immagine da il Bo live -uniPD

Il Bo Live. “Pensare al futuro rende più buoni?”

Un articolo di Federica DʹAuria pubblicato su "Il Bo Live" dell'Università di Padova il 20 settembre 2022


“Il viaggio nel tempo è una fantasia (nonché un longevo topos letterario e cinematografico) che affascina gli esseri umani da tempo immemore. Quanto spesso abbiamo sognato di catapultarci indietro nel tempo per rivivere un evento passato oppure di ritrovarci, come per magia, in un mondo futuro? In realtà, tutti noi siamo viaggiatori del tempo. Seppur non esattamente come vorremmo, siamo in grado di proiettarci avanti e indietro nel tempo utilizzando l’immaginazione per calarci in situazioni passate o future.
Il cosiddetto future thinking (o pensiero futuro) è quell’attività mentale che compiamo quando spostiamo l’attenzione dal presente al futuro, immaginando scenari ipotetici (ma plausibili) su quello che potrebbe essere il nostro avvenire a una certa distanza di tempo. L’evoluzione e lo sviluppo di questa straordinaria capacità che consente agli esseri umani (e, chissà, forse anche ad altre specie animali) di viaggiare nel tempo sono tutt’ora oggetto di indagine nel campo delle scienze cognitive. Secondo alcuni studi, il pensiero futuro potrebbe aver rappresentato un vantaggio importante nel corso dell’evoluzione umana, perché tale attività incrementa le capacità legate alla pianificazione, alla risoluzione di problemi, al processo decisionale e alla gestione delle emozioni. Per questi motivi, il pensiero futuro è anche considerato una vera e propria pratica che è possibile allenare e perfezionare attraverso percorsi didattici strutturati di formazione scolastica o lavorativa volti a rafforzare le capacità organizzative e la creatività.
L’abitudine di immergersi in ipotetici scenari futuri sembra favorire anche le competenze sociali, promuovendo la cooperazione, l’altruismo e l’apertura verso il prossimo. Eppure, come viene sottolineato in un recente studio pubblicato su PLOS ONE, la relazione tra pensiero futuro e comportamenti prosociali non è mai stata sufficientemente compresa e approfondita; infatti, come sottolineano i quattro firmatari – ricercatrici e ricercatori del Swiss Center for Affective Sciences dell’università di Ginevra – nella gran parte degli esperimenti scientifici condotti per studiare tale correlazione vengono considerati quasi sempre degli scenari futuri che riguardavano proprio il tipo di comportamento prosociale che poi veniva misurato (ad esempio, veniva chiesto ai partecipanti di immaginare di aiutare qualcuno e poi si sondava la sua disponibilità ad aiutarlo davvero). In altre parole, non era stato sufficientemente indagato, finora, il legame tra il pensiero futuro di per sé e la tendenza a collaborare con il prossimo.
I quattro studiosi dell’università di Ginevra hanno quindi deciso di colmare questa lacuna e, attraverso un esperimento che ha coinvolto 48 partecipanti, hanno confermato che il pensiero futuro positivo ha effettivamente un effetto causale sul comportamento prosociale di una persona a prescindere dal contenuto specifico dell’evento immaginato….."

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foto da enelgreenpower.it

Energia geotermica: uno sguardo d’insieme a una fonte rinnovabile poco considerata

Un articolo di Barbara  Paknazar pubblicato  su "Il Bo Live" dell'Università di Padova il 21 luglio 2022
 


"Ridurre la dipendenza dai combustibili fossili è una necessità che non può più essere rimandata. Ce lo chiede il clima che, come sappiamo, è la cartina di tornasole della sofferenza del pianeta e degli effetti del riscaldamento globale. Ma se non bastassero le evidenze ambientali è anche il contesto politico internazionale a ricordarci quanto sia rischioso lasciare che le forniture energetiche dipendano in maniera preponderante da un unico Paese. In qualità del maggiore esportatore di petrolio e gas combinati al mondo, la Russia gioca un ruolo chiave nel complesso mosaico dell’energia globale e la guerra in Ucraina ha reso ancora più evidenti le conseguenze, economiche e pratiche, di questa dipendenza.
L’intera Unione Europea si rivolge infatti in larghissima scala proprio alla Russia per importare combustibili fossili e dal momento che con il piano REPowerEU, presentato a maggio 2022, l’Europa ora punta a fare a meno di due terzi del gas russo entro fine anno e rinunciarvi completamente entro il 2027, non vi è dubbio che la sfida epocale della transizione ecologica e della lotta al cambiamento climatico richieda di percorrere convintamente una strada nuova e di accelerare in modo convinto sulle fonti rinnovabili.
In questo ambito solare ed eolico ricoprono la parte principale ma c’è una risorsa, di cui l’Italia è particolarmente ricca, che tende a non essere sufficientemente considerata rispetto alle possibilità che potrebbe offrire, soprattutto adesso che le tecnologie cominciano ad essere realmente mature. Scendendo all’interno della Terra la temperatura infatti aumenta di circa 3 gradi ad ogni 100 metri di profondità e per poter sfruttare questo calore naturale (vedremo tra poco da dove proviene) è sufficiente arrivare appena al di sotto dei primi metri, quelli in cui il terreno risente delle variazioni stagionali della temperatura dell'aria e il gradiente fluttua di conseguenza.
Quando l'obiettivo è l'utilizzo diretto dell'energia geotermica come energia termica ovvero calore, senza ulteriori conversioni in altri tipi di energia, si ricercano risorse a bassa entalpia (temperature inferiori a 90 gradi centigradi) utilizzabili mediante sistemi di teleriscaldamento e/o con l'ausilio di pompe di calore geotermiche che possono quindi essere distribuiti su un territorio molto esteso perché non richiedono una particolare "vocazione" da parte della geologia del sottosuolo.
Le risorse di alta entalpia, caratterizzate da temperature superiori rispettivamente ai 90 e ai 150 gradi centigradi, sono invece indicate per l'ottenimento di energia elettrica  e in Italia sono presenti in alcune aree lungo il margine peri-tirrenico, tra cui spicca la Toscana che ad oggi resta di fatto l'unico bacino geotermico del nostro Paese dedicato alla produzione geoelettrica. E' lì che oltre un secolo fa per la prima volta nel mondo venne generata elettricità a partire dal calore terrestre: Larderello, piccola frazione in provincia di Pisa, è stata ribattezzata così in onore dell'ingegnere livornese di origine francese, François Jacques de Larderel, che per primo ebbe l’intuizione di sfruttare i soffioni boraciferi presenti sul territorio a fini industriali. Diversi decenni più tardi fu poi il principe Piero Ginori Conti, succeduto a Larderel nella proprietà dell’industria boracifera toscana, a perfezionare le tecniche fino a far sorgere una vera e propria centrale geotermica su scala industriale e attualmente la Toscana, grazie al bacino che oltre a Larderello comprende anche l'area del Monte Amiata, riesce a coprire il 30% del suo fabbisogno elettrico grazie alla geotermia.
Dopo un lungo periodo di stallo oggi in Italia si torna a parlare più convintamente di geotermia. Da un lato c'è certamente la necessità di puntare sulle energie rinnovabili e da questo punto di vista il calore della Terra è una fonte che presenta molti vantaggi visto che, diversamente da solare ed eolico, non è condizionata dalle condizioni meteo. Dall'altro lato il progresso tecnologico e scientifico consente, più di quanto non sia accaduto in passato, di limitare le emissioni di CO2 rilasciate dalle centrali geotermiche, comunque nettamente inferiori rispetto a quelle delle centrali elettriche a combustibili fossili. Inoltre, anche i rischi legati alla sismicità indotta possono essere tenuti sotto controllo grazie a un attento monitoraggio e alla rinuncia alle tecnologie più "stressanti" localmente per il sottosuolo.
Di geotermia abbiamo parlato a tutto tondo con Eloisa Di Sipio, ricercatrice del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova specializzata in questo ambito di studi. Insieme a lei abbiamo ripercorso i meccanismi che consentono all'interno della Terra di continuare a offrire calore, delle modalità con cui è possibile utilizzarlo a scopi industriali, delle tecnologie innovative che si affacciano sul mercato e delle principali conoscenze scientifiche in termini di ricadute ambientali e microsismicità….".

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foto da Georgofili Info

Gestire le aree perifluviali e aumentare la biodiversità a favore dell’ambiente e dell’agricoltura: i risultati di un progetto in Toscana

Un articolo di Daniele Vergari pubblicato lo scorso 20 luglio su Georgofili INFO,
il  Notiziario di informazione dell'Accademia dei Georgofili.


"In questi mesi l’università degli Studi di Firenze, nello specifico i Dipartimenti di Biologia e di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari e Ambientali e Forestali (DAGRI) e il Consorzio di Bonifica 3 Medio Valdarno, hanno dato vita ad un progetto che prevede il recupero di aree perifluviali con due finalità principali: aumentare la biodiversità delle aree perifluviali nel reticolo di competenza del Consorzio e creare un habitat più consono per gli insetti impollinatori e, in particolare, per le api selvatiche.
La sperimentazione, che durerà almeno tre anni, è la prima di questo tipo in Europa, in particolare perché i ricercatori si impegnano a valutarne gli effetti, mettendo a disposizione uno sforzo scientifico ingente, sia sul campo che in laboratorio, grazie al coordinamento della Prof.ssa Francesca Romana Dani e di Oana Catalina Moldoveanu, dottoranda presso il dipartimento di Biologia aiutata da Martino Maggioni, tesista di Laurea magistrale.
La presenza di api selvatiche si è molto ridotta negli ultimi anni e sono necessari ancora studi specifici che ne rivelino la presenza nei nostri ambienti. “In Europa ci sono ben 2.000 specie e solo in Italia” – afferma la professoressa Dani – “dove le biodiversità tendono ad essere più numerose, ne abbiamo quasi 1.100. Riuscire ad avere dati sui trend di popolazione diventa complicatissimo. Per molte specie addirittura non abbiamo nessun dato. Bisogna fare molta attenzione quindi prima di affermare che ci sono specie in via di estinzione. Va detto anche che, studiando le informazioni di alcune specie più conosciute, il fenomeno della diminuzione è evidente e innegabile. Questa è causata da vari fattori, quali i cambiamenti nell’uso del suolo, dalla riduzione di aree aperte dovuta all’espansione delle aree urbanizzate e, paradossalmente, dall’abbandono delle superfici coltivate e conseguente crescita di una copertura arbustiva e arborea che le api non amano, perché a loro servono spazi aperti con fioriture”.
Il progetto di collaborazione nasce dal tentativo del consorzio di aumentare le proprie attività sperimentali tentando di conciliare le esigenze di manutenzione del reticolo idraulico affidato all’Ente con una maggiore attenzione alla conservazione dell’ambiente, alla biodiversità. Nel nostro piccolo cerchiamo di cambiare paradigma: i Consorzi gestiscono un complesso reticolo idraulico sul territorio composto da fiumi, torrenti, canali e casse di espansione, ma anche da aree limitrofe sulle quali potremmo adottare una serie di iniziative a favore della biodiversità, della conservazione del suolo e della sua fertilità, della cattura della CO2 dell’infiltrazione dell’acqua e così via, con un grande beneficio a favore della collettività. Il primo progetto era nato con il dipartimento DAGRI della scuola di Agraria (UNIFI) con la collaborazione del Dott. Marco Napoli e prevedeva la semina di prati di trifoglio in una cassa di espansione nei pressi di Signa per favorire la conservazione della fertilità del suolo e migliorarne la qualità ambientale. Il successo di quel primo progetto del 2021 ha permesso di stringere relazioni anche con il dipartimento di Biologia e realizzare queste sperimentazioni su diverse miscele di prati vista la fioritura troppo breve del trifoglio…".
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