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Dalla ricerca nuove soluzioni contro “Drosophila suzukii”

La Drosophila suzukii è un dittero che da alcuni anni infesta numerose colture in diverse regioni italiane. La peculiarità di questo dittero sta nella capacità delle femmine di deporre le uova anche in frutti sani in quanto riescono a perforarne la superficie. I frutti vanno di conseguenza incontro ad un rapido disfacimento.

La stagione 2014 ha visto un grave incremento delle infestazioni di Drosophila suzukii. I livelli di cattura nei momenti di picco del volo sono stati circa 7-8 volte superiori a quelli del 2013. Le ragioni vanno ricercate principalmente nell’andamento climatico favorevole con un inverno mite e un’estate mite e piovosa.
In una situazione di elevata pressione dell’insetto, il controllo è stato piuttosto difficile; tra le varie tecniche adottate alcune si sono dimostrate più efficaci.

La Fondazione E. Mach di San Michele all’Adige consiglia l’impiego di:

  • reti di contenimento;
  • cattura massale.

Le reti di contenimento riducono al minimo il danno da parte di questo insetto, poiché costituiscono una barriera attorno alla coltivazione. Le reti antinsetto però devono essere ben gestite e adattate alla coltivazione e alla morfologia del suolo. All’interno delle reti è di fondamentale importanza il monitoraggio per verificare l’eventuale presenza di D. suzukii e lo stato delle reti. L’impiego delle reti antinsetto consente inoltre una forte riduzione del numero di interventi insetticidi contro D. suzukii e limita l’insorgenza di resistenze dell’insetto ai prodotti fitosanitari.

La cattura massale è molto importante in autunno nelle colture e nei boschi limitrofi alle coltivazioni e in primavera ai margini dei boschi e intorno agli impianti anche in assenza di coltura in atto.
Le trappole messe a punto dalla Fondazione E. Mach si chiamano Biobest. Sono di colore rosso e sono caricate con una miscela di aceto di mela (150 ml), vino rosso (50 ml) e un cucchiaino di zucchero di canna grezzo (Droskidrink).

I limiti di queste tecniche però sono parecchi e la ricerca nel settore è molto attiva in Italia, ma anche negli Stati Uniti. Di recente sono stati divulgati i risultati di due ricerche che aprono a nuove soluzioni.
La prima è stata presentata nel corso del “VIII Workshop on Integrated Soft Fruit Production” (IOBC/WPRS) il 26-28 maggio 2014 e vede tra i protagonisti i ricercatori della Fondazione E. Mach in collaborazione con colleghi dell’Università dell’Oregon.
La seconda è stata pubblicata su Agricultural Research Magazine del 14 ottobre 2014 e riporta i risultati della ricerca condotta da ricercatori di United States Department of Agricolture (USDA).

Al convegno IOBC, ricercatori della Fondazione Edmund Mach in collaborazione con ricercatori dell’Università dell’Oregon, hanno presentato i risultati di due anni di ricerca sull’impiego di insetti antagonisti per il controllo della Drosophila suzukii. In particolare hanno individuato tre specie di imenotteri in grado di attaccare la Drosophila. Si tratta di:

  • un parassitoide larvale, Leptopilina heterotoma Thomson (Hymenoptera Figitidae);
  • due parassitoidi pupali: Pachycrepoideus vindemiae Rondani (Hymenoptera Pteromalidae) e Trichopria drosophilae Perkins (Hymenoptera Diapriidae).

I ricercatori dello USDA sono anche riusciti a individuare quali sono gli aromi che, usati nelle trappole, effettivamente attraggono la Drosophila suzukii. Difatti, tra i limiti delle trappole in commercio, c’è la scarsa selettività delle stesse, sicché tanti altri insetti sono attratti. L’aver individuato con maggior precisione gli aromi attrattivi per la D. suzukii consente la cattura di questo dittero in maniera più selettiva.

La miscela messa a punto da Peter Landolt dell’USDA contiene: acetilmetilcarbinolo (acetoino) e metanolo, combinati con acido acetico ed etanolo.

Per saperne di più:

Fondazione E. Mach
United States Department of Agricolture
Congresso IOBC

 

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La fertilizzazione fogliare, soluzione per vivai e aree boschive

Lo scorso agosto sulla rivista Environmental and Experimental Botany, visibile online sul sito di Science Direct, è stata pubblicata una ricerca spagnola condotta da alcuni ricercatori dell’Università di Alcalà e del Politecnico di Madrid su un nuovo metodo di fertilizzazione fogliare. Tale metodo viene applicato direttamente sulle foglie e serve da complemento al metodo di fertilizzazione tradizionale (via apparato radicale). Le piante cresciute con questo metodo risultano essere di alta qualità e particolarmente idonee per la forestazione.

Lo studio ha preso in esame quattro diversi fertilizzanti a base di azoto (urea, nitrati, ammonio e glicina) e due specie mediterranee usate in genere nella reintegrazione boschiva: il leccio (Quercus ilex L.) e il pino d’Aleppo (Pinus halepensis Mill.). Negli esperimenti si è provveduto ad effettuare la fertilizzazione direttamente sulle foglie.
L’alimentazione fogliare è usata in agricoltura per avere un controllo rapido e preciso della nutrizione della pianta. Questa tecnica, però, non era mai stata testata su questo tipo di piante e sui boschi.
Per poter studiare l’effetto e l’efficacia nell’adsorbimento di ciascun fertilizzante, i ricercatori hanno impiegato fertilizzanti marchiati con l’isotopo stabile dell’azoto, e quindi hanno analizzato il comportamento di entrambe le specie arboree.
Dai risultati ottenuti, i ricercatori hanno osservato che l’urea ha il miglior quoziente di assorbimento, seguita da ammoniaca, glicina e quindi nitrati. Queste differenze tra i quattro fertilizzanti si possono spiegare attraverso un’analisi delle proprietà fisico-chimiche di ciascuno di essi, in particolare la differenza tra loro in polarità, igroscopicità e solubilità.
Tra le due specie arboree si è visto un adsorbimento fogliare maggiore per il leccio rispetto al pino. Anche in questo caso, la differenza di comportamento è spiegabile attraverso le diverse proprietà anatomiche a livello fogliare quali, ad esempio, la densità degli stomi.
I ricercatori hanno inoltre evidenziato che, all’interno in ciascuna specie, esiste una correlazione tra la permeabilità cuticolare e l’adsorbimento fogliare, e questa relazione può variare a seconda del tipo di fertilizzante impiegato.
Interessanti sono anche i dati ottenuti con l’impiego della fonte organica di azoto (la glicina).

I risultati ottenuti evidenziano come la fertilizzazione fogliare porti ad un aumento del contenuto di azoto nella pianta, sia nel leccio come nel pino. Tutti i prodotti impiegati hanno riportato un risultato positivo. L’analisi dettagliata dei risultati mostra due aspetti molto importanti:

  • l’urea risulta essere il fertilizzante più efficiente
  • entrambe le specie studiate possono adsorbire la glicina intatta per via fogliare.

Inoltre, le differenze osservate sulla velocità di adsorbimento tra le due specie consente ai ricercatori di sviluppare dei modelli per poter prevedere il comportamento di altre specie arboree.

Questo metodo di fertilizzazione risulta essere uno strumento efficace per completare il regime di fertilizzazione soprattutto in presenza di suoli poveri di nutrienti o aridi. Le specie arboree così trattate presentano un miglioramento qualitativo.
Questo tipo di fertilizzazione può trovare largo impiego nei vivai, nelle aree boschive e in zone in cui l’adsorbimento per via radicale risulta difficile.

 

Per saperne di più:
Università Politecnica di Madrid
Science Direct

Riso Scotti e CHEP in sinergia per la crescita aziendale e la sostenibilità ambientale

Riso Scotti si è trasformata da semplice riseria a importante gruppo industriale alimentare perseguendo l’obiettivo di valorizzare la materia prima e garantire la qualità alimentare. La sua attenzione per una politica ambientale sempre più verde, è indirizzata  a tutta la catena produttiva e distributiva con azioni molto concrete ed efficaci. La scelta di un fornitore strategico quale CHEP è stata dettata dalla volontà di massimizzare la resa della catena distributiva riducendone i costi. CHEP, leader mondiale di soluzioni di pooling, pallet e container, ha lavorato in stretta sinergia col reparto logistico di Riso Scotti portando a rivoluzionare il metodo di trasporto e la movimentazione dei pallet. Il pooling è un sistema che si basa proprio sul riutilizzo dei pallet, il recupero delle attrezzature e il loro riciclo finale riducendo l’impatto sull’ambiente e proteggendo le risorse naturali.

I trasportatori di Riso Scotti dopo aver effettuato la consegna dei prodotti passano dal centro logistico CHEP di Massalengo per approvvigionarsi di pallet che scaricano in seguito presso lo stabilimento aziendale, dove li attende un semirimorchio già predisposto per le consegne successive. In tal modo i tempi di attesa da parte dei trasportatori vengono abbattuti rispetto al passato e i costi legati al trasporto di merci e pallet sono meno onerosi e quantificabili in una riduzione approssimativa del 10%.

Interessanti i dati che CHEP è stata in grado di fornire all’azienda in merito al risparmio ottenuto, in termini di eco-sostenibilità, rispetto alle soluzioni di pallet bianchi usati in precedenza. Grazie a CHEP Riso Scotti ha ridotto del 52% il consumo di acqua, del 72% il consumo di legname e del 77% la quantità di rifiuti portati in discarica. Inoltre secondo il GPW (Global Potential Warming), ovvero l’indicatore che misura il dato di potenziale riscaldamento globale a cui contribuiscono le aziende, l’impatto di Riso Scotti è diminuito del 50% da quando utilizza il pallet pooling CHEP.

http://www.chep.com/it/