Come valorizzare i Servizi Ecologi Essenziali

La natura ci fornisce moltissimi servizi senza che ne siamo consapevoli; infatti procura predatori per i parassiti, provvede all’impollinazione delle colture, previene l’erosione del suolo, solo per citarne alcuni. Tutti questi servizi, vengono raggruppati sotto il nome di “Servizi Ecologici Essenziali” (ES – Essential Ecological Services) e se si potessero monetizzare varrebbero miliardi di euro soltanto in Italia.

Al fine di quantificare questi servizi ecologici essenziali, sottolinearne il valore e quindi impiegarli con maggior consapevolezza e beneficio, nel 2013 l’Unione Europea ha finanziato il progetto QuESSA (Quantification of Ecological Services for Sustainable Agriculture) all’interno del 7° Programma Quadro con 3 milioni di euro.
Il progetto che si concluderà nel 2017, ha specificatamente lo scopo di quantificare i servizi dell’ecosistema per promuovere un’agricoltura sostenibile.
In particolare per poter fornire indicazioni utili per lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile bisogna tenere conto della presenza di:

  • un sistema di agricoltura principalmente basato sull’impiego di prodotti artificiali che contribuiscono all’inquinamento e alla perdita di biodiversità;
  • una popolazione mondiale in crescita con conseguente aumento della richiesta di cibo;
  • una necessità di produrre mantenendo un equilibrio con l’ambiente circostante in modo da non impoverire le risorse naturali.

Per poter valorizzare al meglio i servizi ecologici è essenziale:

  • individuare e definire gli ES più importanti in tutti gli ambienti, non solo in quello agricolo;
  • quantificare l’impatto e l’importanza di alcuni ES chiave per l’agricoltura, come: impollinazione, controllo dei parassiti delle piante e delle infestanti, mitigazione dell’erosione, accumulo della materia organica;
  • conoscere come migliorare e incentivare questi ES.

Il progetto si svolge in 8 paesi europei che coprono un totale di 16 diversi habitat semi naturali (SNH – Semi-Natural Habitats) con conseguenti differenti tipologie di ES.
Questi SNH sono analizzati nel dettaglio e viene valutata anche l’importanza economico-sociale dei vari Servizi ecologici Essenziali.
I dati raccolti verranno analizzati mediante modelli matematici sviluppati appositamente, in modo da collegare ogni habitat agricolo con i servizi ecologici ad esso necessari e che, al tempo stesso, l’ambiente stesso stimola a favorire. Quindi verranno esplorate le varie sinergie tra ES, SNH e paesaggio.
Saranno quindi valutati i benefici economici e non, sia pubblici sia privati.
I risultati saranno divulgati a tutti gli operatori del settore attraverso strumenti informatici basati sul web, guide pratiche e documenti di policy.

I risultati resi noti finora dimostrano la possibilità di migliorare rese e benefici anche con semplici accorgimenti.
Ad esempio, l’aggiunta di piccoli filari di fiori selvatici o bosco possono portare ad un aumento dei profitti per gli agricoltori. A questa conclusione erano già arrivati studi precedenti, senza però analizzare nel dettaglio la causa e quindi senza controllare quali servizi ecologici fossero generati e incentivati. Inoltre, queste zone “selvatiche” che aumentano la biodiversità, hanno maggiore efficacia se localizzate ai margini dei coltivi piuttosto che all’interno del campo.
La presenza di aree dedicate alla crescita di fiori sono risultate molto utili.
Infine, un’altra strategia promettente è quella dell’intercropping.

I ricercatori coinvolti nel progetto sperano di poter presto fornire agli agricoltori spiegazioni dettagliate su come sia possibile favorire la crescita e l’attività del nemico del loro “nemico” in modo da dover ricorrere all’impiego di pesticidi di origine sintetica solo in casi particolari.
L’ottimizzazione dei servizi ambientali per ottenere un miglioramento della resa è allo studio presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Il progetto QuESSA è coordinato da Games & Wildlife Conservation Trust, un’organizzazione no-profit inglese con sede a Fordingbridge, Hampshire.

 

Per saperne di più:
European Research Media Center – Youris.com
QuESSA
Games & Wildlife Conservation Trust

06_002_kiwi

I risultati delle ricerche del C.R.A. sulla batteriosi del kiwi

L’Italia è il secondo produttore mondiale di kiwi (actinidia), tuttavia dal 2008 i coltivatori di kiwi devono confrontarsi con una nuova fitopatia provocata da un batterio (Pseudomonas syringaepv. Actinidiae – PSA), che sta provocando danni gravissimi in tutte le maggiori aree di produzione.

La massima virulenza appare sulle varietà di frutto a polpa gialla, appartenenti tutte alla specie Actinidia chinensis; a questa specie appartengono anche genotipi con frutto a polpa verde ma non sono attualmente commercializzati. Il frutto più noto, quello a polpa verde, appartiene alla varietà Hayward, che è la più estesamente coltivata al mondo e appartiene alla specie A. deliciosa. Anche Hayward e altre varietà della stessa specie appaiono suscettibili alla batteriosi ma in forma meno grave.
I ricercatori italiani, in questo periodo, hanno condotto numerose ricerche tra cui due grandi progetti finanziati dal MiPAAF:

•INTERACT: "Interventi di coordinamento ed implementazione delle azioni di ricerca, lotta e difesa al cancro batterico dell’Actinidia (Psa)".

•ARDICA:     "Azioni di ricerca e difesa al cancro batterico dell’Actinidia (Psa)".

I due progetti sono strettamente collegati tra loro e sono stati condotti dal C.R.A. – Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura.
I progetti si sono conclusi a fine giugno e a luglio a Caserta sono stati presentati i risultati ottenuti.

Le ricerche hanno portato a:

aumentare le conoscenze di base sul batterio e sull’interazione batterio –pianta;

• definire tecniche agronomiche utili per contrastare la diffusione e ridurre la pericolosità del patogeno;

migliorare le tecniche diagnostiche;

impostare uno specifico piano di miglioramento genetico per l’individuazione di germoplasma di actinidia tollerante o resistente alla malattia.

Durante il convegno sono stati illustrati i risultati ottenuti che riguardano:

• Il sequenziamento e l’annotazione del genoma e delle proteine dei ceppi del patogeno, la sua capacità di competizione ambientale e la sua resistenza nei confronti dei mezzi di contrasto comunemente impiegati. L’avvenuto sequenziamento dei ceppi batterici del PSA, apre ora nuove e favorevoli prospettive per il contrasto e la prevenzione della malattia.

• L’origine dell’attuale popolazione del patogeno. Questo patogeno, che risulta essere molto aggressivo e diffuso, non ha origine dalla precedente popolazione, risalente in Italia a circa 20 anni fa, ma è stato invece introdotto con buona probabilità nel nostro Paese mediante materiale infetto a lungo periodo di latenza.

• I fattori scatenanti. I notevoli danni prodotti, anche a livello economico, sulle coltivazioni sono stati favoriti dalla concomitanza di fattori scatenanti, quali forti gelate e notevole contiguità degli impianti di actinidia lungo ampie superfici. Dagli studi è emerso che i principali fattori predisponenti la malattia sono gelate e forte piovosità, e i periodi più a rischio sono autunno-inverno e inizio primavera. Queste conoscenze hanno portato all’individuazione del momento più opportuno per i trattamenti di difesa della piante riducono al massimo la possibilità di diffusione nei e tra i frutteti.

• Correlazione batteriosi e chimica del suolo. È stata accertata una chiara correlazione tra composizione chimica del suolo e la predisposizione alla batteriosi; tale relazione risulta differente per il kiwi giallo e il kiwi verde. Sono state quindi proposte forme di allevamento della pianta che, aumentando la circolazione dell’aria all’interno della chioma e riducendo il volume di legno colonizzabile dal batterio, riducono significativamente l’incidenza della malattia.

• Forme di lotta. Sono stati individuati alcuni nuovi composti chimici e di origine biologica in grado di ridurre efficacemente la severità e l’incidenza della malattia in pieno campo.

Per saperne di più:

Risultati della ricerca
ARDICA
Ente CRA

 

06_01vacche

CowWiew monitora il benessere delle vacche da latte

Una branca di ricerca del progetto europeo per la zootecnia di precisione (EU-PLF) sta studiando la possibilità di impiegare dei sistemi di posizionamento delle vacche da latte all’interno di ambienti chiusi in cui gli animali abbiano libertà di movimento.

Il sistema oggetto di studio è CowView, sviluppato dall’azienda tedesca  GEA Farm Technologies, e a condurre la ricerca è INRA, l’Istituto Nazionale Francese per la Ricerca in Agricoltura.
CowView è un sistema in grado di monitorare l’animale 24h al giorno, per 7 giorni alla settimana e per 365 giorni l’anno (sistema 24/7/365). CowView è uno dei metodi disponibili sul mercato per il monitoraggio del bestiame con libertà di movimento. In particolare, il collare sviluppato da GEA per le vacche da latte raccoglie informazioni su ciascun capo 24/7 (24 ore al giorno per 7 giorni) e quindi fornisce altre utili indicazioni, tra cui l’estro e l’eventuale presenza di malattie.
Per ottenere tutte le informazioni desiderate CowView si avvale di sensori posizionati nell’ambiente e sul collare di ciascun capo. Dal monitoraggio in continuo dei movimenti e del comportamento di ciascun animale, si evincono eventuali cambiamenti nelle abitudini alimentari o comportamentali che generano degli allarmi direttamente recapitati all’allevatore via smartphone, tablet o pc.
Il sensore di posizione permette inoltre di individuare immediatamente l’animale da sorvegliare anche in mezzo a 2000 altri capi di bestiame.

La ricerca, oltre all’applicabilità del sistema di monitoraggio indoor, si propone di approfondire la conoscenza sul benessere animale e sulla produttività, in modo da ottimizzare le nuove applicazioni della zootecnia di precisione e massimizzarne la resa. L’indagine è cominciata a maggio 2014 nella fattoria di Theix in Bretagna e si protrarrà fino alla fine del 2016.
La fattoria di Theix alloggia 48 vacche libere di muoversi; sono presenti diversi cubicoli, le mangiatoie sono individuali e provviste di sensori per il monitoraggio della quantità di cibo ingerita e gli abbeveratoi sono anch’essi muniti di sensori per quantificare la quantità di acqua consumata. Nella stalla sono presenti inoltre altri sensori ambientali per monitorare altri parametri, tra cui le emissioni di metano. Ad ogni capo è stato applicato un collare e la posizione delle vacche viene calcolata usando una triangolazione passiva dei segnali emessi dal collare. Le informazioni vengono quindi inviate ad un processore centrale (hub).
L’INRA ha cominciato a raccogliere i dati a maggio scorso e la grande quantità di dati raccolti ha reso necessaria la creazione di nuovi modelli per la gestione e lo sviluppo dei dati.
Molti problemi sono stati riscontrati a causa della tipologia della stalla di Theix: i cubicoli in legno sono separati e i soffitti sono bassi. Tali caratteristiche hanno abbassato la qualità del segnale di posizionamento e, nonostante alcune opportune manipolazioni al software, i dati raccolti non sempre hanno la precisione desiderata. La ricerca quindi si sposterà entro la fine dell’anno a Marcenat, Monts d’Auvergne (Francia) in un luogo più idoneo, costruito con materiali alternativi (non legno) in modo da non interferire con la trasmissione dei segnali. Inoltre, viste le problematiche riscontrate a Theix, si provvederà a posizionare meglio sia le mangiatoie e gli abbeveratoi all’interno nella stalla, sia la posizione stessa del tag trasmettitore sul collare. Infatti dati gli spazi ristretti e il grande numero di animali (questa stalla ospiterà 168 capi) è necessaria una notevole precisione del segnale per identificare senza dubbio l’attività di ogni singolo capo.
In questa nuova stalla tutta la tecnologia verrà potenziata e si installerà anche una linea per l’analisi del latte.

 

Per saperne di più:
EU-PLF
GEA Farm Technologies