Cimici (1)

Le specie aliene alla conquista degli ecosistemi agricoli europei

Le specie aliene si diffondono in Europa minacciando gli ecosistemi e causando ingenti danni all’agricoltura. L’Unione Europea ha elencato 12 mila specie, di cui almeno il 10-15% risulta essere invasivo. ASAP: bisogna creare una rete di controlli sul territorio e sui potenziali siti di entrata delle specie aliene.


Le «specie esotiche» in Europa

L’Unione Europea ha elencato circa 12.000 «specie esotiche», di cui circa il 10-15% risulta essere invasivo, presenti in zone sia rurali che urbane, nei corsi d’acqua e negli ambienti marini europei. Il Regolamento (UE) n. 1143/2014 definisce «specie esotica» quella specie che viene introdotta in seguito ad attività umane in un’area che non avrebbe potuto raggiungere in modo autonomo. Nella categoria «specie esotica» sono presenti animali, piante e microorganismi (Tabella 1):

 

A. «specie esotica»: qualsiasi esemplare vivo di specie, sottospecie o taxon inferiore di animali, piante, funghi omicrorganismi spostato al di fuori del suo areale naturale; sono compresi le parti, i gameti, i semi, le uova o i propaguli ditale specie, nonché gli ibridi, le varietà o le razze che potrebbero sopravvivere e successivamente riprodursi.

B. «specie esotica invasiva»: una specie esotica la cui introduzione o diffusione in un' area può minacciare la biodiversità e i servizi ecosistemici collegati, o ha effetti negativi su di essi.

C. «specie esotica invasiva di rilevanza unionale»: una specie esotica invasiva i cui effetti negativi sono considerati tali da richiedere un intervento concertato da parte dell’Unione Europea.

D. «specie esotica invasiva di rilevanza nazionale»: una specie esotica invasiva, diversa da una specie esotica invasiva di rilevanza unionale, di cui uno Stato membro, in base a prove scientifiche, considera significativi per il proprio territorio, o per una sua parte, gli effetti negativi del rilascio e della diffusione, anche laddove non interamente accertati, e che richiede un intervento a livello di detto Stato membro.

Tabella 1. Fonte: Regolamento (UE)n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014 recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle «specie esotiche» invasive.

 

Le «specie esotiche» rappresentano una minaccia solo quando raggiungono habitat naturali dove non vi sono già concorrenti o predatori.Tra le principali cause di diffusione delle specie invasive vi sono gli spostamenti dell’uomo e delle merci nel mondo. La Millennium Ecosystem Assessment (Valutazione degli ecosistemi del millennio) definisce il fenomeno come una delle prime cause di perdita di biodiversità. In particolare, si stima che circa il 15% delle specie aliene introdotte sinora sia potenzialmente pericoloso per la biodiversità europea. A tal proposito, l’ultimo inventario DAISIE (Delivering Alien Invasive Species Inventories for Europe) ha individuato 10822 specie alloctone (specie invasive o specie aliene) in Europa. Dall’inventario emerge che dal 1950 ad oggi si è insediata più di una specie invasiva ogni anno, la maggior parte delle quali proviene dall’Asia e dal Nord America. Questo flusso è stato favorito dal mercato unico europeo e dalla libera circolazione senza accurati controlli ai confini. All’IPPC (International Plant Protection Convention) spiegano che «le specie invasive raggiungono nuovi habitat in vari modi, ma il trasporto marittimo sembra sia il principale mezzo di diffusione anche in considerazione del fatto che circa il 90% del commercio mondiale avviene ancora oggi via mare. Oltre a provocare gravi danni all’ambiente e all’economia, le specie invasive rappresentano una minaccia anche per l’uomo (si ricordi il caso della zanzara tigre che ormai abita abitualmente nelle aree urbane in Italia). Stando alle stime, il costo a livello europeo in termini di controllo ed eradicazione delle «specie esotiche» invasive supera ormai i 10 miliardi di euro all’anno.

 

Chi monitora le specie aliene

L’EPPO (European Plant Protection Organization) è un organismo intergovernativo che si occupa di controllare la diffusione di specie aliene nel settore agricolo e di proteggere le specie vegetali in Europa. In altre parole, l’EPPO rappresenta il Servizio Fitosanitario europeo. Fondato nel 1951 da 15 paesi (tra i quali anche l’Italia) conta attualmente 50 stati membri (Figura 1) e ha la sua sede principale a Parigi (www.eppo.int).

 

Figura 1. Mappa con gli attuali paesi membri di EPPO evidenziati in verde

 

I principali obiettivi dell’EPPO sono:

  • tutelare la salute delle piante nel settore agricolo e forestale e negli ambienti non coltivati;
  • sviluppare una strategia internazionale contro l’introduzione e la diffusione di organisminocivi (pests), comprese le piante aliene invasive che danneggiano le piante coltivate ospontanee, negli ecosistemi agricoli e naturali;
  • promuovere l’armonizzazione dei regolamenti fitosanitari e di tutti gli altri settori interessatialla attività ufficiale di protezione delle piante;
  • favorire l’usodi moderni, sicuri ed efficaci metodi di controllo delle malattie delle piante;
  • fornire un servizio di documentazione dedicato alla protezione delle piante.

A questo proposito, l’EPPO ha stilato delle liste degli organismi nocivi per le piante coltivate:

  • Lista A 1: comprende gli organismi da quarantena assenti nel territorio di EPPO;
  • Lista A 2: comprende gli organismi da quarantena presenti nel territorio EPPO, manon ampiamente diffusi e comunque, già sottoposti a misure ufficiali dicontrollo;
  • Lista A 3 o lista di allerta (Alert List): comprende organismi non ancora inseriti nelle prime due liste, ma considerati di elevato potenziale rischio fitosanitario.

Oltre a queste liste specifiche dedicate agli organismi nocivi per le piante coltivate nell’area europea, EPPO ha stilato una quarta lista, la Action list, per stimolare i paesi membri e le aree più a rischio a prendere in considerazione l’introduzione di misure fitosanitarie specifiche per gli organismi da quarantena recentemente aggiunti alle liste A1 e A2 (durante gli ultimi 5 anni, dal 2009) o che rappresentano al momento un rischio particolare per l’intera regione  EPPO (Figura 1). Gli organismi elencati in ciascuna lista prendono in considerazione batteri, citoplasmi, funghi, insetti, acari, virus e organismi simili a virus, nematodi. Dal 2000 EPPO ha inoltre predisposto due liste relative alle «piante aliene invasive», che comprendono le specie vegetali già presenti o assenti e conalto-medio rischio di introduzione con conseguenti effetti negativi sul patrimonio vegetale autoctono spontaneo e sulla biodiversità.

 

Le specie aliene che minacciano l’agricoltura in Italia

Tra gli “organismi alieni” che negli ultimi anni hanno causato gravi danni all’agricoltura e alla biodiversità del nostro Paese, alcuni si sono dati davvero molto da fare. Tra questi, il Punteruolo rosso della palma, nome scientifico Rhynchophorus ferrugineus (Figura 2) che rappresenta ormai da anni un pericolo per le palme da cocco, da dattero e ornamentali. È giunto in Italia grazie alle importazioni di palme provenienti dal Medio Oriente e dalle regioni dell’Africa mediterranea. Si è diffuso dapprima in Spagna, poi nelle coste francesi e infine in Liguria e in altre regioni italiane.

 

Figura 2. Punteruolo rosso

 

Secondo il Centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei (CIHEAM), i costi per il controllo di questo parassita – per ora possibile efficacemente soltanto attraverso la prevenzione, che comporta lo sradicamento e lo smaltimento delle palme abbattute – raggiungeranno i 200 milioni di euro tra Italia, Spagna e Francia nel 2023. 

Altra specie pericolosa per la nostra agricoltura è lo Pseudomonas syringaepv. actinidiae, responsabile della batteriosi del Kiwi. Si tratta di un batterio originario della Cina, giunto in Italia probabilmente nel 2008 (Balestra et al., L'Informatore Agrario 38/2008). Lo Pseudomonas syringae pv. actinidiae si attiva ad una temperatura compresa tra i10 e i 20°C (oltre i 25°C blocca la propria attività). Le infezioni avvengono in primavera-inizio estate e nelle prime settimane d’autunno (Figure 3 e 4). Al momento, la difesa fitosanitaria contro questo batterio si basa essenzialmente sull'applicazione di buone pratiche agronomico-colturali e sull'impiego di formulati a base di rame.

 

Figura 3. Avvizzimenti fogliari causati da Pseudomonas

 

   Figura 4. Cancro batterico del kiwi

 

C’è poi il Cinipide del castagno (Dryocosmuskuriphilus), un imenottero originario della Cina, segnalato per la prima volta in Italia nel 2002 (in Piemonte), conosciuto con il nome di mosca cinese del castagno o Cinipide Galligeno, per le vistose galle che compaiono sui rametti e le foglie del castagno. Infatti, questo parassita effettua il suo ciclo biologico da uovo a larva e pupa all’interno di caratteristiche galle che si rendono visibili al momento del volo degli adulti, quando ormai è troppo tardi, tra fine maggio e luglio, per qualsiasi forma di intervento contro il parassita. Gli adulti iniziano subito la conquista di nuove gemme dove depositano le uova da cui usciranno le larve adulte dopo avere svernato fino alla primavera successiva. Particolare non trascurabile, infatti, che aumenta di molto la pericolosità di questa specie aliena è il suo modo di riprodursi, infatti il Dryocosmuskuriphi (cinipide galligeno), oltre ad essere fortemente monofago (ama riprodursi e nutrirsi soltanto sugli alberi di castagno), si riproduce per partenogenesi telitoca, cioè la discendenza di questo insetto è costituita soltanto di individui femmina, ciascuno in grado di deporre, senza accoppiarsi, fino a 150 uova dentro le galle che si vengono a produrre sulle gemme (Figure 5 e 6).

 

        

Figura 5. Larve (fonte: regione.piemonte.it)

 

        

 Figura 6. Femmina di cinipide durante l’ovideposizione (fonte: regione.piemonte.it)

 

La Xylella fastidiosa, incubo per gli olivicoltori

Una delle specie invasive più pericolose per la nostra agricoltura, di cui si è molto discusso negli ultimi anni, è il noto batterio Xylella fastidiosa, ritenuto responsabile del cosiddetto “Complesso del disseccamento rapido dell’olivo (CoDiRO), una fitopatologia che, a partire dal 2013, ha colpito gli alberi di olivo in Italia (soprattutto in Puglia), causando ingenti danni ambientali ed economici al settore dell’olivicoltura (Figura 6).

 

Figura 6. Danni causati agli olivi dal batterio Xilella fastidiosa

 

Si tratta di un batterio che si trasmette attraverso insetti vettori con apparato boccale di tipo pungente-succhiante acquisiscono il batterio nutrendosi dai vasi xilematici delle piante infette per poi contagiare quelle sane. La Xilella è fortemente polifaga, colpisce oltre 150 specie vegetali, tra cui numerose piante di interesse agricolo (agrumi, vite, pesco, mandorlo, olivo), specie ornamentali (oleandro),essenze forestali (acero, quercia) e specie spontanee (erbe ed arbusti). Attualmente, l’unica specie-vettore per la quale è stata dimostrata la capacità di trasmettere il batterio è l’insetto Philaenus spumarius, volgarmente definito “sputacchina” (Figure 7 e 8), per la caratteristica schiuma che produce sulle piante-ospite dove saltano le larve, durante i diversi stadi del suo ciclo biologico. 

 

Figura 7. Philaenus spumarius o "sputacchina"

 

Figura 8. Pianta infestata dalla "sputacchina"

 

La famigerata cimice asiatica

Non dimentichiamoci poi della famigerata cimice asiatica, nome scientifico Halyomorpha halys (Figura 9), un insetto originario dell’Asia orientale che negli ultimi due anni ha causato ingenti danni al sistema ortofrutticolo italiano. 

 

Figura 9. Adulti di Halyomorpha halys

 

Secondo una recente ricerca del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), nelsolo2016, il comparto ortofrutticolo italiano ha registratoperdite per oltre il 40% in importanti settori come laproduzione di pere e kiwi. Danni gravi vengono poi segnalati nella produzione di mele, pesche, uva, pomodori, noci, nocciole, mais e soia. La H. Halys è un insetto molto polifago e possiede un elevato potenziale invasivo. In aree urbane, può essere motivo di fastidio per l’abitudine di svernare in massa entro gli edifici, in particolare, durante le stagioni fredde. Di recente, il Crea ha individuato un imenottero antagonista naturale della cimice, l’Ooencyrtus telenomicida, di dimensioni simili (inferiori di appena 1 mm), che può essere allevato in biofabbriche e che rappresenta oggi la speranza per molti agricoltori italiani e non solo.

 

Il progetto ASAP

In Italia, le specie aliene sono aumentate del 96% negli ultimi 30 anni e il fenomeno è in vertiginoso aumento. Turismo e commercio sono tra le principali cause di diffusione, così come il cambiamento climatico che crea sempre più spesso situazioni climatiche favorevoli per lo sviluppo di organismi alloctoni sia animali che vegetali. Questo è quanto emerso firora dal progetto europeo ASAP (Aliens Species Awarness Program), progetto cofinanziato dalla Commissione Europea di cui ISPRA è promotore insieme con Legambiente, Regione Lazio, Orto Botanico di Cagliari, NEMO srl e Unicity srl (www.life.eu). Inoltre, partecipano al progetto anche il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare e quattro parchi nazionali: Aspromonte, Appennino Lucano, Arcipelago Toscano e Gran Paradiso. ASAP ha come principale obiettivo quello di contrastare il fenomeno delle specie invasive e di tutelare le specie “autoctone”. È indispensabile  la creazione di una rete di controlli sul territorio e sui potenziali siti di entrata delle specie aliene (aeroporti, stazioni, porti, autostrade, ecc.), sostengono i responsabili ed esperti che del progetto. Fondamentale è inoltre l’adozione di comportamenti più responsabili da parte dei cittadini e delle imprese che si occupano di import/export a livello europeo e internazionale. A questo proposito, va dedicata massima attenzione nei casi di trasporto di piante e di animali da altri paesi. Infine, non è secondario considerare una maggiore informazione delle pubbliche amministrazioni e della comunità scientifica internazionale nei confronti dei cittadini ai fini della sensibilizzazione nei confronti di comportamenti errati. Soltanto in questo modo, sottolinea ASAP, sarà possibile contrastare nei prossimi anni il fenomeno delle invasioni di specie aliene in Italia e in Europa. 

Cop 23_Bonn

Cosa dobbiamo aspettarci dalla Cop23 in corso a Bonn

I  dati sul cambiamento climatico sono allarmanti. Gli Stati Uniti hanno annunciato di voler abbandonare l’Accordo di Parigi. Secondo l’UNEP gli ultimi tre anni sono stati i più caldi della storia. Queste sono solo alcune delle premesse con le quali si è aperta la Conferenza mondiale sul clima della Nazioni Unite (Cop23). 


Un ponte verso la Cop24

Si è ufficialmente aperta la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop23), l’appuntamento annuale più importante nella discussione sulle misure da adottare nella lotta al cambiamento climatico. A presiedere la 23esima edizione della Conferenza sono le isole Fiji, che per la loro particolare posizione geografica, nel cuore dell’Oceano Pacifico, sono uno dei Paesi al mondo più vulnerabile di fronte ai cambiamenti climatici. Lo scorso anno le Fiji sono state colpite dal ciclone Winston, che ha causato danni per oltre un miliardo di dollari. Tuttavia, anche se la presidenza della Conferenza è ufficialmente affidata alle Fiji, per ragioni logistiche, il paese ospitante è la Germania. La Conferenza si sta infatti svolgendo a Bonn, città con una lunga storia, che ha dato i natali a Beethoven e che è stata per oltre quarant’anni capitale dell’allora Germania dell’Ovest. Obiettivo chiave della Cop23 sarà quello di tradurre in azioni concrete l’Accordo di Parigi (Paris Agreement) e, allo stesso tempo, fungere da ponte tra il lavoro fatto nel 2016 nella scorsa Cop22 e quanto si farà nella prossima Cop24 che si terrà nel 2018 a Katowice, in Polonia.

 

Cosa prevede l’Accordo di Parigi

L’Accordo di Parigi, approvato a novembre 2015 a conclusione della Cop21 ed entrato ufficialmente in vigore a novembre 2016, è stato firmato da 196 paesi e sarà operativo a partire dal 2020. L’Accordo di Parigi prevede di fermare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C dai livelli preindustriali, cioè prima del 1750 quando le concentrazioni di CO2 erano inferiori a 280 ppm (oggi sono superiori a 400 ppm – vedi Fig. 1) entro il 2030, di rivedere gli impegni dei singoli Stati firmatari ogni cinque anni per migliorare i livelli già raggiunti e di investire 100 miliardi di dollari ogni anno in programmi climatici nei Paesi in via di sviluppo. A tal proposito, nella Cop22, tenutasi lo scorso anno a Marrakech, sono state definite le modalità di monitoraggio dei flussi finanziari che andranno a vantaggio soprattutto dei Paesi del Sud del mondo, ovvero quei Paesi che subiscono maggiormente le conseguenze del cambiamento climatico.

Nonostante le misure auspicate, secondo l’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) le emissioni antropiche porteranno comunque il pianeta verso un aumento della temperatura globale tra i 2,9 e 3,4 °C entro fine secolo, con conseguenze ambientali disastrose: ondate di calore, inondazioni e periodi di siccità più frequenti e intensi, impatti sulle specie animali e vegetali, una maggiore diffusione delle malattie e un notevole aumento dei decessi. Le cause, come riportano le maggiori agenzie e istituti di ricerca, sono dovute all’aumento della CO2 presente nell’atmosfera, che dalle 316 ppm del 1958 è passata a una concentrazione superiore alle 400 ppm di oggi (Figura 1). In particolare, a livello globale, delle 36 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno in atmosfera, Cina e Stati Uniti contribuiscono per il 45% del totale, rispettivamente 30% e 15%.

 

Figura 1. Aumento della CO2 in atmosfera

 

Inoltre, come sottolinea il Laboratorio Modellistica Climatica e Impatti dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), per ogni aumento di 1 °C della temperatura dell’aria aumenta la capacità dell’atmosfera di contenere acqua mediamente del 7%. 

 

Gli effetti del cambiamento climatico sulle risorse alimentari

L’agricoltura contribuisce per il 14% alle emissioni globali di CO2 (6,8 Gt di CO2). I modelli previsionali (FAO, Agriculture and Rural Development, Paper 42) indicano che l’aumento di temperatura di 1-3°C, associato all’aumento della CO2 presente in atmosfera, produce effetti positivi sulla produzione di piante alimentari nelle aree climatiche temperate. Al contrario, nelle aree climatiche tropicali, in particolare nei Paesi africani, l’aumento di 1-2 °C potrebbe causare riduzioni fino al 30% della produzione alimentare totale (Figura 2).

 

Percentuale (%) delle variazioni previste nella produzione di piante entro il 2080 in relazione alle produzioni del 2000 (baseline)

Figura 2. Impatto del cambiamento climatico sulla produzione di piante alimentari (variazioni medie per grano, mais, riso e soia), 20002080. Source: Cline (2007)

 

Gli Stati Uniti si ritirano

Dopo che il Nicaragua ha dichiarato di voler aderire all’Accordo di Parigi, gli unici due Stati al mondo che finora sono rimasti fuori dall’intesa globale sul clima sono gli Stati Uniti – dove l’amministrazione Trump ha deciso di dare un netto cambio di rotta alle politiche ambientali promesse dalla precedente amministrazione – e la Siria che, sebbene recentemente abbia espresso la volontà di aderire, è afflitta da una disastrosa guerra civile che dal 2011 ad oggi ha causato circa 430 mila morti e quasi 12 milioni di sfollati (secondo dati dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani). Tuttavia, una delegazione di funzionari della Casa Bianca parteciperà alla Conferenza di Bonn perché, anche se l’amministrazione Trump ha annunciato di voler al più presto abbandonare l’Accordo di Parigi, legalmente non potrà farlo sino al prossimo anno.

L’Omm (Organizzazione metereologica mondiale) nel suo ultimo rapporto sulla situazione climatica globale, uscito in concomitanza con l’apertura dei lavori della Cop23, sottolinea che il 2017 sarà probabilmente uno dei tre anni più caldi della storia, da quando i dati vengono monitorati con regolarità, cioè dal 1880. In particolare, per il mese di ottobre 2017 sono state evidenziate anomalie della temperatura dell’aria rispetto alla media delle temperature di ottobre registrate nel periodo 1981-2010 (Figura 3). In particolare, a ottobre, la temperatura dell’aria nelle isole Svalbard è risultata di 6 °C sopra la media, mentre nel Sud Europa l’aumento maggiore si è avuto in Spagna con oltre 4 °C sopra la media del periodo 1981-2010. Inoltre, a livello globale, le temperature dell’aria sono state leggermente sotto la media in alcune aree geografiche del Sud Est e dell’Est del continente. 

 

Figura 3. Le temperature dell’aria nel mese di ottobre 2017 rispetto alla media riscontrata per lo stesso mese nel periodo 1981-2010

 

Secondo L’ENEA un pianeta più caldo rende la biosfera e gli oceani meno efficienti nell’assorbire la CO2 presente in atmosfera, dove si concentra oltre la metà della CO2, dal momento che gli oceani riescono ad assorbirne solo il 50%. Secondo il Kyoto Club è urgente avviare politiche severe di riduzione delle emissioni di CO2, altrimenti, in 20 anni, la concentrazione nell’atmosfera raggiungerà le 450 ppm, con un aumento medio della temperatura di 2°C rispetto ai livelli preindustriali (280 ppm).

 

Il fenomeno dei “profughi climatici”

Gli ultimi tre anni, secondo un recente rapporto UNEP, sono stati i più caldi mai registrati e, sul lungo termine, indicano una chiara tendenza verso un considerevole aumento delle temperature a livello globale. I picchi di caldo eccezionali registrati in Asia, con temperature superiori anche a 50 gradi centigradi, uragani di intensità record nell’Atlantico, che sono arrivati fino all’Irlanda, inondazioni devastanti causate da monsoni che hanno colpito milioni di persone nel mondo, nonché una terribile ondata di siccità in Africa orientale, spiega l’Organizzazione, sono certamente dovuti ai cambiamenti climatici provocati dall’aumento della concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera, causati principalmente dalle attività antropiche. Nel 2016, secondo quanto riportato in una dichiarazione ufficiale dell’Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), oltre 23 milioni di persone nel mondo sono state costrette a fuggire dalle loro terre perché colpite da catastrofi di natura climatica. In Somalia, ad esempio, sono stati recensiti 760 mila “profughi climatici” secondo l’Alto commissariato Onu per i Rifugiati. Mentre per quanto riguarda il lato economico del fenomeno, il Fondo Monetario Internazionale ha spiegato che già oggi le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici vengono registrate in aree nelle quali abita il 60% della popolazione mondiale.

 

Quali sono gli obiettivi in Europa

Obiettivi chiave dell’UE per il 2020:

  • Ridurre del 20% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990;
  • Portare al 20% la quota delle energie rinnovabili nel consumo totale di energia;
  • Aumentare almeno del 27% l'efficienza energetica.

Obiettivi chiave dell’UE per il 2030:

  • Ridurre almeno del 40% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990;
  • Portare almeno al 27% la quota delle energie rinnovabili nel consumo totale di energia;
  • Aumentare almeno del 27% l'efficienza energetica.

Obiettivi a lungo termine:

  • Entro il 2050, l’UE intende  ridurre le proprie emissioni in misura sostanziale dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990 nell'ambito degli sforzi complessivi richiesti dai paesi sviluppati;
  • Trasformare l'Europa in un’economia ad elevata efficienza energetica e a basse emissioni di carbonio stimolerà anche l’economia, creerà posti di lavoro e rafforzerà la competitività dell’Europa.

Milano. Presentato il primo Electricity Market Report dell’Energy&Strategy Group

La ricerca presentata oggi al Politecnico di Milano fotografa per la prima volta la situazione italiana messa a confronto con quella di altri sette Paesi, e traccia le aspettative degli operatori del settore.

Il mercato elettrico in Italia? Conservatore e con mutamenti attesi molto lenti.  Ma bisogna cambiare passo se non si vuole subire la competizione europea.


Nel corso del 2016 il fabbisogno di energia elettrica in Italia è stato pari a 310 TWh (-2% rispetto al 2015 e ben 8 punti percentuali sotto il picco del 2011), a cui corrisponde una generazione elettrica nazionale di 275 TWh di energia. Oggi questa produzione è soddisfatta per circa il 38% da fonti rinnovabili, ma nel 2017, precisamente alla data ormai famosa del 21 maggio, si è arrivati alla copertura record dell’87%.

Il controvalore complessivo del mercato è equivalso a circa 61 miliardi di euro nel 2016 e a quasi 31 miliardi nel primo semestre del 2017, distribuito tra i vari attori, che sono oltre 12.600 nella fase di generazione (con almeno 100 kW di potenza installata, ma va considerato che i primi sei detengono il 50% della capacità installata totale), 11 in quella di trasmissione e 137 nella distribuzione in media e bassa tensione (con i primi 3 che distribuiscono circa il 93% dell’energia totale) a cui si aggiungono 625 imprese registrate all’anagrafe degli operatori per la vendita di energia elettrica. Il tutto per servire un mercato finale fatto da 36,5 milioni di punti di prelievo sul territorio nazionale, di cui circa l’80% domestici.

È la fotografia del mercato elettrico in Italia scattata dalla prima edizione dell’Electricity Market Report, realizzato dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, che lo analizza nel dettaglio: dal cambiamento del consumatore, che sempre più spesso è prosumer (quindi anche produttore) e soddisfa con l’elettricità in maniera smart una quota sempre maggiore del proprio fabbisogno energetico, alle liberalizzazioni e all’apertura del mercato dei servizi di dispacciamento, con il conseguente possibile ingresso di nuovi operatori.

Sono ben 18 i grandi trend di cambiamento monitorati dalla ricerca. Il mercato elettrico in Italia e in Europa è infatti alle prese oggi con una delle più profonde trasformazioni degli ultimi decenni, stretto com’è tra le grandi evoluzioni della tecnologia e del mercato da un lato e, dall’altro, dalla necessità di adeguare il quadro normativo che da sempre ne irreggimenta il funzionamento.

L’Electricity Market Report è partito da queste premesse per investigare – sia attraverso il benchmark con gli altri grandi Paesi europei, sia raccogliendo direttamente il parere di un campione significativo di operatori del settore in Italia – le aspettative sulla capacità di innovarsi del nostro mercato. Per ciascuno dei grandi temi vengono infatti analizzate le caratteristiche principali e le implicazioni attese sui diversi attori della filiera: generazione, trasmissione, distribuzione e vendita.

Grafici e informazioni nel comunicato Stampa del Politecnico, sotto allegato.

Il report completo è disponibile in elettronico su richiesta, anche se non è ancora nella versione  definitiva presso
School of Management Politecnico di Milano