med index

Sima e Università di Bari presentano “Med Index”, sistema di etichettatura sostenibile che informa i consumatori e promuove la Dieta Mediterranea

Proposta pubblicata sulla rivista Journal of Functional Foods. L’etichetta “Med Index” unisce nutrizione, ambiente e salute
 


 Si chiama “Med Index”, è nato per rispondere alla sfida lanciata dall’Unione Europea per il 2024 nell’ambito della strategia Farm to Fork. E' un nuovo sistema di etichettatura dei prodotti alimentari che unisce nutrizione, salute e ambiente, promuovendo la Dieta Mediterranea e incoraggiando i produttori a realizzare alimenti sempre più sani e sostenibili. E' stato pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Functional Foods, sede editoriale dove gli ideatori della nuova etichettatura, Sima e Università di Bari, hanno illustrato i vantaggi di tale innovativo sistema.
Med Index è concepito come un'etichetta olistica, completa e applicabile dai produttori alimentari in quanto basata su criteri misurabili, ampiamente condivisi dagli stakeholder, ma generalmente adottati su base individuale.
Med Index copre i tre pilastri della sostenibilità (nutrizionale, ambientale e sociale), con la valutazione di 27 criteri (9 per ogni pilastro), la cui presenza o assenza è resa immediatamente visibile al consumatore attraverso un unico sistema di etichettatura positiva. Nessun algoritmo complicato o onere di lavoro per le aziende che desiderano utilizzare il Med Index, ma una checklist convalidata che “aggrega” e “riassume” una serie di informazioni e certificazioni già utilizzate, spesso frammentate, non immediatamente visibili o in grado di attirare l’attenzione del consumatore, incidendo sulla percezione del valore del prodotto.
“Nel 2024 la Commissione Europea esaminerà le proposte di etichettatura degli alimenti mirate ad aumentare la consapevolezza nell’acquisto di alimenti sostenibili – ricorda Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale –. Assieme al gruppo di ricerca del Centro “Cibo in Salute” dell’Università di Bari coordinato dalle Prof.ssa Clodoveo e Corbo, abbiamo voluto studiare un sistema che oltre a fornire nuove e più complete informazioni ai consumatori, promuova una alimentazione sana come la Dieta Mediterranea che, secondo tutte le evidenze scientifiche, rappresenta un fattore determinante di prevenzione, contrastando il rischio di insorgenza di importanti patologie croniche come diabete, ipertensione arteriosa ed obesità, oltre ad avere impatti positivi sull’ambiente” – conclude Miani.
“Il Med Index- commenta la Prof.ssa Maria Lisa Clodoveo – correla la densità energetica della porzione di alimento all’attività fisica necessaria per bilanciare l’input calorico, promuovendo un’attività fisica regolare, ma soprattutto incrementa la consapevolezza all’acquisto di cibi sani e sostenibili poiché rompe l’asimmetria informativa che caratterizza spesso il mercato dei prodotti alimentari.”

 

immagine dal sito grottadifumane.eu

Grotta di Fumane: Neanderthal e Sapiens si incontrano

 


Sabato 8 e domenica 9 ottobre 2022 nell’ambito del Festival della Terra, abbiamo colto un’occasione importante per conoscere da vicino i risultati emersi dagli ultimi studi effettuati sui reperti archeologici rinvenuti nella grotta di Fumane. Fumane è un comune provincia di Verona. L’area è geograficamente localizzata in Valpolicella a nord ovest rispetto al capoluogo e, come grotta Broion sui Berici in provincia di Vicenza, risulta frequentata fin dal paleolitico inferiore. Il substrato è costituito da rocce calcaree stratificate appartenenti al mesozoico in particolare Giurassico e Cretaceo. La grotta è di origine carsica.
Il primo intervento nel sito fu compiuto nel 1964 dal Museo Civico di Storia Naturale di Verona su sollecito del Maestro Giovanni Solinas.  Infatti i lavori dell’allargamento della vecchia carrozzabile per Molina avevano causato l’esposizione di una sezione stratigrafica con ossa e selci scheggiate.
Il Professor Pasa intuendo l’importanza dei reperti fece arretrare gli scavi di qualche metro per salvaguardare gli affioramenti. Gli studi furono ripresi solo nel 1988 dagli studiosi dell’Università di Ferrara, quando parte degli strati più antichi erano stati saccheggiati con l’asportazione di ossa e reperti litici. Il crollo della volta della grotta ha permesso la prosecuzione degli studi. Attualmente il cantiere è sistematicamente attivo da più di vent’anni e indaga contemporaneamente con diversi approcci: stratigrafico in settori di scavo diversi, cronologico e culturale. Le operazioni di scavo e il trattamento successivo dei materiali sono molto importanti per recuperare i materiali rinvenuti che diventano oggetto di studio con l’uso delle più recenti tecnologie.
La nostra visita guidata inizia proprio con la parola tecnologia che in ambito preistorico potrebbe stupire ma, anche i bambini presenti, sanno cosa significa scheggiare la selce per farne strumenti per tagliare, raschiare, sezionare.
Nel PaleoCenter, Letizia, questo è il nome della nostra giovane guida, racconta che il suo ruolo nel laboratorio della Facoltà di Archeologia dell’Università di Ferrara è proprio quello di riprodurre le tecniche di lavorazione litica. In particolare l’obiettivo è individuare differenze e analogie nei reperti provenienti da strati con diversa datazione, riconducibili quindi a culture e abilità differenti. Ci presenta due tecniche di scheggiatura riconducibili una all’uomo di Neanderthal e una al Sapiens. Nell’area la pietra scheggiata è la selce, abbondante nei livelli stratigrafici presenti. La selce tende a concentrarsi in lenti estremamente compatte e pressoché inattaccabili dagli agenti atmosferici, peculiarità che, insieme alla durezza e alla frattura concoide ne hanno fatto il materiale principe delle prime industrie litiche.
La prima tecnica di scheggiatura denominata “Levallois” dal nome della cittadina francese dove le pietre scheggiate sono state individuate e studiate, è una tecnica che appartiene a tutte le comunità Neanderthaliane nel continente Eurasiatico con reperti datati fin da più di 100.00 anni fa. Letizia dice come in laboratorio abbia imparato a ottenere da un nodulo di selce strumenti impugnabili e utilizzabili per tagliare, sezionare, raschiare.
La seconda tecnica è quella chiamata “a punta affilata” attribuita ai Sapiens e via via perfezionata. Gli strumenti ottenuti con questa tecnica di scheggiatura sono adatti a fare da punta di un coltello o di una lancia. Chi la impugna è quindi in grado di colpire una preda senza avvicinarsi troppo.
Letizia mette comunque in rilievo che le tecniche hanno entrambe una notevole efficacia per ottenere il risultato voluto e non manca di sottolineare quanto esercizio e impegno le sia costato utilizzare le mani per ottenere una scheggiatura simile mettendo in conto anche qualche ferita! L’abilità dei due cugini paleolitici era dunque equiparabile e il risultato funzionale agli scopi perseguiti. Una visita al PaleoCenter con le diverse ricostruzioni completa la conoscenza di questi manufatti e delle strategie utilizzate per assicurare le lame e le punte a un manico con collanti costituiti da resine, bitume, grasso animale e argille. La guida mostra poi la ricostruzione del reperto più famoso della grotta, quello che viene chiamato lo sciamano. Con ogni probabilità, considerata la posizione in cui è stato rinvenuto, si tratta di una rappresentazione iconica realizzata sulla volta della grotta. Questo particolare si comprende meglio all’interno della grotta stessa che è un vero e proprio cantiere di lavoro con impalcature e teloni dove ciascuno strato è campionato e datato meticolosamente.
I cartelloni esposti all’interno della grotta comparano i cugini homo, le loro tecnologie, la fauna che li accompagnava. Ci soffermiamo in particolare sull’utilizzo delle penne remiganti come abbellimento, in uso tuttora in diverse civiltà di nativi. Gli studi al microscopio dei reperti ossei come l’ulna di diversi uccelli rapaci mettono in evidenza le tracce di avulsione delle penne stesse. Elemento più volte condiviso dalla guida e dai presenti è che le specie umane nella preistoria erano nomadi, migravano in cerca di ambienti favorevoli; l’aspetto e la complessione fisici erano strettamente legati al clima, non dimentichiamo che il Neanderthal ha vissuto a cavallo dell’ultima era glaciale chiamata Wurm, e la sua struttura che oggi definiamo tarchiata era funzionale a una minor dispersione del calore corporeo. La teca cranica aveva un volume maggiore della nostra, anche questo fattore garantiva una maggiore protezione dell’encefalo dal freddo. Gli studi attualmente danno per certo che i cugini hanno convissuto. Letizia afferma “hanno fatto l’amore ma non ci sono dati a conferma che abbiano fatto la guerra”. Certo è che nel nostro DNA abbiamo qualche filamento, eredità del Neanderthal. A noi piace pensare che il Sapiens non sia responsabile dell’estinzione del cugino del quale continuiamo a studiare le caratteristiche fisiche, l’ambiente di vita, la cultura.

Alberta Vittadello e Giuseppina Vittadello

Foto da Georgofili.info

Accademia dei Georgofili: “La carenza di zolfo e le sue conseguenze sulle disponibilità alimentari a livello globale”

Un articolo di Mauro Antongiovanni pubblicato lo scorso 5 ottobre su Georgofili INFO,
il Notiziario di informazione dell'Accademia dei Georgofili. 


"Al momento attuale più dell’80% dello zolfo prodotto a livello mondiale proviene dalla desolforizzazione per raffinazione degli oli minerali e dei gas naturali fossili. Con la decarbonizzazione dell’economia globale, che sarà necessario attuare per mitigare il fenomeno del riscaldamento atmosferico, si ridurrà drasticamente e significativamente la produzione dei carburanti fossili e, di conseguenza, la disponibilità di zolfo.
Il prof. Maslin dell’University College di Londra, in un articolo comparso qualche giorno fa su “Geographical Journal”, osserva come lo zolfo non si possa più considerare un abbondante prodotto di scarto della raffinazione degli oli e dei gas combustibili, oggi ampiamente disponibile. La domanda per questo prodotto è destinata ad aumentare enormemente nell’immediato futuro e ciò porterà inevitabilmente all’estrazione dello zolfo elementare dalle miniere, pratica tossica, distruttiva, inquinante ed economicamente costosa. Ciò perché avremo la necessità di ricorrere in maggior misura alla agricoltura intensiva per far fronte alle aumentate necessità alimentari della popolazione mondiale che cresce esponenzialmente, e lo zolfo è alla base della produzione dei fertilizzanti, sotto forma di acido solforico.
Il co-autore dell’articolo, il Dr. Simon Day, esprime la sua preoccupazione che tutto ciò porti ad un periodo di transizione caratterizzato da problemi di produzioni alimentari limitate, specie nei paesi più poveri.Fatta questa premessa, limitiamoci a fare qualche considerazione sull’importanza della disponibilità dello zolfo in alimentazione animale, in aggiunta alla possibile carenza di foraggi e mangimi per mancanza di adeguate quantità di fertilizzanti ed a prescindere da altri impieghi concorrenziali dello zolfo come, ad esempio, nella produzione industriale di batterie di ultima generazione al litio-zolfo, destinate a sostituire le batterie agli ioni litio, che saranno sempre più richieste per le automobili elettriche perché a più elevata densità energetica.
Il corpo animale contiene in media intorno allo 0.15% di zolfo. I monogastrici non sono in grado di sintetizzare alcuni metaboliti solforati come la metionina, la tiamina, la biotina, a partire dallo zolfo inorganico. Pertanto è necessario che questi nutrienti essenziali siano già presenti negli alimenti di questi animali. Le diete dei ruminanti devono, invece, contenere mediamente 2000 – 3000 ppm di zolfo per kg di sostanza secca per rifornire i batteri ruminali di questo elemento per la sintesi delle vitamine e degli aminoacidi solforati. Non si tratta di quantità rilevanti ma le carenze di zolfo sono comunque da evitare.

Per ricapitolare e mettere ordine al ragionamento:
– il riscaldamento globale impone politiche di limitazione dell’impiego dei combustibili fossili per limitare i danni, anche sull’agricoltura;
– la popolazione mondiale arriverà presto ai 9 – 10 miliardi;
– ci sarà sempre maggior richiesta di derrate alimentari, ovvero sempre maggiore richiesta di prodotti della agricoltura, sia di origine vegetale che animale;
– i paesi poveri saranno ancora più poveri, con tutto ciò che consegue sul piano sociale e sui fenomeni migratori;
– il modificato andamento climatico porterà alla ridotta disponibilità delle aree coltivabili, rendendo necessario un aumento della produttività in agricoltura e zootecnia;
– l’impiego di fertilizzanti efficaci sarà determinante a questo scopo;
– per produrre più fertilizzanti saranno necessarie elevate quantità di zolfo;
– ma le disponibilità di zolfo saranno scarse come conseguenza del limitato uso delle fonti energetiche non rinnovabili per contrastare l’effetto devastante dei gas serra;
– e si torna al primo punto.
Sono un inguaribile ottimista: troveremo una via di uscita. Quello che è certo è che, oltretutto, le guerre non aiutano, da qualunque parte si voglia considerare il problema."