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Covid-19: nato in natura e non in laboratorio

Il Covid-19 rappresenta un’emergenza sanitaria globale senza precedenti. Le ipotesi avanzate sulla sua origine sono diverse ma nessuna di esse può dirsi conclusiva. Tuttavia, i ricercatori ritengono che i pipistrelli potrebbero essere il serbatoio da cui è partita la diffusione del virus. 


Attacco del Covid-19 alle cellule umane

L’ingresso dei Coronavirus nelle cellule dipende dal legame delle proteine virali spike, dette anche proteine S ai recettori cellulari e dall’adescamento della proteina S da particolari proteasi della cellula ospite. Nell’articolo pubblicato da Hoffmann et al. su Cell il 5 marzo 2020, si afferma che il 2019-nCoV utilizza il recettore del SARS-CoV ACE2 per l’ingresso nella cellula e la serina proteasi TMPRSS2 per l’adescamento delle proteine S (Figura 1).Il nome ufficiale del SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2) attribuito dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) alla sindrome causata dal virus è Covid-19 (dall'inglese COronaVIrus Disease-2019).

 

Figura 1. Ingresso del virus nella cellula ospite. (Fonte: Hoffmann et al., SARS-CoV-2 Cell Entry Depends on ACE2 and TMPRSS2 and Is Blocked by a ClinicallyProven Protease Inhibitor, Cell (2020)

 

L'origine del virus

Il primo focolaio di SARS-CoV-2 è scoppiato ufficialmente a dicembre 2019 nella città di Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei, in Cina. Nelle settimane successive il virus si è diffuso in tutto il mondo, creando altri focolai in Europa e, ormai, anche negli Stati Uniti. Secondo i ricercatori il virus è il prodotto dell'evoluzione naturale (Kristian G. Andersen et al. The proximal origin of SARS-CoV-2. Nature Medicine, 2020; DOI: 10.1038/s41591-020-0820-9). Lo studio è stato realizzato grazie al finanziamento dell’Istituto Nazionale della Sanità e del Dipartimento della Salute e dei Diritti Umani degli Stati Uniti e del Consiglio Europeo della Ricerca (Agenzia dell’Unione Europea per il supporto alla ricerca scientifica). Tuttavia, sull’origine di questo coronavirus e sulla sua evoluzione in una forma così fortemente contagiosa e letale per l’uomo non ci sono ancora evidenze conclusive ma solo ipotesi (Figura 2). Le principali ipotesi di contagio proposte dai ricercatori sono le seguenti:

 

Prima ipotesi

Il virus si è evoluto in forma patogena attraverso la selezione naturale in un ospite non umano ed è poi saltato sull'uomo. I precedenti focolai di coronavirus rilevati sul genere umano sarebbero infatti nati dopo avere contratto il virus attraverso il contatto con zibetti (SARS) e cammelli (MERS). Per quanto riguarda il SARS-CoV-2 (Covid-19), i ricercatori hanno proposto i pipistrelli (Rhinolophus affinis) come il serbatoio più probabile dell’infezione. Tuttavia, finora non sono stati documentati casi di trasmissione diretta dal pipistrello all’uomo, sebbene rimanga l’interrogativo di un ospite intermedio coinvolto tra pipistrelli e umani.

 

Seconda ipotesi

Una versione non patogena del virus è passata da un ospite animale a un essere umano e si è poi evoluta nel suo stato patogeno attuale nella popolazione umana. Ad esempio, alcuni coronavirus di pangolini (Manis javanica), mammiferi simili ad armadilli trovati in Asia e in Africa, hanno una struttura RBD molto simile a quella della SARS-CoV-2. Un coronavirus avrebbe potuto essere trasmesso da un pangolino a un essere umano, direttamente o attraverso un ospite intermedio come uno zibetto o  un furetto.

 

Terza ipotesi

In qualche modo il virus potrebbe essere sfuggito al controllodurante un esperimento svolto dai ricercatori in laboratorio. Tuttavia, le ricerche genomiche riportano che è praticamente impossibile che il Covid-19 sia il frutto di un esperimento di ingegneria genetica perché i domini del legame del recettore (RBD) sono mutati per adattarsi ai recettori umani attraverso un processo naturale. Perciò, secondo i ricercatori, il Covid-19 ha senza ombra di dubbio un’origine naturale, da rintracciarsi probabilmente nel contagio con un pipistrello.

 

Figura 2. Ipotesi sull’origine del Covid-19 (figura rielaborata dall’autore)

 
 

Inquinamento atmosferico e Covid-19 

Tra le ipotesi proposte dai ricercatori vi è anche quella secondo cui l’inquinamento atmosferico avrebbe influito significativamente sulla diffusione del virus. In particolare, i ricercatori hanno osservato che il particolato fine agisce da vettore di ogni tipo di inquinante, dai metalli pesanti agli idrocarburi policiclici aromatici, dai batteri ai virus. A questo proposito, il position paper della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sime) ha evidenziato che la velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune aree del Nord Italia potrebbe essere legata proprio alle condizioni di inquinamento atmosferico da particolato che ha esercitato un’azione di carrier e di boost”. Infine, ci sono supposizioni che ritengono che la diffusione del Covid-19 sia legata ai cambiamenti climatici in atto. Un team di scienziati della Ohio State University e del Joint Genome Institute del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti ha recentemente affermato sulla piattaforma bioRxiv.org di aver trovato 28 gruppi di virus sconosciuti congelati in uno strato di ghiaccio risalente a 15 mila anni fa situato nella parte cinese dell’altopiano tibetano, a ovest dei Monti Kunlun, nel ghiacciaio di Guliya (Figura 3). Secondo i ricercatori “lo scioglimento dei ghiacci, provocato dal cambiamento climatico, potrebbe favorire il rilascio di agenti patogeni nell'ambiente”. I virus verrebbero quindi liberati nell’aria e nell’acqua dove entrerebbero in contatto con le falde acquifere, causando la diffusione di nuove e sconosciute infezioni che potrebbero sorgere in futuro. 

 

Figura 3. Sito dove sono stati ritrovati trovati 28 gruppi di virus sconosciuti

 

La conferma dai satelliti

Il blocco totale imposto dapprima in Cina e in seguito in Italia per evitare il contagio da Covid-19 ha avuto l’effetto desiderato di ridurre lo smog in entrambi i Paesi. Infatti, sia la Cina che il Nord Italia hanno mostrato significativi cali di diossido di azoto (NO2), un gas inquinante generato dalla combustione di combustibili fossili, fortemente legato alla produzione industriale, agli impianti di riscaldamento e al traffico stradale (Figura 4). Di qui l’ipotesi di una possibile associazione tra l’inquinamento atmosferico e la diffusione del virus.

 

Figura 4. Dati da satellite sull’inquinamento atmosferico in Cina e Italia

 

Tuttavia, la Società italiana di aerosol (Ias)ha pubblicato un documento dove si legge che “leattuali conoscenze relative all’interazione tra i livelli di inquinamento da polveri sottili e ladiffusione del Covid-19 sono ancora molto limitate e ciò impone di utilizzare la massimacautela nell’interpretazione dei dati disponibili”. Il documento è stato firmato da 70 scienziati provenienti da vari enti e istituzionidi ricerca, tra i quali Cnr, Infn, ENEA e le Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa) di Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte, nonché dalle maggiori università italiane.

 

Il virus sopravvive sulle superfici che tocchiamo

Secondo uno recente studio condotto da un team di scienziati e accademici statunitensi pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine, la sopravvivenza del coronavirus ha durata variabile: 72 ore su plastica e acciaio inossidabile, 24 ore sul cartone e 4 ore sul rame. Lo studio ha anche dimostrato che il virus sopravvivere soprattutto  in piccole goccioline (aerosol) in grado di rimanere sospese nell'aria per un tempo che varia da mezz'ora a un'ora, a seconda del flusso d'aria. La pulizia frequente di controsoffitti, maniglie delle porte e altre superfici con disinfettanti e detergenti elimina l’eventuale presenza del virus. Infine, uno studio della Johns Hopkins University ha rilevato che il periodo medio di incubazione è di 5,1 giorni e che il 97,5 per cento di coloro che contraggono il virus sviluppano sintomi entro 11,5 giorni.


Foto d’intestazione: Microfotografia elettronica a trasmissione del coronavirus Covid-19, National Institutes of Health (NIH)

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Il decreto-legge “Cura Italia” sostiene l’agricoltura contro l’emergenza Covid-19

Il decreto-legge “Cura Italia” stanzia 25 miliardi di euro in misure per potenziare il Servizio sanitario nazionale e sostenere famiglie, imprese e lavoratori per fare fronte all'emergenza epidemiologica da Covid-19. Provvedimenti anche per il settore agroalimentare: pronto un fondo da 150 milioni di euro per la promozione del "Made in Italy" all’estero.


Il decreto-legge “Cura Italia” n. 18 del 17 marzo 2020 recante “misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19” sosterrà anche la filiera produttiva del sistema agricolo-alimentare, come annunciato in videoconferenza lo scorso 10 marzo dal ministro dell’agricoltura Teresa Bellanova. Come ha affermato la Bellanova, “dietro ai prodotti agroalimentari c’è il lavoro, l’impegno, il sacrificio di moltissime imprese e lavoratori: garantirle e sostenerle anche con l’acquisto dei loro prodotti significa garantire e sostenere una parte fondamentale della nostra economia e del nostro Paese”. Prova ne sia che, finora, non sono mai mancati i prodotti sugli scaffali della grande distribuzione e su quelli delle migliaia di piccoli negozi e imprese a conduzione familiare. Tuttavia, era evidente che per proseguire le attività produttive e commerciali, il settore aveva necessità di adeguati livelli di protezione e sicurezza anti-contagio. La sottoscrizione del "Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro" di concerto tra i Ministeri dell’economia, del lavoro e delle politiche sociali, dello Sviluppo economico e della salute è stato perciò favorevolmente accolto dal comparto agroalimentare, dove è più difficile ricorre a forme di smart working. Grazie alle misure del Protocollo, il comparto riuscirà a garantire migliori condizioni di salubrità e sicurezza negli ambienti e nelle modalità di lavoro.

Tra le misure più importanti messe in campo per contrastare l’emergenza Covid-19, le autorità scientifiche e sanitarie indicano: la rarefazione delle presenze all’interno dei luoghi di lavoro; il rispetto della “distanza interpersonale di un metro; la disponibilità di strumenti di protezione individuale come mascherine, guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc.; la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti e delle postazioni di lavoro. Il d.l. “Cura Italia”, oltre alle misure di carattere generale, come la sospensione di versamenti tributari, previdenziali e assistenziali per le imprese fino a due milioni di euro, contiene una serie di misure specifiche per il settore primario, tra le quali:

 

  • un fondo da 100 milioni a sostegno delle imprese agricole;
  • stanziamento di 100 milioni di euro per favorire l'accesso al credito;
  • aumento dal 50 al 70 per cento degli anticipi dei contributi della PAC per un valore complessivo di oltre un miliardo di euro;
  • cassa integrazione in deroga per tutti i lavoratori agricoli e tutele per i lavoratori stagionali senza continuità di rapporti di lavoro;
  • indennità per i lavoratori agricoli a tempo determinato;
  • aumento del fondo indigenti di 50 milioni di euro per assicurare la distribuzione delle derrate alimentari, che si aggiungono ai 6 milioni già destinati nei giorni scorsi all'acquisto di latte crudo, in accordo con il tavolo di coordinamento ministeriale contro gli sprechi alimentari;
  • sospensione delle rate fino al 30 settembre per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie.

 

Ulteriori misure sono state messe in campo dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dal quale dipende il commercio estero. Tra queste, una che prevede un piano di 760 milioni di euro a sostegno della competitività delle imprese italiane e di contrasto alle pretese avanzate da altri paesi di certificare i prodotti Made in Italy come “virus free”, nonostante l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) abbiano più volte ribadito che non esistono prove scientifiche che la trasmissione del Covid-19 avvenga attraverso il cibo e un’altra che rende disponibile un fondo da 150 milioni di euro per la promozione del Made in Italy all’estero, per il sostegno alle esportazioni e all’internazionalizzazione delle imprese del sistema agricolo-alimentare.

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Il consumo di cibo al tempo del Covid-19

Secondo l’EFSA (European Food Safety Authority) non ci sono ancora prove che il Covid-19 possa trasmettersi all’uomo attraverso il contatto con il cibo e altri beni di consumo. L’ISS (Istituto Superiore di Sanità) raccomanda di usare alcune indicazioni per il consumo di cibo e lo smaltimento dei rifiuti.


La trasmissione all’uomo del Covid-19 avviene per via aerea mediante lo stresso contatto con una persona già affetta e quindi trasportatrice del virus. Essa avviene soprattutto attraverso le “goccioline” respiratorie che le persone emanano quando respirano, tossiscono o starnutiscono. Nonostante l’EFSA (European Food Safety Authority) abbia sottolineato che ad oggi non ci sono prove che il virus possa trasmettersi all’uomo attraverso il contatto con il cibo e altri beni di consumo, i prodotti “Made in China”, e ormai anche quelli “Made in Italy”, hanno subito una forte caduta in termini di appeal tra i consumatori di tutto il mondo. Secondo una recente indagine pubblicata su FoodNavigator.com, la domanda di cibo cinese da parte dei consumatori è scesa del 33 per cento, mentre quella di cibo italiano del 24 per cento a livello globale. Per quanto riguarda il nostro Paese, le stime di Confcommercio prevedono perdite comprese tra i 5 e i 7 miliardi di euro, se l’emergenza Covid-19 continuerà fino a maggio. Inoltre, stando a quando ci dice la Coldiretti, l’emergenza in atto sta fortemente danneggiando la filiera agroalimentare nazionale, sia a livello di catena di produzione sia a livello di ristorazione, che in Italia vale oltre 500 miliardi di euro ogni anno, pari al 25 per cento del PIL nazionale, e occupa 3,8 milioni di occupati.

Va inoltre sottolineato che nel 2019 il nostro Paese, con 824 prodotti enogastronomici certificati come DOP (Denominazione di origine protetta), IGP (Indicazione geografica protetta) e STG (Specialità tradizionale garantita), si è aggiudicato il titolo di primo sistema agricolo-alimentare al mondo. Perciò, al tempo del Covid-19, che sta mettendo a dura prova la filiera a tutti i livelli, è importante privilegiare l’acquisto di prodotti “Made in Italy”. Il tutto adottando alcune fondamentali norme igieniche e di comportamento. A questo proposito, gli esperti raccomandano di utilizzare guanti per la spesa e la manipolazione di prodotti alimentari e per lavare frutta e verdura. In particolare, le principali agenzie internazionali, in primo luogo l’EFSA e l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), e il nostro ISS (Istituto Superiore di Sanità) raccomandano di seguire alcune indicazioni per il consumo di cibo.

 

Regole igieniche:

  • Lavarsi accuratamente le mani con acqua corrente e sapone o con un gel igienizzante. I virus non hanno membrana di protezione come i batteri, perciò possono essere facilmente eliminati;
  • Evitare di consumare alimenti freschi come frutta e verdura o appena prodotti come carne, pesce, uova e latte, poiché il tempo che intercorre tra la produzione e la raccolta e il loro consumo è utile per ridurre la vitalità dei virus;
  • L’OMS esorta a lavare sempre frutta e verdura prima di consumarla per evitare un’eventuale diffusione del virus. Il rischio maggiore risiede infatti nel maneggiare prodotti freschi e merci confezionate che siano state manipolate senza le dovute precauzioni o con le quali sia entrata in contatto una persona infetta. A tal proposito, l'emittente televisiva statunitense NBC2 ha riferito che il Covid-19 può vivere per ore su frutta e verdura e, di conseguenza, c’è il rischio di contaminazione;
  • Conservare e preparare separatamente prodotti a base di carne cruda e altri alimenti, soprattutto se questi non siano stati prima riscaldati.

 

Poiché i virus muoiono quando sottoposti al calore, il rischio di infezione può essere eliminato trattando i pasti a base di carne, pesce e uova con temperature non inferiori a 70 °C per almeno 2 minuti. È improbabile, secondo l’EFSA, che il virus sopravviva se è stato riscaldato perché gli studi scientifici precedenti, portati avanti su altri virus simili come la SARS, hanno dimostrato che una cottura accurata è efficace nell’uccidere il virus. Ovviamente, le attrezzature e le superfici venute a contatto con i prodotti alimentari devono essere lavati accuratamente con acqua calda e/o sapone detergente. Inoltre, l’OMS raccomanda di evitare potenziali contaminazioni tra cibi cotti e non, soprattutto durante la conservazione degli alimenti in frigorifero o nel congelatore, tenendo rigorosamente separati gli alimenti cotti da quelli crudi mediante contenitori sigillati.

 

Smaltimento dei rifiuti

Le linee guida realizzate dall’Istituto Superiore di Sanità per far fronte all’emergenza Covid-19 raccomandano di smaltire immediatamente i materiali di imballaggio e l'acqua di scongelamento dei prodotti. In particolare, se non si è positivi al virus, la raccolta differenziata può continuare come sempre, usando però qualche accorgimento in più rispetto al passato: in caso di raffreddore, l’ISS consiglia di smaltire i fazzoletti di carta nella raccolta indifferenziata, così da evitare la possibilità di contagio; invece, nell’ipotesi di quarantena obbligatoria, i rifiuti non devono essere differenziati, ma chiusi in sacchetti resistenti e isolati in locali inaccessibili agli animali domestici.  

 

Figura 1. Distribuzione geografica del numero cumulativo di casi COVID19 segnalati per 100000 abitanti, in tutto il mondo, al 14 marzo 2020 (European Centre for Disease Prevention and Control-An agency of the European Union).

 

I primi focolai da Covid-19 sono stati rilevati nella città di Wuhan (11 milioni di abitanti), capoluogo della provincia di Hubei, situata nella Cina orientale. Oggi la diffusione del virus, catalogata nei giorni scorsi dall’OMS come pandemia, ha contagiato 132 mila persone in 123 paesi del mondo, oltre 21 mila delle quali solo in Italia, e rappresenta una minaccia per la salute e l’economia a livello globale.