Malerbe amiche

Malerbe amiche. La biodiversità e il futuro del pianeta


Questo testo è il frutto delle specifiche competenze di due autori che permettono al lettore di conoscere le malerbe solitamente considerate un problema per le pratiche agricole estensive e intensive. Conoscere il ciclo vitale, le strategie evolutive che hanno adottato per la diffusione dei semi e la conseguente salvaguardia della specie permette di comprendere come quelle che vengono definite malerbe si sono inserite in un equilibrio di cui sono parte integrante. La lotta contro le infestanti con l’uso di erbicidi e pesticidi chimici porta a disequilibri nella biosfera perché tale modalità non elimina solo le malerbe ma coinvolge altre forme di vita vegetali e animali, oltre a lasciare residui nel suolo e sottosuolo e falde idriche.
Nell’ottica della salvaguardia della biodiversità è necessario intervenire su tutti i processi relativi alla vita e alla crescita delle piante. Nel testo sono descritti diversi modi: ad esempio si può intervenire sulla velocità di germinazione dei singoli semi in competizione fra loro, sapendo come e quando potrebbero germinare i semi infestanti presenti da tempo nei terreni.
Ogni specie infestante è sostanzialmente a rischio a causa delle pratiche agricole, sfalcio, aratura, sarchiatura cui si aggiungono fattori naturali relativi al clima. Pertanto l’intelligenza biologica perfeziona in queste piante strategie di sopravvivenza della specie. Pensiamo al convolvolo e alla sua radice che affonda come una trivella e che contiene riserve nutrizionali di stagione in stagione. Tutte le piante in generale adottano strategie germinative, ma in particolare alcune famiglie di infestanti hanno sviluppato strategie particolari di disseminazione. La più primitiva può essere considerata la epizoocoria dell’infestante Nappola minore (Xanthium strumarium), che produce un seme provvisto di uncini che si attaccano ad animali muniti di pelo, dai topolini ai cani, che assolvono al compito di seminatori inconsapevoli. Altri seminatori inconsapevoli sono gli uccelli frugivori ghiotti di frutti carnosi che diventano vettori di disseminazione. I merli e gli storni, ghiotti di frutti come le bacche di Erba morella (Solanum nigrum) e di altre solanacee infestanti sono esempi di endozoocoria. Interazione naturalistica flora-fauna che ancora una volta sottolinea l’importanza di salvaguardare gli ecosistemi. Il coautore,  Benevenuti, nel capitolo dedicato alla classificazione delle piante infestanti sottolinea che le malerbe si possono classificare in decine di famiglie ma, ai criteri tassonomici, associa modalità legate alle pratiche agricole. Sono utili le conoscenze relative alle esigenze termiche, al ciclo biologico, alle caratteristiche fotosintetiche e all’habitus di crescita e sviluppo. Si sottolinea ancora una volta che è dalla conoscenza che parte una maggiore consapevolezza e un maggiore impegno a mantenere quell’ordine che ciascun organismo vegetale ha trovato da migliaia di anni e che l’uomo può gestire nel rispetto delle prerogative di ciascuna componente del sistema.

Alberta Vittadello

Frugoni- donne medievali

DONNE MEDIEVALI. Sole, Indomite, avventurose

200 pagine di illustrazioni a colori, edizione rilegata


“Sole, indomite, avventurose”, il sottotitolo che compendia tutto l’assunto del libro. 
In ombra o del tutto oscurate, abusate, trattate come animali o poco più, le donne medievali nel mondo della Chiesa e in quello laico erano soggiogate dall’autorità ecclesiale e familiare. In Chiesa tacciano, scrive San Paolo, in famiglia passavano dall’autorità del padre e dei fratelli a quella dei mariti. Si chiedeva loro soltanto di proliferare e servire. Erano costrette all’analfabetismo, a meno che non intraprendessero la vita monastica dove le monache e le vedove che rinunciavano ad avere un uomo accanto a sé avevano la possibilità di esprimere la loro personalità e per pregare dovevano saper leggere. Tanto più elevata la condizione sociale delle donne, tanto più drammatica la loro vita: erano destinate a matrimoni combinati fin da bambine o al monastero perché non venisse disperso il patrimonio familiare. Nella letteratura religiosa maschile, soprattutto monastica, la donna, dice Frugoni, non è altro che la proiezione del desiderio colpevole dell’uomo. Nel volume, a testimonianza, anche diversi dipinti e miniature sulla tentazione e il peccato di Adamo ed Eva. Gesù però ha dato alle donne dignità, fiducia, autorità, tra gli esempi quello della Samaritana, mentre nella Istituzione ecclesiale non hanno neppure la facoltà di parlare, Paolo aveva tolto loro la parola in Chiesa.
In questo contesto indistinto, tuttavia, non mancarono donne “indomite e avventurose” che, emerse dall’anonimato, hanno lasciato una testimonianza importante del loro passaggio nel mondo, con influenze fino a noi. Sono cinque quelle scelte dalla Frugoni. Una di queste è “Radegonda. Da regina a monaca”. Chiara Frugoni per la sua biografia segue le fonti del poeta Venanzio Fortunato e della monaca Baudonivia. Radegonda di Poitiers, morta nel 587, moglie del re dei Franchi Clotario I, fuggita dalla reggia del marito dove domina la violenza, si fa monaca, si dedica a curare la gente povera del luogo, gli ammalati di lebbra, i più derelitti, diventa una tenace penitente, vive in stato di santità, compie miracoli da viva, ha sete sfrenata di reliquie, raccogliendone quante più ne poteva, “nuova Elena” la chiama la Frugoni. Una larga serie di miniature ci aiutano a capire tutto il complesso percorso della sua vita. Fu una donna forte e libera dai tanti condizionamenti femminili del suo tempo, e riuscì ad esercitare una funzione sociale e anche culturale. Aspetti che conosciamo soprattutto dalla biografia di suor Baudonivia. Le altre storie del volume: Matilde di Canossa e la Papessa Giovanna, la cui esistenza è quasi sicuramente una leggenda; Christine de Pizan e Margherita Datini.
Christine de Pizan fu educata alle lettere e alle scienze dal padre, un medico bolognese molto colto, che riversò forse su di lei quanto avrebbe desiderato in un figlio maschio, mentre stranamente la madre ne voleva fare una buona padrona di casa. Divenuta vedova a 25 anni, si salvò da un disastro economico grazie al suo profondo bagaglio culturale. Fu a capo di copisti e miniatori, divenne letterata di professione, tra le sue opere “La città delle dame “dove fa dei ritratti crudi e amari di donne maltrattate e calunniate.
Margherita Datini, una donna inizialmente analfabeta, per non continuare a dettare a un estraneo le lettere destinate al marito lontano, impara a leggere e scrivere potendo così seguire attivamente i  traffici commerciali del coniuge e comunicare intimamente con lui.
Il saggio di Chiara Frugoni, storica e medievalista, è ricco di dati e, nonostante la complessità della documentazione, ha il pregio di una scrittura profonda e insieme leggera. Riporta numerosissimi mosaici, miniature, tavole, affreschi, disegni, moltissimi da lei spiegati nei dettagli, che ci aiutano a concretizzare situazioni e problemi.
Dopo la lettura viene spontaneo riflettere sul medioevo delle donne oggi in atto in famiglia, in società, nel lavoro, in politica, a livelli diversi in diverse latitudini. Quanto sarà ancora lungo il percorso di liberazione femminile da condizionamenti e pregiudizi?

Etta Artale

Bonan - Piave_def

Le acque agitate della patria. L’Industrializzazione del Piave (1882-1966)


Fiume d’acqua, fiume di legno, fiume di energia. L’autore non è solo uno storico che ricostruisce eventi in cui individua un prima e un dopo ma anche un narratore che intreccia ai processi di sviluppo economico le esperienze individuali e la vita delle comunità che insieme hanno fatto il successo del nord est. In meno di un secolo tra il 1882 e il 1966, date individuate tra 2 grandi alluvioni, il bacino del Piave è testimone di eventi di portata storica: il passaggio all’uso del carbone bianco come fonte energetica che precede di 2 decenni le battaglie combattute sulle sue rive e la tragedia annunciata del Vajont. La ricostruzione storica parte da una definizione fiume di legno, usata da molti storici per descrivere i corsi d’acqua che percorrono le valli dirigendosi verso la pianura veneta. Definizione che deriva dalla funzione che essi svolgono fin da prima della rivoluzione industriale, la fluitazione del legname. Tale ruolo delle acque era fondamentale per tutte le aree pianeggianti, in particolare il Piave e i suoi affluenti erano essenziali per Venezia. La Serenissima aveva bisogno di legna come combustibile per le aziende produttive, cantieri navali e vetrerie, e come legna da costruzione per sostenere le fondazioni della case e le rive. In questo contesto preindustriale l’analisi storica fatta dall’autore evidenzia come siano ininfluenti le trasformazioni politico istituzionali come la caduta della Serenissima, il periodo napoleonico, l’annessione della Regione al Regno d’Italia. Il commercio del legname è, e rimane, una delle attività più redditizie dal punto di vista commerciale e sostiene le comunità montane producendo lavoro per i residenti, almeno fino al 1882 anno a quo individuato come avvio del processo di industrializzazione. Ma quali fattori innescano il cambiamento epocale che trasforma le attività economiche e stravolge intere comunità ed ecosistemi?
Si tratta di un insieme di fattori che vanno dalla necessità sempre più pressante di individuare fonti di energia, alla politica di gestione delle acque a livello nazionale e locale cui si aggiunge, come volano di cambiamento, il susseguirsi di innovazioni tecnologiche. Queste mirano proprio a utilizzare al meglio la risorsa chiamata carbone bianco. L’autore cita come primo esempio il prototipo di motore a campo magnetico costruito nel 1884 da Galileo Ferraris. Il successivo utilizzo di idrovore e turbine consentono la produzione e il trasporto di energia in notevole quantità e a distanze prima impensabili. Dal punto di vista gestionale a cavallo tra il XIX e il XX secolo si assiste a un costante interesse da parte della politica e il dibattito tra statalizzazione e privatizzazione della risorsa acqua porta al compromesso sulle concessioni che si attestano sui 70 anni per l’uso irriguo e 50 per l’uso energetico. I privati hanno tutto il tempo di avere notevoli introiti. Risale proprio al 1900 la costituzione della Società Cellina fondata dalla prima azienda elettro commerciale del Veneto che, utilizzando le acque del fiume Cellina doveva fornire energia per illuminare Venezia. Queste società mettono insieme diversi attori locali: aristocratici proprietari terrieri, finanza e imprenditoria locale e, a livello nazionale, la Banca commerciale Italiana. Con le stesse caratteristiche poco dopo nasce la SADE (Società Adriatica di Elettricità), che inizia sul torrente Cismon, affluente del Brenta utilizzato per la fluitazione del legname, a produrre energia sfruttando il potenziale dell’acqua come fonte energetica. In pochi decenni attraverso operazioni finanziarie assorbe la maggior parte delle società elettriche locali diventando una vera e propria potenza in grado di pagare perizie e tecnici a favore dei suoi progetti. Importante per il lettore il continuo richiamo ai provvedimenti legislativi a livello nazionale e locale che accompagnano, da un lato la necessità di liberalizzare quanto più possibile la risorsa per soddisfare gli interessi produttivi delle aziende e, dall’altro, i bisogni del settore primario così importante nell’area collinare di pianura.
L’autore ci consegna, con il suo sguardo da storico, la ricostruzione precisa dei cambiamenti del bacino idrografico più importante dell’area nord est della nostra penisola. Sguardo che si ferma sulla realtà socioeconomica prima e dopo l’industrializzazione inserendosi in modo critico sulle politiche gestionali pubbliche e private di un bene comune. Solo con l’acceso dibattito alimentato dai movimenti ambientalisti negli ulti decenni si sta ponendo maggior attenzione alla salvaguardia ambientale anteponendola agli interessi economici. Interessi che hanno contribuito allo spopolamento delle aree montane e pedemontane favorendo il concentrarsi a valle delle aziende produttive con il conseguente proliferare di capannoni e cementificazione.

Alberta Vittadello