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IPM – Integrated Pest Management. Affrontare la gestione integrata delle infestazioni

Sono stati di recente pubblicati gli atti del congresso internazionale “Pesticide Use and Risk Reduction for future IPM in Europe” (Uso di pesticidi e riduzione del rischio per una futura gestione sostenibile dei parassiti in Europa) tenutosi a Riva del Garda (TN) dal 19 al 21 marzo scorso. È stato un evento internazionale di gran rilievo che ha affrontato le possibili soluzioni strategiche per avviare la Gestione Integrata delle Infestazioni (IPM in inglese), passando, così, da un’agricoltura vecchio stile, basata sull’impiego di quantità elevate di energia fossile e sull’uso massiccio di pesticidi, a una agricoltura più rispettosa dell’ambiente e della biodiversità, come richiesto dall’applicazione della direttiva europea 2009/128/EC e dalla sua prossima attuazione da parte degli stati membri (al 31.12.2013).

Il convegno è stato strutturato in diverse sessioni, spesso parallele per poter toccare molti argomenti in un tempo relativamente breve. Largo spazio è stato dato alla ricerca, ai casi studio, alle proposte e ai suggerimenti. Non è mancata la sezione completamente dedicata al commerciale, dove ditte diverse hanno potuto presentare le proprie novità. Dall’analisi dello stato attuale generale si è passati all’esame di casi studio delineando sviluppi e possibilità future. Per l’Italia, la presentazione dello stato dell’arte nella lotta integrata ai parassiti vegetali è stata effettuata, tra gli altri, da Mariangela Ciampitti, del Servizio Fitosanitario Regione Lombardia, in forza all’ERSAF; mentre la relazione su come l’Italia intende implementare la Direttiva Europea 2009/128 è stata effettuata da Tiziano Galassi del Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna, in collaborazione col Ministero dell’Agricoltura. Tra gli Enti che si pongono come referenti nel cambiamento per l’Italia si è presentato il Centro collegato alla Facoltà di Agraria dell’Università di Padova, Agripolis.

Nella sessione dedicata a modelli e indicatori si trovano sia quelli impiegabili direttamente per la simulazione della perdita di raccolto, sia quelli mirati a sorvegliare la potenzialità di avvelenamento. Quest’ultimo modello è stato presentato da Laura Settimi dell’Istituto Superiore di Sanità.

La sezione dedicata all’ingegneria ecologica e ambientale presenta interventi che mirano a illustrare l’ottimizzazione del meccanismo di controllo di parassiti e malattie. Nella sezione dedicata ai modelli per la previsione di infestazione da parassiti e malattie sono state considerate coltivazioni di albero da frutto, fiori, rose in particolare, e girasoli. Vittorio Rossi dell’Università di Piacenza, ha illustrato vari tipi di modelli con relativi limiti e pregi. È stato dato anche spazio al supporto fruibile via web, utile soprattutto a quanti, a seguito delle previsioni ricevute dall’impiego dei modelli, debbano prendere una decisione su come muoversi successivamente. In particolare, Tito Caffi, dell’Università di Piacenza, ha illustrato una possibilità di supporto on-line per il comparto viticolo. Un’intera sessione è stata dedicata alla strumentazione tecnica: tipologia, impiego, efficacia e costi di funzionamento. Uno studio sullo Scaphoideus titanus, vettore della flavescenza dorata della vite, contro cui è obbligatoria la lotta, è stato presentato da Valerio Mazzoni della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN).

Una sessione ha preso in considerazione i bioinsetticidi e i derivati vegetali. Tito Caffi ha illustrato alcune soluzioni per il comparto viticolo, mentre Luca Riccioni del CRA-PAV ha illustrato soluzioni per i semi di lenticchie, piselli, ceci, fagioli, riso e grano.

Una sessione è stata dedicata ai prodotti semiochimici. Si tratta di:

1) feromoni ovvero messaggeri chimici che agiscono tra individui della stessa specie, la cui interazione è detta relazione intraspecifica;

2) allelochimici ovvero messaggeri chimici che agiscono tra specie diverse, talvolta regni diversi; tale interazione è detta relazione interspecifica.

Si riportano casi e risultati ottenuti in tutto il mondo e, in specifico, l’esempio di SUTERRA, ditta produttrice di semiochimici, che illustra l’efficacia di due suoi prodotti nella lotta contro lepidotteri ed emitteri (Rincoti) e contro la mosca della frutta.

La lotta integrata ai parassiti passa anche per la selezione dei materiali di propagazione. Riccardo Velasco, della Fondazione Edmund Mach, illustra il caso della vite, dei risultati ottenuti e delle sue applicazioni in territorio alpino. Considerata poi l’importanza dell’applicazione pratica, una intera giornata è stata riservata alle ditte produttrici che hanno illustrato i loro nuovi prodotti e proposto le loro strategie di intervento.

Il congresso si è chiuso con una riflessione sulla direttiva europea 2009/128/EC e sul Piano Nazionale di Attuazione (PAN), avviato in Italia. Importanti e utili i 160 poster presentati, la cui documentazione è inclusa negli atti. L’Università di Milano ha presentato un poster con risultati attenuti sull’efficacia del modello euristico EPI (Etat Potentiel d’Infection) nel monitorare e prevedere la necessità di trattamento contro Plasmopara viticola, la peronospora della vite. Lo studio, effettuato tra il 2008 e il 2013, ha dimostrato la buona attendibilità del modello.

Per saperne di più: Gli atti completi

Fonte: Future IPM in Europe

 

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Impronta idrica o Water footprint, ridurne il peso nel settore agroalimentare. Aspetti teorici e applicazioni pratiche

Introduzione
Mediamente il 50% del consumo idrico mondiale viene assorbito dalle attività agricole; nelle economie emergenti può arrivare al 90% e le previsioni entro il 2050 stimano un aumento del 19% legato alla maggior richiesta di prodotti agricoli alimentari anche come fonte energetica. La stima tiene conto altresì dei cambiamenti climatici che impongono di irrigare terreni in precedenza produttivi senza irrigazione. In particolare, uno studio di Coldiretti valuta che circa l’87% della produzione agricola italiana, 3 milioni di ha circa, provenga da territori irrigati, a causa della struttura del suolo o degli aumentati periodi di siccità.

In questo contesto è significativo introdurre il concetto di Water Footprint (WFP), ovvero Impronta idrica, pure nel settore agroalimentare. Dall'iniziale concetto di acqua virtuale, introdotto nel 1993 dal professore Allan del King’s College di Londra, che misura la quantità d’acqua realmente consumata per la produzione e commercializzazione di alimenti e beni di consumo sulla base del loro intero ciclo di vita, è stato pertanto sviluppato questo innovativo indicatore di calcolo dell’acqua virtuale, la Water Footprint che si applica non solo a singoli prodotti, ma a interi processi produttivi, fino ad arrivare alla valutazione del peso idrico di una comunità o di una nazione. Indica il volume totale di acqua dolce consumata per unità di tempo, direttamente e indirettamente da parte di singoli, comunità, aziende di beni e servizi. Si propone come strumento per quantificare l’appropriazione di acqua dolce da parte dell’uomo e valutare i possibili impatti legati al suo utilizzo nella produzione di prodotti di consumo; vengono considerati sia i volumi d’acqua consumati (evaporati o incorporati in un prodotto) che quelli inquinati. Nella definizione specifica dell’impronta idrica è data rilevanza anche alla localizzazione geografica dei punti di captazione della risorsa

I concetti e le definizioni relative all'impronta idrica non devono rimanere patrimonio teorico del mondo scientifico, ma divenire strumenti per la programmazione e la gestione corretta della risorsa, soprattutto in questa fase di sensibile riduzione della disponibilità a livello globale. Le risorse idriche sono infatti messe a rischio non soltanto dal consumo diretto, ma ancor più da quello indiretto, di gran lunga superiore a quello diretto, e dall’alterazione causata da processi industriali e agricoli.

Indagini e Workshop
Alcune aziende agroalimentari italiane hanno partecipato a indagini promosse da diversi Enti e associazioni al fine di valutare la WFP dei propri prodotti messi in vendita. Tra queste l'Azienda Mutti di Parma (conserve di pomodoro) che, con il supporto del Dipartimento di Ecologia Forestale della Facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia e del WWF, ha analizzato la sostenibilità della sua filiera produttiva calcolandone l’impronta idrica complessiva. L’indagine ha riguardato nel dettaglio l’intera catena produttiva, dalla coltivazione in pieno campo alla trasformazione della materia prima, fino alla realizzazione degli imballaggi. È emerso che per la produzione di un chilo di pomodoro fresco sono necessari 156 litri di acqua, per una bottiglia di passata 172 e circa 223 litri per un barattolo di polpa da 400 grammi.

La misura della WFP è elemento di valutazione della sostenibilità di un processo produttivo per l'adozione di strategie di contenimento di eventuali sprechi. In questo contesto, AISM Associazione Italiana Marketing – Dipartimento Green Marketing e Consorzio Venezia Ricerche hanno organizzato per il prossimo 5 luglio il workshop “L’industria Agroalimentare incontra l’impronta idrica“ presso il Parco Scientifico Vega di Marghera – Venezia; una occasione di confronto tra mondo scientifico e imprenditoriale.

Il workshop intende promuovere una più ampia diffusione dell’impronta idrica fra le imprese che operano nel nostro Paese. Le relazioni approfondiranno il tema del calcolo dell’impronta per l’industria alimentare italiana col proposito di soddisfare la necessità sempre più sentita dalle aziende di adottare e gestire una risorsa così preziosa con approccio sostenibile e condiviso.

Comunicare da parte delle aziende la Water Footprint di un prodotto o un servizio rappresenta inoltre un chiaro segnale della volontà di utilizzare al meglio questa risorsa, un incentivo a un comportamento aziendale più sostenibile, un elemento strategico nella promozione comunicativa green oriented.

Per approfondimenti:
la pagina del convegno; la scheda d'iscrizione

Per informazioni contattare la Segreteria AISM a info@aism.org,  tel 02/863293