in voga figurano l’energy manager per la gestione sostenibile delle risorse energetiche, l’ESG manager che persegue la sostenibilità dell’azienda dal punto di vista ambientale, sociale e di governance, il mobility manager per la riduzione dell’impatto ambientale dei trasporti urbani, lo specialista in contabilità verde, responsabile di orientare le scelte aziendali sulla base di incentivi e finanziamenti, e poi ancora l’ingegnere dei materiali, l’esperto di smart cities, il giurista ambientale, l’architetto paesaggista, l’agronomo, il divulgatore, il ricercatore e l’assicuratore ambientale.

Per far luce sul panorama dei green jobs, nel 2023 l’OCSE ha pubblicato un rapporto per esaminare questa fetta di mercato in 30 Paesi membri, registrando che nel 2021 i lavori verdi occupavano il 18% del mercato del lavoro, in lieve crescita rispetto al decennio precedente. Tuttavia, questa percentuale non riguarda allo stesso modo tutti i paesi oggetto di inchiesta, ma presenta una forte difformità geografica, vedendo ai primi posti Paesi baltici, Francia, Svizzera e Regno Unito e solo in coda Grecia, Italia e Spagna. Inoltre, una sostanziale disomogeneità si evince anche a livello regionale, dal momento che la domanda di impieghi green viene assorbita soprattutto dai grandi centri urbani, a partire dalle capitali, toccando solo marginalmente i centri minori. Due ulteriori elementi di divario in questo ambito professionale si rilevano nella sotto rappresentazione delle donne (28%) e nel fatto che solo le regioni con una ricca composizione di attività industriali e scientifiche e con un’elevata percentuale di popolazione con istruzione terziaria, sono riuscite ad intercettare i vantaggi della transizione ecologica. Per tali ragioni, gli attori istituzionali sono chiamati a potenziare gli investimenti in formazione scolastica e nelle politiche attive del lavoro, con l’obiettivo di colmare i limiti delle realtà locali e favorire la diffusione di quelle competenze che possono contribuire concretamente ad un processo di transizione più giusta.

Per approfondire:

ANPAL – Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro, Le competenze green, 2021, https://www.anpal.gov.it/documents/552016/587158/CompetenzeGreen_2021.pdf/52700220-4c0a-0b25-ddfc-ebcc97349632?t=1650626253686.

LUM – Libera Università Mediterranea “Giuseppe Degennaro”, Green Jobs: cosa sono e quali sono le professioni verdi, 2023, https://www.lum.it/green-jobs-cosa-sono-quali-sono-le-professioni-verdi/.

OECD – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (2023), Job Creation and Local Economic Development 2023: Bridging the Great Green Divide, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/21db61c1-en.

Foto di intestazione di Alessandro Campiotti

Ripristino della natura e tutela della biodiversità: NBFC fa il punto della situazione

Di Alessandro Campiotti

Ripristino degli ecosistemi degradati, monitoraggio dei servizi ecosistemici, realizzazione di cataloghi digitali e strumenti di supporto alla progettazione, sono alcune delle azioni attuate da NBFC e descritte sul nuovo report
Il restauro della biodiversità, per promuovere la salvaguardia ambientale e la cultura della natura.


Fare pace con la natura, e rendere l’Italia un modello europeo in materia di tutela del patrimonio ambientale, è stato il tema centrale di cui si è discusso martedì 18 marzo 2025 presso l’Orto Botanico dell’Università Sapienza di Roma, dove ha avuto luogo il workshop Pace con la Natura: istituzioni a confronto, promosso dal National Biodiversity Future Center (NBFC), dal MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) e dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). La mattinata è stata un’occasione di incontro e scambio tra il mondo della ricerca e quello delle istituzioni, dove NBFC ha presentato il Report sul Restauro della Biodiversità, in cui sono delineati gli strumenti scientifici e tecnologici applicati dai ricercatori per effettuare interventi di ripristino della natura e monitoraggio dei servizi ecosistemici in una serie di casi studio dislocati lungo il territorio italiano.

Questo piano di azioni concrete è stato ulteriormente incentivato dalla recente approvazione della Nature Restoration Law (Legge sul ripristino della natura) da parte del Parlamento europeo nel giugno del 2024, in cui è stato definito l’obiettivo prioritario di ripristinare almeno il 20% degli ecosistemi degradati entro il 2030. La condizione di degrado, infatti, riguarda oltre l’80% degli ecosistemi, e i motivi sono largamente riconducibili a cause di origine antropica: attività industriali, agricoltura intensiva ed eccesso di urbanizzazione. Un’azione di ripristino consiste in un processo volto a favorire il recupero di una struttura ecosistemica nelle sue variegate componenti – fisiche, chimiche e biologiche – ricostituendo habitat e nicchie ecologiche necessarie alla promozione della biodiversità animale e vegetale.

In questo contesto, NBFC si pone come soggetto di riferimento per lo sviluppo di azioni progettuali interistituzionali, che hanno l’ambizione di coinvolgere in modo sinergico soggetti appartenenti alla comunità scientifica, alle istituzioni, al settore privato e alle associazioni civiche e del terzo settore. Per favorire questo processo, NBFC è impegnato nella realizzazione di strumenti di diffusione della conoscenza, come report e pubblicazioni scientifiche, ma anche di strumenti interattivi come archivi digitali, cataloghi e tool di supporto alla progettazione, tra i quali risulta di particolare interesse il catalogo nazionale delle Nature-based Solutions (NbS). Queste soluzioni sono definite come azioni di protezione, conservazione e ripristino degli ecosistemi naturali o modificati, con l’obiettivo di rispondere contemporaneamente alle sfide sociali, economiche e ambientali. A questo proposito, gli ecosistemi forestali, urbani, agricoli, marini e fluviali sono stati considerati per portare avanti azioni di reinserimento di specie minacciate per favorire la conservazione della biodiversità, gestione ecologica degli agro-ecosistemi, incremento del verde urbano e potenziamento della connettività forestale e fluviale.

Durante la mattinata i relatori hanno ribadito l’impegno di NBFC nella promozione della cultura della natura, per sensibilizzare le persone di tutte le età sulle questioni legate alla conservazione dell’ambiente e alle possibili interconnessioni con la società. Per tali ragioni, sono state organizzate diverse iniziative culturali, come la mostra Elogio della diversità. Viaggio negli ecosistemi italiani presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma e la mostra fotografica Il paese della biodiversità. Il patrimonio naturale italiano del National Geographic nella sede romana del CNR. Queste, e altre iniziative tematiche, come la pubblicazione di libri illustrati, fumetti, spettacoli e rappresentazioni teatrali, sono finalizzate a potenziare la consapevolezza delle persone sui temi ambientali e a determinare in loro un desiderio di impegno e partecipazione diretta, che può configurarsi in varie forme. Tra queste, gli esempi vanno dal volontariato ambientale alla collaborazione con istituzioni e ONG, per prendere parte ad attività di piantumazione, pulizia e cura delle aree naturali, contribuire alla trasmissione di dati e informazioni tramite App di monitoraggio, tenendo a mente che il buon funzionamento degli ecosistemi è strettamente legato al benessere umano.

Per approfondire:

Centro Nazionale per il Futuro della Biodiversità (NBFC), Il restauro della biodiversità: esperienze e innovazioni della ricerca, 2025, https://www.nbfc.it/

European Commission: Nature Restoration Law – https://environment.ec.europa.eu/topics/nature-and-biodiversity/nature-restoration-regulation_en

NBFC, Elogio della Diversità: un Viaggio negli Ecosistemi Italiani, https://www.nbfc.it/en/news/elogio-della-diversita-un-viaggio-negli-ecosistemi-italiani

Immagine di intestazione di Alessandro Campiotti

Agricoltura biologica: limiti e lacune del sistema di governance

di Alessandro Campiotti

L’Unione europea è impegnata nella sfida al raggiungimento del 25% di superfici coltivate a biologico entro il 2030. Tuttavia, le limitate adesioni da parte degli agricoltori e un sistema di monitoraggio poco efficiente rischiano di compromettere l’obiettivo. È necessario intervenire sui limiti del settore con uno sguardo che vada oltre il 2030.

Logo biologico dell’UE
(Immagine della Commissione europea)

Rispetto per l’ambiente, qualità del suolo, promozione della biodiversità, benessere animale, assenza di prodotti chimici di sintesi, impiego responsabile delle risorse naturali, sono solo alcuni dei principi cardine che caratterizzano l’agricoltura biologica. Questa forma di produzione sostenibile degli alimenti è entrata per la prima volta nell’ordinamento europeo nel 1991 e attualmente fa riferimento al Regolamento UE 2018/848, che definisce il sistema di produzione, trasformazione, etichettatura, controllo e certificazione in sostituzione del vecchio Reg CE 834/2007. I consumatori possono riconoscere i prodotti biologici dal marchio, introdotto nel 2010, che rappresenta una fogliolina dai margini bianchi su sfondo verde, che richiama la grafica della bandiera europea.

Nei Paesi dell’UE l’agricoltura biologica interessa oltre il 10% della superficie agricola totale – con Francia, Spagna, Italia e Germania ai primi posti – mentre la vendita dei prodotti biologici costituisce il 4% del mercato alimentare europeo, con un fatturato di 45 miliardi di euro l’anno, raddoppiato nell’ultimo decennio. La transizione dai tradizionali metodi produttivi dell’agricoltura convenzionale a quelli biologici è stata sostenuta negli anni dalla Politica agricola comune (PAC), che ha incentivato gli agricoltori a modificare regime produttivo tramite lo stanziamento di risorse finanziarie pari a 12 miliardi nella programmazione 2014-2022 e di 15 miliardi nell’attuale programmazione 2023-27. Inoltre, nel 2020 la Commissione europea ha lanciato la sfida di destinare il 25% della superficie agricola utilizzabile (SAU) all’agricoltura biologica entro il 2030, e per questo ha promosso presso gli Stati membri numerose campagne informative sull’importanza di produrre alimenti di alta qualità che fossero al tempo stesso più rispettosi dell’ambiente.

Tuttavia, non mancano nelle attuali politiche europee e nazionali anche alcuni elementi che limitano l’impatto del settore biologico dal punto di vista economico, sociale e ambientale, come è stato recentemente messo in luce dalla Relazione speciale della Corte dei conti europea dal titolo Agricoltura biologica nell’UE – Lacune e incoerenze ostacolano il successo della pertinente politica.Lo studio ha analizzato i limiti che presentano gli attuali strumenti di monitoraggio e valutazione dei risultati, e sebbene il Piano d’azione 2021-27 abbia migliorato complessivamente il sistema di governance rispetto al precedente Piano 2014-2020, sono state sottolineate una serie di incongruenze. Tra queste, emergono la parziale mancanza di valori obiettivo chiari e quantificabili, l’assenza di indicatori omogenei confrontabili e la scarsa trasmissione delle statistiche del settore da parte degli Stati membri alla Commissione, responsabile di pubblicare relazioni semestrali sullo stato di avanzamento degli obiettivi.

Secondo i dati attuali, infatti, si stima che per raggiungere la soglia del 25% di superfici coltivate biologicamente entro il 2030, sarebbe necessario raddoppiare le adesioni al regime di produzione biologica da parte degli agricoltori. Per tali ragioni, oltre ad indicare un pacchetto di consigli utili a rendere più efficiente l’attuale sistema di governance, la Corte segnala alla Commissione la necessità di sviluppare una strategia che guardi oltre il 2030. Inoltre, si conferma la necessità di sostenere gli operatori del settore, in particolare gli agricoltori, massimizzando il trasferimento di conoscenze, fornendo consulenze aziendali e incentivando lo sviluppo di filiere corte che rendano le produzioni più sostenibili e di maggiore qualità, oltre a migliorare la coesione sociale delle aree rurali.


Per approfondire:

Commissione europea, Il logo biologico: https://agriculture.ec.europa.eu/farming/organic-farming/organic-logo_it

Commissione europea, Legislazione riguardante il settore biologico, https://agriculture.ec.europa.eu/farming/organic-farming/legislation_it

Corte dei Conti europea, Relazione speciale Agricoltura biologica nell’UE – Lacune e incoerenze ostacolano il successo della pertinente politica, 2024, https://www.eca.europa.eu/ECAPublications/SR-2024-19/SR-2024-19_IT.pdf

Istat, Settimo Censimento Generale dell’agricoltura, 2020, https://www.istat.it/statistiche-per-temi/censimenti/agricoltura/7-censimento-generale/