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Un fungo patogeno per la lotta biologica alle zecche

Le zecche rappresentano un problema per gli allevatori di pecore in quanto portatrici della febbre ricorrente delle zecche (TBF – Tick-Borne Fever), una febbre alta che abbassa le difese immunitarie. Pertanto gli animali affetti da TBF possono essere colpiti anche gravemente da malattie che comunemente sono ben tollerate.
Negli ultimi decenni la concentrazione di zecche è aumentata soprattutto nelle zone temperate dell’emisfero nord. Le zecche sono anche possibili vettori di malattie nell’uomo, alcune delle quali mortali, come la meningite, o possono indurre allergie, ad esempio alla carne rossa; inoltre una stessa zecca può veicolare più infezioni in una sola volta, con conseguente impatto più devastante sull’organismo recettivo.

Una ricerca condotta in collaborazione tra Ingeborg Klingen, dell’Istituto per l’Ambiente e l’Agricoltura di Bioforsk, dipartimento “Protezione e Salute delle Piante” e BIOPESCO, dipartimento dell’Università di Innsbruck (Austria), ha portato all’introduzione di interessanti novità sul controllo biologico delle zecche tramite l’impiego di un fungo patogeno, il Metarhizium. Questo fungo era già noto con il nome di Entomophthora anisopliae ed è un fungo che vive abitualmente nel suolo in tutto il mondo e causa malattie in vari insetti agendo come parassitoide. È un fungo mitosporico con riproduzione asessuata. Il Metarhizium viene già impiegato per il controllo biologico di elateridi, oziorrinchi, grillotalpa e di altri coleotteri terricoli.
La novità consiste nel determinare la sua possibilità di impiego anche nel controllo biologico delle zecche e si fonda proprio sulla possibilità di diffondere in natura grandi quantità di questo fungo, la cui azione biologica risulta essere nella lotta alle zecche una importante alternativa a quella del controllo chimico.
La sorte che attende le zecche colpite dal fungo è terribile: il fungo si deposita sulla cute dove incomincia a germinare; successivamente penetra all’interno e si diffonde in tutto il corpo, producendo durante la sua crescita sostanze tossiche e letali per la zecca. Il fungo quindi continua a proliferare fino a riempire tutto il corpo,poi fuoriesce sulla cute e vi forma nuove spore in grado di diffondersi poi su altre zecche.

Tale nuovo prodotto a base di Metarhizium, chiamato BIPESCO 5, è stato già incluso nell’elenco positivo dei pesticidi dell’Unione Europea in quanto ha superato tutti i test di tossicità su animali e esseri umani, e di permanenza in natura. Infatti, la permanenza in natura risulta entro i limiti e non sono stati riscontrati effetti collaterali inaccettabili ovvero dannosi per l’ambiente e la salute umana.
Oggi detto prodotto è testato su isole o sentieri con alta percentuale di zecche e i risultati sembrano promettenti. In futuro lo si vorrebbe poter impiegare anche in aree ricreative delimitate, da qui la necessità che la ricerca continui, magari in combinazione con altri metodi da sviluppare insieme a Istituti di Salute Pubblica. Attualmente si è in attesa dell’approvazione del prodotto a livello dei singoli Stati. La Norvegia, ad esempio, richiede ulteriori prove sul tempo esatto di permanenza sul terreno in un ambiente freddo e inospitale quale quello del suo territorio.

Per saperne di più:
Bioforsk
BIPESCO

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Fare impresa a zero emissioni è possibile

È tutta italiana, sarda per la precisione, la prima impresa completamente ecosostenibile a ridottissimo impatto ambientale che impiega come materie “prime” materiali di scarto principalmente provenienti dall’agricoltura e li trasforma dando vita a materiali di qualità che trovano impiego nell’edilizia. I residui maggiormente impiegati sono residui di processi produttivi, come i reflui della lavorazione del latte e le sottolavorazioni della lana, salvando questi prodotti dallo smaltimento e immettendoli nuovamente nel ciclo produttivo, nel pieno rispetto della strategia europea di riuso e riciclo. Il progetto nel suo complesso si chiama “Casa Verde CO2.0” e al suo interno operano due imprese: Edilana e Edilatte.

Il primo materiale di scarto ad essere stato riutilizzato è stata la lana. L’industria tessile utilizza le fibre lunghe mentre le corte vengono normalmente bruciate come rifiuto speciale. L’idea di Daniela Ducato, fondatrice della Casa Verde CO2.0, nasce dall’impiego nell’edilizia di questo materiale, la lana, così ricco di proprietà solo parzialmente sfruttate.
La lana, infatti, è un ottimo isolante termico. L’isolamento termico è dato dalla capacità di trattenere l’aria al proprio interno. La lana possiede delle scaglie che danno alla fibra una certa ruvidezza e con i loro interstizi ne aumentano la superficie. Questo permette alle fibre di trattenere una maggior quantità d’aria e dunque avere ottime capacità di isolamento termico superiori a qualsiasi altro materiale naturale.
Il suo potere isolante rimane costante anche in presenza di umidità, in quanto la lana di pecora è la fibra più igroscopica che esista in natura, è in grado cioè di assorbire vapore acqueo fino ad un terzo del suo peso senza risultare bagnata, senza gonfiarsi o modificare la sua struttura. Al tempo stesso è capace di cedere lentamente l’acqua assorbita regolando l’umidità dell’ambiente. La materia cerosa (lanolina) che riveste le fibre rende la lana idrorepellente. Inoltre, l’eccellente controllo dell’umidità, con sviluppo di calore nella fase di assorbimento, evita fenomeni di condensa.
La lana di pecora possiede anche un elevato potere ignifugo: prende fuoco con difficoltà, è autoestinguente, non fonde, non gocciola, carbonizza velocemente e non trasmette la fiamma, sviluppa poco calore e poco fumo.
Le fibre della lana di pecora (lattifera) grazie alla struttura fortemente proteica, non sono attaccabili dalle muffe ma addirittura ne contrastano la formazione.
La ricchezza cheratinica della fibra di lana dona la capacità alla lana stessa di legare ed eliminare le alcune sostanze anche tossiche.
La fibra della lana ha un’uncinatura molto ricca e sinuosa, fortemente spiraliforme che permette di abbattere l’inquinamento uditivo con il risultato di essere un buon isolante acustico.
La lana inoltre grazie alla scarsa elettricità statica non attira e non accumula polvere.

A seguito di tutte le suddette considerazioni è partita la realizzazione di pannelli isolanti per tetti e pareti in lana di pecora sarda. Rimane di particolare importanza il mantenere un bassissimo impatto ambientale su tutta la linea produttiva, pertanto nell’azienda: la materia prima utilizzata (la lana di pecora) è una risorsa rinnovabile;

  •  il ciclo produttivo è a km zero;
  •  il trasporto è a Km scambiato;
  •  l’imballaggio ecologico in carta certificata;
  • il ciclo produttivo cattura ed azzera CO2 (1m3 di pannello in lana elimina 230 kg di CO2 contro l’emissione di 170 – 240 kg di CO2 per la produzione di 1m3 di lana di roccia di polistirene);
  • il materiale cartaceo usato per la comunicazione sono realizzate in carta-alga prodotta con l’eccesso di alghe provenienti dalla laguna di Venezia.

L’idea e la realizzazione dei pannelli in lana ha portato la fondatrice di Casa Verde CO2.0, Daniela Ducato, ad essere insignita, lo scorso novembre 2013, della medaglia d’oro per il miglior prodotto rispettoso dell’ambiente in occasione della quarta conferenza mondiale organizzata ad anni alterni da Euwiin e Gwiin a Stoccolma, in Svezia.

Per saperne di più:
Euwiin International Awards
Edilana
Edilatte

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Nuove frontiere nella coltivazione della camomilla

La camomilla (Matricaria recutita) è una pianta medicinale impiegata in medicina tradizionale, alternativa e veterinaria. Mentre l’impiego della camomilla aumenta, specie nel trattamento di problemi di stomaco e intestino, la sua coltivazione in Europa è limitata. Si importa camomilla da Sud America, Egitto e Europa dell’Est, ma la coltivazione potrebbe trovare spazio anche in Europa e dimostrarsi economicamente vantaggiosa se fosse possibile selezionare una varietà che fiorisca per periodi più lunghi e con tempi di raccolta più dilazionati. Dovrebbe anche trattarsi di una varietà facile da sradicare, in modo da rendere possibile l’uso del terreno per altre colture nell’annata successiva. Questa condizione è facilmente ottenibile impiegando piante che producano per la maggior parte semi sterili.
Le varietà con le suddette caratteristiche sono in genere facili da ottenere, perché tipiche delle piante in forma triploide (cellule con tre set cromosomici aploidi anziché i normali due, diploidi). Le piante cambiano spontaneamente e naturalmente il numero di cromosomi per adattarsi meglio alle variazioni ambientali. L’aumento di adattabilità dei poliploidi a condizioni ambientali estreme è dato dal fatto che contengono una maggior varietà genetica e quindi una maggiore probabilità di produrre il genotipo più idoneo. Il ri-arrangiamento genomico e l’instabilità delle piante poliploidi giocano un ruolo nello sviluppo e ne determinano la sterilità. Questa non risulta comunque essere l’unica causa, infatti si ipotizza che lo stesso accrescimento delle dimensioni della cellula possa influenzare la riproduzione.

La camomilla presenta però una genetica conservativa e quindi non produce né spontaneamente né facilmente varietà poliploidi. Infatti all’interno della stessa cultivar i livelli di omogenità ploide è altissima, basti pensare che l’omogeneità raggiunge il 98% per la cultivar Degumille ed è addirittura del 100% per la varietà Bona.

La strada percorsa dai ricercatori dell’Università di Vienna, guidati da Bettina Fähnrich dell’Istituto di Nutrizione Animale dell’Università di Vienna, si è concentrata sia sulla creazione in laboratorio di varietà triploidi sia sull’analisi dell’intero ciclo riproduttivo della camomilla e la creazione di incroci tra varietà diverse.
La ricerca sulla produzione di varietà triploidi in laboratorio non ha ottenuto successi in quanto non solo si sono ottenute solo forme tetraploidi (con quattro set di cromosomi), ma queste forme non presentavano le caratteristiche desiderate, anzi si sono dimostrate meno stabili delle varietà naturali.
I risultati importanti ed interessanti si sono ottenuti dalla ricerca sul ciclo produttivo e sulla conseguente creazione di nuove varietà per incrocio sistematico.
Infatti, da incroci successivi si sono attenute cultivar di buona qualità, con caratteristiche che si avvicinano ai requisiti richiesti e con un maggior grado di sterilità.
Questi risultati aprono quindi una nuova strada alla ricerca presso l’Università di Vienna come altrove, e lasciano sperare nell’arrivo in un prossimo futuro di varietà di camomilla economicamente più vantaggiose nonché di facile coltivazione.

Per saperne di più:
Journal for Applied Botany and Food Quality
University of Veterinary Medicines, Vienna, Austria