Diventeremo mai entomofagi?

di Alessandro Campiotti

Dal gennaio del 2023 l’Unione europea ha autorizzato la commercializzazione di prodotti alimentari a base di insetti, eppure la pratica dell’entomofagia stenta a superare la naturale barriera psicologica delle persone. Informazione, comunicazione e nuove ricette culinarie saranno indispensabili per diffondere la conoscenza degli insetti.

Immagine di un grillo. Foto di Leeyoungku – Pixabay

L’annuale rapporto pubblicato dal Global Footprint Network sulle condizioni di salute del pianeta sostiene che da decenni numerosi Stati consumano molte più risorse di quante la natura ne possa rigenerare, mettendo a dura prova la sopravvivenza degli ecosistemi e aumentando il deficit ecologico. Nel 2025 l’Overshoot Day o Giorno del sovrasfruttamento terrestre è stato il 24 luglio, una settimana prima dell’anno precedente, mentre in Italia questo triste anniversario è coinciso addirittura con il 7 maggio, decretando che in poco più di quattro mesi il sistema paese aveva già esaurito le risorse naturali rinnovabili, come energia, acqua e cibo, che sarebbero servite per l’intero anno.

I dati del rapporto risultano ogni anno più sconfortanti a causa della rapida crescita della popolazione mondiale, che nel corso di circa settanta anni è più che triplicata, passando dai 2,5 miliardi del 1950 agli 8 miliardi del 2023, e si stima che possa salire ulteriormente a 10 miliardi entro il 2050. In un contesto in cui la biocapacità del pianeta di rigenerare risorse naturali diventa un fattore limitante, la fornitura di servizi ecosistemici, come la produzione di cibo per tutti, diventa una “voce di spesa” enormemente cara dal punto di vista dell’impatto ambientale. Peraltro, dal momento che gli allevamenti zootecnici intensivi sono estremamente energivori e inquinanti, non sarebbe possibile adeguare la produzione di carne all’aumento della domanda mondiale e si pone il tema di trovare qualche soluzione per rendere più sostenibili gli attuali sistemi alimentari.

A questo proposito, a partire dai primi anni 2000, la FAO ha più volte suggerito di ripensare le tradizionali abitudini alimentari introducendo il concetto di entomofagia, che consiste nell’abitudine di mangiare entomi, cioè insetti. Questa pratica, di fatto sconosciuta alle nostre latitudini, riguarda invece circa l’80% della popolazione mondiale in vaste aree del pianeta, dall’America all’Africa, passando per numerosi Paesi asiatici come Cina, India, Corea e Thailandia. In questi luoghi, gli insetti commestibili come grilli, cavallette, bruchi e formiche sono parte integrante della dieta di miliardi di persone, rappresentando una straordinaria alternativa al consumo di carne.

Il loro valore nutrizionale è legato all’elevato contenuto di proteine, vitamine, grassi, e sali minerali, in alcuni casi superiore a quello della carne bovina, ma con costi di produzione immensamente inferiori. Gli insetti, infatti, hanno un ciclo di vita molto rapido rispetto alle specie zootecniche e sono molto efficienti nella conversione del cibo assunto in massa corporea. Allevare insetti, quindi, sarebbe una scelta sostenibile e a ridotta impronta ecologica, in quanto consentirebbe di abbattere gli input in termini di spazio, acqua, nutrimento ed energia, consentendo al tempo stesso di ridurre il consumo di suolo, i fenomeni di deforestazione e perdita di biodiversità, le emissioni di gas serra e le problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti.

Parlare di entomofagia in un Paese come l’Italia, che ha fatto della dieta mediterranea il perfetto e invidiabile connubio tra qualità alimentare e salute umana, potrebbe apparire una provocazione, eppure nessuno propone di rivoluzionare la dieta degli italiani sostituendo la bistecca di manzo con l’hamburger di grillo. Sarebbe invece una proposta accettabile quella di ridurre il consumo di carni prodotte negli allevamenti intensivi, integrando al contempo la dieta degli animali allevati – bovini, suini, polli o pesci – con una maggiore quota di alimenti ricavati da insetti, come previsto anche da norme europee approvate negli ultimi anni.

Dal gennaio del 2023 l’Unione europea ha autorizzato la vendita di prodotti alimentari a base di insetti anche per il consumo umano e nel dicembre dello stesso anno il governo italiano, già contrario alla cosiddetta “carne sintetica”, ha regolamentato la produzione e commercializzazione di prodotti derivati da farine di quattro specie di insetti, tra cui larve del verme della farina, locuste migratorie e grilli domestici. Come ogni prodotto in vendita, anche quelli a base di farine di insetti, come pane, pasta o biscotti, devono rispettare gli standard di etichettatura vigenti a livello europeo, tuttavia devono essere esposti su scaffali differenti dagli altri prodotti.

Per evitare che questa novità generi forme di neofobie alimentari, spetterà a divulgatori e comunicatori l’arduo compito di proporre contenuti informativi che consentano di perforare la naturale barriera psicologica delle persone, mentre agli chef toccherà sperimentare nuove ricette che incuriosiscano gli scettici e ricordino quanto siano minime le differenze tra gli insetti e i prelibati crostacei, e che il miele, anche noto come nettare degli dei, è in realtà prodotto proprio dagli insetti.

Per approfondire:

Antonio Pascale, Cavallette fritte, perché no? Basta con le nonne, pensiamo a come nutrire i nipoti, Il Foglio, 6 ottobre 2025, https://www.ilfoglio.it/cibo/2025/10/06/news/cavallette-fritte-perche-no-basta-con-le-nonne-pensiamo-a-come-nutrire-i-nipoti-8159878/;

Massimiliano Jattoni Dall’Asén, Le farine d’insetti arrivano anche in Italia: pubblicati i decreti, come saranno utilizzate, Il Corriere della Sera, 5 gennaio 2024
https://www.corriere.it/economia/consumi/24_gennaio_05/farine-d-insetti-arrivano-anche-italia-

ACQUA, AGRICOLTURA E AMBIENTE: il convegno di Piazzola sul Brenta

Tre A per Il ciclo dell’acqua
di Alberta Vittadello



Piazzola sul Brenta, 10/10/2025 Villa Contarini, Fondazione G.E. Ghirardi

Quale ecosistema potrebbe essere più adatto del territorio di Piazzola sul Brenta ad ospitare un convegno dedicato all’acqua? Proprio le acque della Brenta hanno modellato quest’area, rendendola fertile e ricca. L’iniziativa ha raccolto circa novanta iscrizioni, con pubblico eterogeneo e motivato.

Nel suo intervento introduttivo Dino Cavinato, direttore della Fondazione, sottolinea come l’eredità di Ghirardi docente, ricercatore, imprenditore e pioniere nel settore farmaceutico italiano del Novecento, venga onorata dalla Fondazione attraverso iniziative che vanno dalla promozione di musica e arte, medicina e scienza, cultura e ambiente.

All’interno di quest’ultimo tema va inserito il convegno del 10 ottobre 2025.

Arturo Lorenzoni dell’Università di Padova, che coordina gli interventi, sottolinea il legame tra “energia e acqua”. Scarsità d’acqua può significare scarsità di energia se pensiamo alle centrali idroelettriche. Evidenzia la necessità di individuare filiera e visione futura per l’uso di questa risorsa che sta diminuendo a causa del cambiamento climatico.

Il primo relatore, Francesco Vallerani dell’Università Cà Foscari di Venezia, riprende, in vario modo, il tema del cambiamento climatico nel suo intervento dal titolo “Acqua e disegno del paesaggio”.

Condivide due immagini del fiume Colorado e dello Yangtze, che pur lontani da noi fanno capire come la scarsità d’acqua stravolga il paesaggio. Porta l’esempio dei Paesi Bassi che devono il proprio nome al fatto che molte di quelle terre si trovano sotto il livello del mare. Fin dal Medioevo, gli olandesi costruirono dighe e canali per proteggere le proprie case e i propri campi dalle maree o dalle alluvioni che avevano effetti disastrosi. Esempio di utilizzo della risorsa acqua nel rispetto del territorio.

Descrive situazioni che purtroppo non sono così positive. Siamo abituati a pensare all’Amazzonia come una splendida foresta pluviale che comprende Brasile (che ne ospita la maggior parte), Perù, Colombia, Bolivia, Venezuela e altri paesi del continente sud americano. Da 10 anni la scarsità meteorica causata dalle variazioni del Niño e del suo contrario la Niña provoca scarsità di piogge proprio in Amazzonia e, nel contempo, l’eccesso di piogge in altre aree del pianeta influenzando pesantemente l’agricoltura, danneggiando i raccolti, limitando la disponibilità di risorse idriche e causando scarsità di cibo. Se ci spostiamo nell’Est asiatico troviamo il governo cinese che ha approvato la costruzione di una diga, forse la più grande mai costruita prima d’ora, sul tratto inferiore dello Yarlung Zangbo, il fiume che scorre nella Regione autonoma del Tibet, arrivando poi in India, dove prende il nome, più noto, di Brahmaputra. La sezione del corso fluviale interessata dall’opera ha una lunghezza di solo 50 km, ma presenta il dislivello di 2.000 metri, offrendo un enorme potenziale idroelettrico, ma altrettante sfide ingegneristiche. Che effetti avrà a livello di ecosistema e a livello di equilibri politici e sociali dell’area?

Dopo questo ampio viaggio Vallerani ci riporta nel nord est veneto la cui morfologia è stata ed è tuttora disegnata dalle acque. La pedemontana carsica incamera acqua (esempio altopiano di Asiago) e la restituisce nella fascia delle risorgive.

Acqua come via di trasporto e acqua come arte. Palladio, la bellezza della Riviera del Brenta, pittori come Bellotto e Canaletto sono esempi di sensibilità e attenzione al paesaggio.

Non solo bellezza ma storia idrogeologica con i sedimenti che permettono la ricostruzione del modellamento del territorio in 2000 anni di storia tra Lemene, Tergola, Muson, Dese, Marzenego. Qui Vallerani pone l’accento sulla necessità di una fratellanza idraulica: l’acqua per natura non ha confini e si muove in ragione della pendenza. Importante è l’iniziativa volta a promuovere la Cittadinanza Idraulica e la Class action per conferire alla Laguna Veneta personalità giuridica. Intervento molto articolato, complesso ma le conclusioni sono dedicate a tutti, ai Consorzi, alle Amministrazioni locali e centrali, a tutti i portatori d’interesse: basta confini!

Il biologoGiuseppe Maio, interviene sul tema “Deflusso ecologico cos’è e che effetti ha”.

Il relatore puntualizza quanta acqua dolce abbiamo nel nostro pianeta, ovvero l’1% del totale al netto dell’acqua degli oceani e dell’acqua dolce di falda non raggiungibile. Si tratta quindi di una risorsa scarsa e da salvaguardare. Porta l’esempio del Fiume Brenta, risorsa fondamentale per i territori circostanti sia in ambito agricolo che produttivo in generale.

Da luglio 2026 dovrà essere applicato il Deflusso ecologico con 6 mesi di tempo per adeguare le strutture e illustra le percentuali di prelievo di acqua nei mesi estivi e primaverili ad uso irriguo.

È di fondamentale importanza il corretto uso della risorsa nelle pratiche agricole come cambio delle colture e della cultura e adeguamento dei sistemi irrigui, adottando quelli con minor spreco. Il calcolo del deflusso ecologico dipende dalla morfologia e dal gradiente del deflusso stesso. Il settore agricolo preleva un terzo dell’acqua a scopo irriguo ma i consorzi irrigui potranno derogare in base al regime pluviometrico, e magari in disaccordo con i gestori idrologici.

Vengono citate alcune strategie per la mitigazione dello spreco della risorsa acqua come l’accumulo in invasi e bacini nella stagione di minor utilizzo per l’agricoltura (autunno, inverno, inizio primavera), utilizzo della falda libera, bacini diffusi. I piccoli fiumi dimenticati sono scrigni di biodiversità e ciascuno di noi ha il compito di salvaguardare il patrimonio animale e vegetale essenziale alla vita del fiume. Ecco perché per il corso d’acqua dobbiamo perseguire un deflusso ecologico e il raggiungimento degli obiettivi ambientali.

Il terzo relatore, Leonardo Filesi, botanico dello IUAV, ci porta alla riscoperta dei “Prati stabili” realtà di cui si parla poco ma che nella nostra area geografica esiste. Ne sono un esempio i prati stabili di Bressanvido (Vicenza) la cui amministrazione comunale ha candidato il territorio a paesaggio rurale storico protetto (circa 100 Kmq di superficie). Paesaggio rurale e storico, proprio per l’origine di queste aree che risalgono all’epoca della discesa di allevatori/contadini dall’altopiano di Asiago. Questi agricoltori-allevatori hanno continuato ad allevare vacche da latte, utilizzando il fieno, raccolto senza aratura, e concimando i terreni con i reflui dell’allevamento. In tal modo il terreno conserva le caratteristiche originali con un substrato pedologico ricco come ecosistema perché non arato e quindi accumulatore di CO2.

L’irrigazione per scorrimento che si fa in queste aree è importante perché l’acqua non va persa ma rientra nelle falde.

Queste superfici hanno una funzione di regolazione idrologica, controllo dell’erosione del suolo, conservazione della biodiversità, salvaguardia degli impollinatori. A questi fattori va aggiunta la conservazione dell’avifauna, della fauna acquatica e la conservazione della fauna del substrato pedologico.

Vanno comunque segnalate alcune criticità come la compattazione del suolo causato dall’utilizzo di mezzi troppo pesanti per raccolta del fieno e spandimento dei reflui, e la diminuzione della portata delle risorgive, che viene mitigata proprio attraverso l’irrigazione per scorrimento. La sopravvivenza dei prati stabili è fondamentale se pensiamo che in queste aree non vengono utilizzati pesticidi, diserbanti e concimi chimici.

Per sostenere gli imprenditori agricoli di queste aree si può proporre di promuovere imprese casearie che producano formaggi biologici a Km0.

A conclusione degli interventi viene rivolto un doveroso ringraziamento a Giustino Mezzalira che tanto si è speso e ancora si spende per la salvaguardia di questi ecosistemi, in particolare a Bressanvido, e che ha contribuito alla realizzazione di questo importante convegno.

Tre A per Il ciclo dell’acqua: Locandina_LA_GESTIONE_DEL_CICLO_DELL_ACQUA_2025_10_10.pdf

Dai fondali marini alle vette montane: la biodiversità minacciata dall’aumento delle temperature

Di Alessandro Campiotti

I risultati di numerosi progetti di monitoraggio del territorio marino e montano sostengono che le attività antropiche e il riscaldamento climatico stanno determinando la scomparsa di molte specie autoctone, spesso sostituite da specie aliene, più invasive e adattabili alle elevate temperature.

Veduta di una grotta marina nella Costa del Baunei (Sardegna) Immagine di Alessandro Campiotti

Come ogni anno, la fine della stagione estiva è un momento di bilanci, e se quello turistico è stato complessivamente positivo, lo stesso non si può dire per ciò che riguarda il clima e l’ambiente. L’estate 2025, infatti, ha registrato temperature record rispetto alle medie stagionali, con frequenti ondate di calore che hanno investito la penisola italiana dai centri urbani alle zone rurali, passando per coste e litorali. Negli ultimi anni il bacino del Mediterraneo ha guadagnato il triste primato di essere annoverato tra le aree in cui gli effetti del cambiamento climatico sono stati più tangibili.

Il crescente aumento delle temperature del mare non ha sorpreso solo turisti e bagnanti, che avrebbero preferito immergersi in acque più fresche e tonificanti, ma ha prodotto una serie di danni ambientali spesso irreversibili alla biodiversità marina, nelle sue componenti di flora e fauna. Le anomalie termiche non interessano solo le zone superficiali e poco profonde, ma raggiungono anche le fasce caratterizzate da una profondità di alcune decine di metri, in cui il riscaldamento delle acque sta mettendo a dura prova la sopravvivenza del ricco e variegato ecosistema circostante.

Per queste ragioni, da diversi anni sono stati avviati progetti guidati da gruppi eterogenei di ricercatori e volontari, impegnati nel monitoraggio di alcune aree di studio costiere, con l’obiettivo di raccogliere dati ambientali, microclimatici e di abbondanza della biodiversità, per misurare l’impatto dell’aumento delle temperature. I risultati dei monitoraggi riportano una serie di dati sconfortanti sulle condizioni in cui versano le nostre coste, i cui fondali risultano ogni anno più impoveriti non solo a causa del riscaldamento delle acque, ma anche dell’inquinamento, dalla pesca a strascico, delle estrazioni di minerali per fini industriali e del turismo di massa, che sempre più spesso tende a colonizzare ampie fasce costiere con imbarcazioni di varie dimensioni, le cui ancore contribuiscono a danneggiare la flora marina.

Tra gli organismi acquatici più colpiti e in constante diminuzione, oltre a numerose specie di coralli, c’è la Posidonia oceanica, una pianta endemica del Mar Mediterraneo, le cui praterie rappresentano vere e proprie nicchie ecologiche per alghe e pesci, oltre a svolgere le necessarie funzioni di ossigenazione e di protezione degli strati superficiali dei fondali dal fenomeno erosivo. Inoltre, alla riduzione della presenza di specie endemiche risulta collegata l’insorgenza di specie aliene termofile, adatte cioè alle crescenti temperature dei fondali, che proliferano abbondantemente causando un complessivo impoverimento della ricchezza specifica. Per questi motivi, alcuni progetti prevedono l’attuazione di interventi di ripristino della natura, operati per mano di ricercatori e volontari in tenuta subacquea, che consistono nella piantumazione di materiale vegetale recuperato dalle piante sradicate.

Ma il tema della riduzione della biodiversità e della parziale sostituzione delle specie autoctone con specie alloctone e termofile non si limita ai fondali marini, ma interessa anche le alture e le cime di numerose catene montuose in Italia e nel mondo. Anche in questo caso, i risultati dei progetti di monitoraggio in atto, tra i quali spicca il programma internazionale Global Observation Research Initiative in Alpine Environments (GLORIA), che da oltre venticinque anni raccoglie i dati di abbondanza della flora di alta quota, sostengono che le vette di molti sistemi montuosi sono soggette ad un fenomeno di graduale termofilizzazione della biodiversità vegetale. Questo consiste nella progressiva scomparsa delle specie microterme dalle cime montuose a causa dell’aumento delle temperature, e nell’inasprimento della competizione per la stessa nicchia ecologica con specie più rustiche e adatte a condizioni climatiche meno rigide.

Scorcio di montagna innevata presso la Valtellina
Immagine di Alessandro Campiotti

L’incessante colonizzazione delle vette da parte delle specie termofile sta producendo il paradossale effetto di aumentare l’abbondanza vegetale ad alta quota, a detrimento di quelle specie autoctone che, al pari delle praterie di Posidonia oceanica nei fondali marini, sono responsabili di numerose funzioni ecologiche e di equilibrio ambientale, che potrebbero venire alterate da una loro rapida sostituzione. Per tali ragioni, la prosecuzione delle azioni di monitoraggio resta una sfida all’ordine del giorno per la pianificazione di strategie volte a preservare le condizioni di salute della biodiversità sia in ambiente marino che montano.

Per approfondire:

Greenpeace, rapporto “Mare Caldo 2024”, https://www.greenpeace.org/italy/rapporto/28275/report-annuale-mare-caldo-2024/.

Lisa Angelini e Andreas Hilpold, Un possibile futuro di montagne verdi, e non è una buona notizia, le Scienze, settembre 2025, https://www.lescienze.it/sommari/2025/08/20/news/le_scienze_di_settembre_2025-19878445/.

Marco Gasparetti, «Missione Posidonia»: all’Isola del Giglio la rinascita dei fondali, Corriere della Sera, agosto 2025, https://www.corriere.it/buone-notizie/25_agosto_22/missione-posidonia-all-isola-del-giglio-la-rinascita-dei-fondali-584da04e-1bf1-43de-8691-e745afd37xlk.shtml.