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Isolato il rilevatore di ossido di azoto nelle piante

È di recentissima pubblicazione uno studio condotto dall’Università di Nottingham, con la partecipazione delle Università di Sheffield, Warwick e Rothamsted Research in Inghilterra, di Vienna in Austria, e dal Centro CSIC-IBMCP di Valencia in Spagna. Il lavoro, finanziato da Consiglio Inglese di Biotechnology and Biological Science, EU, Governo della Malesia, agenzie governative di Spagna e Austria, e dalla SAB Miller plc., riguarda l’identificazione della molecola responsabile del rilevamento dell’ossido di azoto (NO) da parte delle piante.
La ricerca è stata pubblicata il 23 gennaio 2014 su Molecular Cell con il titolo “Nitric oxide sensing in plants is mediated by proteolytic control of Group VII ERF transcription factors” (“Il rilevamento di ossido di azoto nelle piante è mediato da un controllo proteolitico di fattori di trascrizione del gruppo VII ERF”).
Guidati dal Prof. Holdsworth della Scuola di Bioscienze dell’Università di Nottingham, i ricercatori sono riusciti a isolare e identificare questi importantissimi sensori che, rilevata la presenza di NO nell’aria, la segnalano alla pianta stessa che, di conseguenza, si adatta regolando sviluppo e crescita e producendo le risposte idonee agli stress ambientali. Nonostante si fosse presupposta l’esistenza di un sensore per l’ossido di azoto nelle piante, la scoperta è molto importante in quanto è la prima volta che si riesce a identificare il meccanismo di identificazione dell’ossido di azoto da parte delle piante.
Le piante recepiscono diversi segnali sia interni, come gli ormoni, sia esterni come luce e temperatura. L’ossido di azoto è uno dei segnali a cui le piante prestano particolare attenzione. Il prof. Holdsworth specifica che nelle piante l’NO regola molti processi durante l’intera vita della piante, dal seme alla fioritura, compresa la risposta all’ambiente circostante come risposte a fattori di stress e a patogeni.
Il gruppo di ricerca ha individuato in un piccolo numero di proteine, chiamate fattori di trascrizione, i responsabili dell’intero controllo di rilevamento, dalla captazione dell’NO al passaggio delle informazioni alla pianta che quindi si adatta durante il suo intero ciclo di vita. Questi fattori di trascrizione sono chiamati ERF: Ethylene Response Factors, ovvero fattori di risposta dell’etilene.
Tali proteine presentano una particolare struttura iniziale che è capace di degradarsi rapidamente in presenza di NO; in alternativa, in assenza di NO le stesse proteine diventano stabili. L’assenza o presenza di tali proteine influisce sulla crescita e lo sviluppo della pianta che quindi riesce a regolare la propria crescita in base alla presenza o assenza di NO. Queste proteine risultano ancora più importanti in quanto sono le stesse in grado di rispondere allo stress dovuto a scarsità di ossigeno quando le piante, ad esempio, vengono sommerse nel corso di inondazioni.
Pertanto si attribuisce a queste proteine il ruolo di centraline di rilevazione dei gas in grado di fornire alla pianta tutte le informazioni importanti e necessarie per lo sviluppo della pianta stessa, nonché per rispondere agli stress, ad esempio quelli dovuti alla resistenza ai cambiamenti climatici.

Per saperne di più:
Rivista Molecular Cell
Università di Nottingham

Incontri culturali organizzati da FIDAF, SIGEA e ARDAF

Il 14 febbraio 2013 inizierà il sesto ciclo di incontri di cultura varia organizzati da FIDAF (Federazione Italiana Dottori in Scienze Agrarie e Forestali),  SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale), ARDAF – Associazione Romana Dottori in Agraria e Forestali e Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali di Roma.
Gli argomenti che verranno trattati riguarderanno le tematiche ambientali, energetiche, agricole, idrogeologiche, idrauliche e geologiche; verranno inoltre affrontati temi storici e paesaggistici.
Gli incontri si svolgeranno  Roma, nella sede della FIDAF in via Livenza dal 14 febbraio al 9 maggio 2014, il venerdì, dalle ore 16.30 alle 19.00.
I vari relatori  presenteranno un argomento di elevato interesse generale, mentre il pubblico presente in sala potrà partecipare attivamente alla discussione, facendo domande al relatore e/o proponendo spunti di riflessione.
Le conferenze saranno presentate da Luigi Rossi, Giuseppe Gisotti, Francesco Menafra ed Edoardo Corbucci, Presidenti delle rispettive Associazioni.

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Bamboo e irrigazione, un’accoppiata vincente per catturare i nitrati

Il fondo statunitense per la difesa ambientale e l’impresa (Edf+Business) si occupa da anni di trovare soluzioni economicamente vantaggiose che rispettino l’ambiente. L’anno scorso ha lanciato una sfida ecologica sui sistemi di cattura dell’azoto in agricoltura. La sfida era aperta a ricercatori e esperti in tutto il mondo e in particolare le proposte dovevano presentare sistemi per catturare, concentrare o trattare i nitrati provenienti dalle acque di drenaggio in agricoltura.
Il sistema del drenaggio controllato delle acque piovane con irrigazione sub-superficiale consiste nell’interrare dei tubi traforati che convergono in uno o più collettori, i cui scarichi sono regolabili in funzione dell’altezza desiderata della falda. Questo consente di trattenere l’acqua nei pori del suolo durante i mesi di pioggia, senza però soffocare le radici, e di risparmiare energia e risorse idriche nei periodi di secca in quanto l’acqua viene pompata attraverso i tubi interrati e arriva alle radici per la capillarità del suolo.
I sistemi con drenaggio e irrigazione sub-superficiale, presentano un’alta efficienza idrica e di resa colturale, in media la resa aumenta del 10%.
Il punto debole della tecnica descritta è dato dalle piogge eccessive, poiché assieme all’acqua tracimano i nutrienti (nitrati e fosfati), che vanno a finire nei canali di scolo e, quindi, nei fiumi, laghi e mari, dove possono provocare fenomeni di eutrofizzazione.
Risulta quindi basilare il trovare soluzioni accettabili affinché si possano catturare i nitrati, e quindi concentrarli, trattarli e rilasciarli nell’atmosfera come azoto gassoso (N2).

Alla data di scadenza del bando, luglio 2013, in 42 avevano risposto e sottoposto al vaglio della commissione di Edf+Business la propria soluzione.
La prima soluzione premiata è stata presentata da uno studente della Northwestern University di Chicago (USA). Questa soluzione vede il posizionamento di alghe lungo il drenaggio. Queste alghe soddisfano pienamente la condizione di assorbire e consumare l’eccesso di fertilizzanti, e possono essere riconvertite in biomasse ricche di nitrati da reimpiegare in agricoltura.
La seconda soluzione premiata viene dalla Spagna e propone di accoppiare il sistema di sub-irrigazione con lo sviluppo di una seconda coltivazione (ad esempio il bambù) per assorbire l’acqua e l’azoto in eccesso.
La terza soluzione viene da Vancouver (USA) e suggerisce di piazzare delle dighe metalliche verticali alla fine di ogni tubo di drenaggio per creare così degli stagni di ritenzione. L’acqua e i nitrati residui catturati nello stagno potrebbero quindi essere nuovamente distribuiti sul campo.

Le soluzioni selezionate hanno tutte un’efficienza di oltre il 40% nella cattura dei nitrati, costi contenuti e una bassa manutenzione, e inoltre sono applicabili ai sistemi già esistenti e sono sostenibili su lungo periodo anche in condizioni di assenza di precipitazioni.

La soluzione presentata dallo spagnolo Mario Rosato risulta particolarmente interessante perché la sua proposta concilia una lunga diatriba sulla produzione agricola destinata al consumo alimentare o alla produzione di biomasse.
Si parte dal presupposto che con questo tipo di irrigazione la produzione aumenti del 10%, pertanto è pensabile di destinare il 10% dello stesso terreno alla coltivazione di qualche specie con elevata capacità di assorbimento di acqua e nutrienti, senza diminuire la resa.
La specie suggerita è bambù gigante (Phillostachys pubescens), in quanto è capace di assorbire oltre 1000 kg di N/ha e oltre 1500 mm di precipitazioni, in un anno. Inoltre, il bambù gigante produce fino a 100 t di biomassa per ha/anno, utilizzabile per diversi scopi industriali, mentre gli scarti derivati possono essere impiegati per scopi energetici.
La produzione di biomassa di P.pubescens richiede un investimento iniziale, ma già a partire dal 4º anno diventa un reddito addizionale per il coltivatore.

Il sistema è ora oggetto di un progetto pilota da parte del Edf+Business anche per valutare bene vantaggi e svantaggi. Sulla carta il recupero dell’azoto è pari al 100%, ma questa percentuale è da verificare e, al tempo stesso, presenta il limite che l’azoto non è reimpiegabile per altre colture. Inoltre, propone soluzioni non usuali per gli agricoltori, che quindi potrebbero essere restii ad impiegare colture così diverse dall’usuale e non è da sottovalutare gli eventuali effetti biologici negativi che possono insorgere con l’introduzione di nuove coltivazioni, come nuove infestanti.

Per saperne di più:
Edf + Business
Environmental defence fund – Soluzione 2