“Alimenta2talent”, i vincitori hanno presentato le loro imprese

Il progetto “Alimenta2talent”, che si è concluso lo scorso 12 dicembre a Milano con la presentazione e il lancio dei cinque finalisti, aveva preso avvio attraverso un invito internazionale di "Alimenta2Talent' all’inizio del 2013.
La Call, nello specifico, si rivolgeva a ricercatori/aspiranti imprenditori impegnati all'estero, o a ricercatori/aspiranti imprenditori italiani che volessero fare imprenditoria in Italia. Nello specifico venivano richiesti aspiranti imprenditori sotto i quarant'anni, con idee nel settore Agroalimentare e delle Scienze della Vita. Alla Call (invito a presentare idee progetto) hanno risposto 32 giovani ricercatori e aspiranti imprenditori da tutto il mondo, che hanno partecipato sia come singoli sia come team (32 team leader, di cui 9 donne; in totale 119 partecipanti, di cui 36 donne) scegliendo Milano quale sede e piattaforma del proprio progetto.
I progetti provenivano da Taiwan, Regno Unito, Svezia, Emirati Arabi, Olanda, Spagna, Svizzera, Brasile, Belgio, Sud Africa, Tunisia, USA, Francia e naturalmente Italia.

I progetti valutati positivamente alla prima selezione sono passati alla fase due, “Alimenta Accelerating Program”, il programma di accelerazione gratuito sviluppato con i migliori professionisti nel campo della creazione d'impresa e del business development del Parco Tecnologico Padano e sono stati sviluppati all’interno dell'Incubatore di Impresa Alimenta.

L’Incubatore d’Impresa Alimenta è proprio dedicato alle nuove imprese innovative nel settore delle agro-biotecnologie; suo obiettivo principale è infatti la creazione di start-up e spin-off per valorizzare i risultati della ricerca. L’azione di Alimenta consiste in:

  • supporto alla creazione dell'impresa: dall'analisi della fattibilità del progetto fino alla scrittura del business plan,
  • offerta degli spazi fisici in cui trasformare le idee in realtà,
  • un pacchetto completo di servizi che seguono la nuova impresa anche dopo la sua nascita, comprensivo di supporto nella fase organizzativa, consulenza giuridica e per la protezione della proprietà intellettuale, consulenza amministrativa e accesso ad infrastrutture di eccellenza per la ricerca.

Alla presenza dell’Assessore Cristina Tajani e di Renato Galliano del Comune di Milano, i cinque giovani imprenditori hanno presentato i loro progetti sviluppati con il supporto del Parco Tecnologico Padano, rappresentato dal direttore Gianluca Carenzo.
Le idee imprenditoriali dei giovani talenti ora cercano investitori pronti a scommettere. Scommettere sul prodotto e sulle persone in un ambito, quello dell’agroalimentare, sempre più importante in vista dell’appuntamento con Expo2015.

Le 5 idee vincitrici di Alimenta2Talent sono:

  1. Orange fiberun progetto imprenditoriale di moda volto alla creazione di tessili sostenibili da rifiuti di agrumi, utilizzando le nanotecnologie.
  2. Green4lifesi occupa della produzione e commercializzazione di prodotti a base di Spirulina, un cianobatterio con alto contenuto di proteine, sali minerali ed altri importanti elementi.
  3. NADAL(North Africa Diagnostics & Analysis Laboratories) importante progetto per la creazione di una piattaforma per il Mediterraneo per la fitodiagnostica e il fitosanitario.
  4. Flora Conservationuna società agricola per la produzione di piante erbacee autoctone per il verde ornamentale, i recuperi ambientali (es. cave, scarpate stradali), la fitodepurazione e l’edilizia sostenibile (tetti verdi, giardini verticali).
  5. Coffee Reloaded, è una nascente start up italiana che ha come mission principale il recupero e il riutilizzo di fondi di caffè in modo efficiente ed ecologico.

Risultano essere di particolare interesse per il mondo agricolo i progetti Nadal e Flora Conservation

Il Progetto Alimenta2talent

I finalisti  (video)

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Un nuovo studio per determinare se e quanto i residui dei pesticidi siano biodegradabili

Il Centro Helmoltz di Ricerche per l’Ambiente (UFZ) di Leipzig è specializzato in ricerche sulle complesse interazioni tra gli uomini e l’ambiente in contesti come le risorse idriche, la biodiversità, il cambiamento climatico, e poi  biotecnologie, bioenergia, destino dei prodotti chimici nell’ambiente e loro effetto sulla salute umana.
Da diversi anni il Centro si occupa dell’impatto dei pesticidi sull’ambiente e partecipa a progetti finanziati dall’Unione Europea proprio su questo settore.
Di particolare importanza sono risultati i progetti RAISEBIO, da poco concluso, e MAGICPAH, progetto tuttora in corso.
Proprio all’interno di questi due progetti svolti in collaborazione con l’Università Tecnica Rhine-Westphalian di Aachen (RWTH) e l’Università Tecnica di Danimarca, si è svolta una ricerca su nuovi metodi di classificazione per i pesticidi.
I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista “Critical Reviews in Environmental Science and Technology”, con il titolo “Classification and modelling of non-extractable residue (NER) formation of xenobiotics in soil – a synthesis”.

Nell’articolo si illustra un nuovo metodo di identificazione ed un modello che permette di classificare i pesticidi in base alla biodegradabilità del pesticida e dei suoi derivati.
E’ importante infatti specificare che non tutti i pesticidi sono causa di inquinamento ambientale, contaminano il suolo o hanno un impatto negativo sulla la biodiversità. E’ bene infatti ricordare che proprio i pesticidi hanno un ruolo importante nell’agricoltura moderna.
Attualmente nel mondo sono circa 5.000 i tipi di pesticidi impiegati, ognuno caratterizzato da una particolare efficacia e impatto ambientale. Alcuni pesticidi sono facilmente biodegradabili, mentre altri impiegano più tempo e quindi persistono nell'ambiente più a lungo, e alcuni altri ancora creano legami chimici con le varie componenti del suolo dando origine ai così detti residui legati (bound residues). Finora si era assunto che tutti questi legami fossero di per sé tossici, pertanto tutti i pesticidi che formano oltre il 70% di residui legati sono considerati automaticamente fuori norma.
Il gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Kästner, ha voluto approfondire il destino dei pesticidi una volta immessi nell’ambiente. Per questo scopo ha impiegato il metodo del 13C, ovvero ha marcato con il 13C i pesticidi e quindi li ha utilizzati in diversi tipi di suolo ciascuno con caratteristiche differenti. I campioni prelevati, trattati ed analizzati con uno spettrometro di massa, hanno permesso agli scienziati di individuare tutti i residui e i prodotti di degradazione generati.
A questo punto è iniziata la parte più innovativa e più importante della ricerca: partendo dai dati analitici raccolti, si è creata una classificazione dei prodotti di degradazione e dei residui legati nonché un modello applicabile a tutti i pesticidi.
I pesticidi vengono così suddivisi in tre tipologie:

·         Tipo 1:  il pesticida stesso o i suoi prodotti di degradazione di componente organica si depositano o vengono aggregati nel suolo (humus), e, in linea di principio, possono essere rilasciati in qualsiasi momento;

·         Tipo 2:  il pesticida o i suoi prodotti di degradazione si legano chimicamente all’humus e quindi possono essere rilasciati solo con difficoltà;

·         Tipo 3:  il pesticida viene completamente decomposto dai batteri e il carbonio contenuto viene trasportato dai batteri alla biomassa.

Pertanto, i pesticidi appartenenti alle categoria 1 e 2 devono essere catalogati e considerati potenzialmente tossici, mentre tutti quelli appartenenti al tipo 3 possono avere il completo via libera, senza il timore dell’insorgenza di problemi futuri.

Le autorità tedesche stanno attualmente considerando l’ipotesi di inserire questa nuova classificazione nelle loro norme. Questo avrebbe come conseguenza il completo via libera di due pesticidi risultati di tipo 3: l’acido 2,4 diclorofenossiacetico (2,4-D) e l’acido 2 metil 4 clorofenossiacetico (MCPA).

Per saperne di più:
UFZ(Helmotz Center for Environmental Research)
Progetto RAISEBIO: Risk Assessment and Environmental Safety Affected by Compound Bioavailability in Multiphase Environments (RAISEBIO)
Progetto MAGICPAH: Molecular Approaches and MetaGenomic Investigations for optimizing Clean-up of PAH contaminated sites (MAGICPAH)
Articolo completo “Classification and modelling of non-extractable residue (NER) formation of xenobiotics in soil – a synthesis” sul Journal of Critical Reviews in Environmental Science and Technology

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La nuova patata “che dà la vita” viene dal Perù

Il Perù ha presentato a dicembre una nuova varietà di patata ottenuta tramite incroci con altre varietà locali. In Perù evistono migliaia di varietà di patate autoctone e la ricerca per nuove varietà è molto attiva. Questa ricerca ha coinvolto principalmente l’Istituto Nazionale per l’Innovazione in Agricoltura (INIA), il Centro Internazionale della Patata (CIP), l’Università per lo Sviluppo Andino di Huancavelica (UDEA), CARE Perù, PRISMA, CAPAC Perù, ADERS Perù e piccoli agricoltori della zona di Huancavelica. La ricerca, durata quattro anni, ha portato alla selezione di una nuova varietà denominata INIA 321 – Kawsay.
Kawsay in quechua significa “alimento che da la vita”. Tale denominazione la patata se l’è guadagnata in quanto il governo peruviano stima di poter lottare contro la malnutrizione infantile proprio con questo tubero. Infatti, a differenza delle altre patate normalmente coltivate, la Kawsay presenta una concentrazione maggiore di ferro, zinco e vitamina C. In particolare la Kawsay presenta un contenuto in ferro pari a 18.50mg/kg contro i 8-12mg/kg delle altre patate normalmente coltivate in Perù. Questa caratteristica potrebbe quindi essere determinante nel combattere l’anemia, problematica presente nei popoli andini e, al tempo stesso, rende questa patata un alimento potenzialmente essenziale per la nutrizione di bambini a partire dai 6 mesi.
Questa patata si adatta molto facilmente all’ambiente peruviano. Le prove su campo finora condotte hanno dimostrato ottime rese nelle zone andine comprese tra i 2500 e i 4100 m s.l.m., dove il clima si presenta temperato durante l’estate e freddo d’inverno. Inoltre, la crescita della Kawsay è favorita da un clima piovoso. Lo sviluppo di malattie fungine, come quelle supportate da Phytophthora infestans, favorite da clima umido e piovoso come quello dell'ara andina in oggetto, non costituisce un problema per la Kawsay. Questa varietà infatti dimostra una resistenza genetica alla peronospora (malattia che colpisce patate, pomodori, melanzane e solanacee in generale, oltre ad altre coltivazioni, causata proprio dalla presenza del fungo Phytophthora infestans).
La resistenza della Kawsay alla peronospora è un fattore importantissimo. Questa malattia, infatti, esige un intervento immediato da parte dell’agricoltore onde evitare la completa distruzione del raccolto. È stata proprio la peronospora la causa della grande carestia che ha colpito l’Irlanda nel 1800.
Un altro fattore positivo di questa varietà è la resa. Su suolo andino, le patate producono intorno alle 10 tonnellate per ettaro, mentre con la Kawsay si può ottenere una resa tra le 20 e le 25 ton/ha.
La resistenza alla peronospora e l’alta resa, dovrebbero avere un’ulteriore conseguenza positiva, ovvero maggiori entrate per il coltivatore, soprattutto per il piccolo agricoltore andino.
La Kawsay si presenta come una patata bianca, in quanto ha un colore chiaro, ma in aggiunta è farinosa, come la patata rossa. Risulta essere una patata saporita che si presta molto bene a quasi tutti i tipi di cottura: al forno, per zuppe, per gnocchi e purea; i risultati sono buoni anche nella frittura.
L’immissione di questa nuova patata nel mercato peruviano è da prevedere per giugno 2014. Da qui, se le aspettative verranno confermate, si potrà poi espandere ad altri mercati.

Per saperne di più:
INIA – Istituto Nazionale per l’Innovazione in Agricoltura
Andina
International Potato Center