Sostenibilità intelligente. Sfide e prospettive per le tecnologie green del futuro

Un evento sulla sostenibilità green organizzato dall’Università di Padova per la Cittadinanza

di Laura Galvani


Venerdì 29 novembre 2024, presso il Palazzo della Salute di Padova, si è svolto l’evento “Sostenibilità intelligente. Sfide e prospettive per le tecnologie green del futuro”, organizzato dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione (DEI) dell’Università di Padova, nell’ambito della Terza Missione dell’Università.

Tavola rotonda (Foto di Laura Galvani)

Con “Terza Missione” ci si riferisce all’insieme delle attività di trasferimento scientifico, tecnologico e culturale e di trasformazione produttiva delle conoscenze, attraverso processi di interazione diretta dell’Università con la società civile e il tessuto imprenditoriale. L’obiettivo è quello di promuovere la crescita economica e sociale del territorio, affinché la conoscenza diventi strumentale per l’ottenimento di benefici di natura sociale, culturale ed economica. La Terza Missione si affianca alle altre due missioni istituzionali dell’Università, ovvero Didattica e Ricerca.

Nel pieno spirito della Terza Missione, questo evento è stato rivolto a tutta la cittadinanza, per divulgare le conoscenze che si sviluppano all’Interno del DEI. Studenti, associazioni, istituzioni, aziende e pubblico generico hanno risposto numerosi all’invito del nostro dipartimento, riempendo quasi completamente la sala conferenze del Palazzo della Salute.

Il titolo scelto racchiude due messaggi: da un lato la sostenibilità ambientale, tema molto dibattuto fin dagli anni Ottanta, anche dal Centro Studi l’Uomo e l’Ambiente di Padova, che nel 1982 ne parlò – tra i primi in Italia nelle sue pubblicazioni.

L’altro tema riguarda gli strumenti “Smart” o intelligenti, a supporto della sostenibilità. Ma, come ha sottolineato durante il suo intervento d’apertura il professore Angelo Cenedese, ordinario di Automatica e responsabile del progetto Terza Missione del DEI, deve sempre esserci l’essere umano al centro, per interpretare i dati e agire di conseguenza, senza delegare alcuna decisione all’intelligenza artificiale.

Dopo i saluti istituzionali e la presentazione dell’evento da parte di Ruggero Carli, professore associato di Automatica presso il DEI, è intervenuto il vicesindaco del Comune di Padova, Andrea Micalizzi, che ha sottolineato le azioni che sta compiendo l’Amministrazione in tema di sostenibilità ambientale, soprattutto per ridurre le emissioni climalteranti. Azioni riconosciute anche a livello europeo, tanto che Padova, unica città del Veneto, è stata scelta come città pilota insieme a 100 città europee per arrivare alla neutralità climatica entro il 2030. Obiettivo stabilito dalla missione dell’Unione Europea per le città climaticamente neutre e intelligenti all’interno del programma di ricerca e innovazione Horizon Europe per gli anni 2021-2027. Per incrementare le politiche di sviluppo sostenibile e promuovere una cultura della sostenibilità nella nostra comunità, ha concluso il vicesindaco, è pertanto fondamentale lavorare tutti insieme, Municipio e altri soggetti.

Il professore Daniele Visioni, dottore di ricerca in chimica e fisica dell’atmosfera, in collegamento dagli Stati Uniti, dove insegna alla Cornell University, ha spiegato che la comunità di scienziati esperti del clima è unanime nell’affermare che le attività umane stanno giocando un ruolo rilevante nell’aumento delle temperature globali. Anche se parlando del clima stiamo comunque ragionando su una teoria scientifica, le previsioni sono sempre più robuste nel dimostrare che l’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse, con un’incidenza che non si era mai vista in duemila anni. In particolare, gli studi pubblicati dall’IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, dimostrano che c’è una correlazione tra questa teoria e, per esempio, le osservazioni fatte dai satelliti che ci permettono di misurare le lunghezze d’onda del disequilibrio climatico. Oggi si misura anche la traccia isotopica del carbonio prodotto dai combustibili fossili che è diversa, come traccia, da quella prodotta da animali e piante.

Cosa possiamo aspettarci da modelli e predizioni?

Nonostante il livello di confidenza dei modelli, l’incertezza rimane, poiché la discriminante è ciò che farà la società umana. IPCC, pertanto, informa i governi, sottolineando che il futuro dipende da noi e dalle scelte che porteremo avanti.

Decarbonizzare per mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico che stiamo vivendo è, dunque, estremamente necessario. Ma si sta investendo in questo senso? Manuel Gallio, laureato al DII (Dipartimento di Ingegneria Industriale) di Padova ed esperto del mondo industriale, ha illustrato qual è il trend degli strumenti finanziari nei sistemi energetici attuali e del prossimo futuro, per poter capire quali sono gli investimenti che dovremmo aspettarci dagli Stati nel settore dell’energia. Si punterà sulle rinnovabili o dovremo ancora continuare ad utilizzare il gas, oppure il nucleare sarà una valida alternativa?
Senza entrare nelle questioni politiche, essendo questo un intervento di tipo tecnico di alto profilo, abbiamo compreso cosa è realistico aspettarsi dagli investimenti finanziari.

L’analisi del dottor Gallio ci dice che un mix di tecnologie rinnovabili, come l’eolico off-shore e il solare, e tecnologie efficienti che utilizzano il gas o addirittura mini-reattori nucleari per alimentare i data center, sono la soluzione migliore per cercare di andare incontro – realisticamente in questo momento – agli obiettivi sul clima, diminuendo l’aumento della temperatura mitigando le emissioni di CO2.

Dopo questo intervento di stampo più economico-finanziario, si è passati alle attività di ricerca del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione a favore della decarbonizzazione, con Mirco Rampazzo, professore associato in Automatica del DEI.
Nel suo intervento, intitolato “Il ruolo dell’ICT nell’era dell’Internet dell’energia”, ha spiegato che l’Internet dell’energia è, in pratica, un sistema di sistemi, dove la possibilità di mettere insieme diverse forme di energia diventa molto ampio. In questa complessità, l’intelligenza dentro le tecnologie che sviluppiamo può essere utile per accelerare la transizione energetica tanto auspicata: in questo senso, il ruolo dell’ICT (Information and Communication Technologies) nell’era dell’Internet dell’energia, diventa cruciale.

Infine, il professore Paolo Mattavelli, del “Centro studi di Economia e Tecnica dell’Energia Giorgio Levi Cases”, ha parlato delle iniziative del centro interdipartimentale dell’Università di Padova a favore dei Ricercatori, per dare loro la possibilità di fare progetti in tematiche non presenti nel loro dipartimento, ma comunque nel campo delle fonti di energia, della loro trasformazione, distribuzione e utilizzo finale. Tra i vari progetti dei ricercatori, ne citiamo due: “Smart Power-Electronic Hub” e “Liquefied Natural Gas as a Sustainable Alternative maritime fuel”.

Dopo gli interventi degli esperti del mondo accademico e dell’industria, si è tenuta una tavola rotonda con alcune Associazioni del territorio, che hanno condiviso “buone pratiche” e riflessioni sulla sostenibilità.

Hanno partecipato i rappresentanti di due Associazioni studentesche – LEDS for Africa e Catharsis – e una Associazione – Radici Future 2030 – che ogni anno propone un festival della sostenibilità a Bassano del Grappa promuovendo progetti che coinvolgono ragazzi delle scuole superiori e aziende.
Tutte queste realtà si stanno prodigando per cercare di promuovere un rafforzamento nella coscienza delle persone. È stato particolarmente interessante il racconto dei progetti attuati per la sostenibilità, con ricadute tangibili e positive sulle comunità interessate, siano esse in Africa o nel nostro territorio.

Un aperitivo di networking con tutti i presenti – oltre 80 persone – ha chiuso l’evento che, ne siamo certi, ha trasmesso un messaggio positivo. Tutti insieme possiamo davvero fare qualcosa di importante e utile per contribuire alla sostenibilità del nostro pianeta e al benessere delle generazioni future.

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L’importanza di una chiara etichettatura per garantire prodotti di qualità e consumatori informati

Di Alessandro Campiotti


Informazione selettiva, qualità non certificata, omissione informativa, greenwashing. Sono sempre più frequenti i casi di pubblicità ingannevole e mancato rispetto delle norme UE sull’etichettatura dei prodotti alimentari. Un recente rapporto della Corte dei conti europea fa il punto sulla questione.

@ Esempi di etichette


Il settore agroalimentare rappresenta un asset strategico per l’economia italiana, con un fatturato annuo stimato in circa 600 miliardi di euro, pari al 25% del PIL. Negli ultimi anni il volume economico del comparto è cresciuto di pari passo all’attenzione di portatori di interesse e consumatori verso le proprietà dei prodotti alimentari. Questi, infatti, non sono più considerati solo per le qualità organolettiche, quali aspetto, colore, forma, aroma, sapore e consistenza, ma sono legati ad un ventaglio più ampio di peculiarità, come l’origine, la salubrità, l’innovazione e la sostenibilità delle produzioni, il rispetto per l’ambiente e per la biodiversità. Tra gli aspetti che contribuiscono alla valorizzazione di un prodotto agli occhi del “moderno” consumatore, figura anche la tracciabilità, ovvero la possibilità di documentarsi sul percorso seguito dall’alimento lungo l’intera filiera che lo ha portato dal campo alla tavola, passando per le diverse fasi di produzione, lavorazione, conservazione e distribuzione.

A questo proposito, negli ultimi due decenni, l’Unione europea (UE) ha intensificato l’impegno a tutela della sicurezza alimentare, della salute del consumatore e del suo diritto ad una corretta informazione, mediante un articolato sistema di etichettature e marchi. Le etichette rappresentano uno strumento di trasparenza in quanto forniscono una serie di informazioni sul prodotto, che possono essere obbligatorie, come la dichiarazione di ingredienti, allergeni, valori nutrizionali, data di scadenza, modalità di uso e conservazione, oppure volontarie, come le indicazioni sull’impatto ambientale, il benessere animale e l’origine geografica. Le norme che disciplinano il sistema informativo dei prodotti alimentari fanno capo al Regolamento FIC (Food information to consumers – Informazioni alimentari ai consumatori) del 2011, in vigore dal 2014, che oltre ad avere aggiornato le modalità di etichettatura, ha stabilito che le informazioni contenute nelle etichette debbano essere precise, facilmente visibili, comprensibili e non fuorvianti. Sebbene il Regolamento sia stato recepito dai 27 Stati membri dell’UE, che peraltro hanno la responsabilità di supervisione sul rispetto delle norme, non mancano alcuni elementi controversi che ostacolano e ritardano il buon raggiungimento degli standard informativi.

Per far luce su questo tema, un recente Rapporto della Corte dei conti europea dal titolo “Etichettatura degli alimenti dell’UE – I consumatori possono perdersi nel labirinto delle etichette”, ha passato in rassegna il sistema di etichettatura vigente, giungendo alla conclusione che in molti casi l’attuazione della normativa risulta solo parziale, e che le differenze emerse tra i diversi paesi europei determinano disparità di accesso alle informazioni da parte dei consumatori. Tra i principali esempi riportati dal Rapporto, c’è il caso dei messaggi pubblicitari che tendono a sottolineare i benefici di un prodotto, senza considerarne gli aspetti meno salutari. È il caso della tipica frase “ricco di vitamine” attribuita a prodotti che invece presentano un elevato contenuto di grassi, zuccheri o sale. Per limitare l’uso di questi messaggi fuorvianti, dal 2009 sono state definite delle soglie sopra le quali vietare l’utilizzo di indicazioni sulla salute, tuttavia, alla fine del 2024, non risultano ancora essere entrate in vigore. Un altro caso irrisolto riguarda la corretta dichiarazione degli allergeni alimentari, teoricamente indicati tra gli ingredienti, ma spesso menzionati all’interno di etichettature precauzionali che riportano la vaga dicitura “può contenere allergeni”, senza precisarne la quantità, e contravvenendo, pertanto, al principio di tutela della salute dei consumatori. Ulteriori casi di informazione scorretta o parziale riguardano la ridotta leggibilità di alcune etichette scritte con caratteri particolarmente piccoli, la mancata considerazione delle categorie di consumatori che non rispondono alle esigenze nutrizionali tipiche del prototipo di adulto medio, o ancora, l’assenza di criteri omogenei che definiscano i prodotti vegetariani e vegani.

Allo stesso tempo, questi esempi di informazione selettiva e omissione informativa, insieme all’ampio ricorso ad asserzioni “green”, che certificano l’ipotetica sostenibilità ambientale dei prodotti, determinano sempre più spesso casi di comunicazione intenzionalmente ingannevole, che prende il nome di greenwashing o ecologismo di facciata. Inoltre, considerando che la capacità di comprensione delle etichette varia in base al target di consumatore, l’UE ha sollecitato i diversi paesi europei ad aumentare gli investimenti in campagne di informazione e formazione a partire dalle scuole, dove l’educazione alimentare può rivelarsi nel tempo uno strumento utile a rafforzare la consapevolezza e la responsabilizzazione dei futuri consumatori, per ottenere, come conseguenza, anche una riduzione delle pratiche di pubblicità ingannevole da parte delle imprese. Tuttavia, precisa ancora il rapporto della Corte, l’impegno di sensibilizzazione delle persone dovrebbe essere affiancato da una riduzione della burocrazia, che spesso si pone come ostacolo alla corretta interpretazione delle norme da parte delle imprese e all’applicazione delle sanzioni previste da parte degli organismi di controllo nei confronti dei soggetti che non rispettano le regole in materia di etichettatura.

Per approfondire:

Corte dei conti europea, Relazione speciale “Etichettatura degli alimenti nell’UE – I consumatori possono perdersi nel labirinto delle etichette”, 2024, https://www.eca.europa.eu/it/publications/SR-2024-23

European Commission, EU law on food information to consumers, Regulation (EU) No 1169/2011, https://food.ec.europa.eu/food-safety/labelling-and-nutrition/food-information-consumers-legislation_en

Immagine di intestazione: esempi di etichette (di Alessandro Campiotti).

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Avanti con la transizione verde e lo sviluppo sostenibile, ma attenzione al greenwashing

Di Alessandro Campiotti


La crescente attenzione verso modelli di sviluppo rispettosi dell’ambiente da parte di importanti settori della società ha spesso favorito pratiche di comunicazione ingannevole, dando luogo al fenomeno del
greenwashing

Negli ultimi anni il termine “sostenibilità” è entrato progressivamente a far parte del linguaggio comune delle persone, perdendo l’iniziale valenza accademica e assumendo un’accezione poliedrica e di facile utilizzo da parte di istituzioni, operatori commerciali, media tradizionali e nuove forme di comunicazione. Un così abbondante ricorso a questo concetto, nel tempo, ne ha destrutturato il significato originario e lo ha reso adattabile ai più diversi contesti, fino a dare adito, in alcuni casi, ad interpretazioni fuorvianti. È il caso del greenwashing, neologismo inglese che in italiano può essere tradotto come “ecologismo di facciata”, che definisce il fenomeno della comunicazione ingannevole nei confronti di utenti e consumatori riguardo alle prestazioni ecologiche di un’azienda e ai benefici ambientali di un prodotto o un servizio, che in determinate circostanze può dare luogo a vere e proprie frodi commerciali.

Il concetto di sostenibilità, negli anni ’70 relegato alla letteratura scientifica, dalla fine degli anni ’80 ha assunto una connotazione politica su spinta delle Nazioni Unite (ONU), che, con la pubblicazione del Rapporto Brundtland del 1987 dal titolo “Our Common Future” (Il Futuro di tutti Noi), hanno introdotto per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile, definendolo come “quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Da quel momento, e gradualmente nei decenni a seguire, numerosi paesi hanno recepito l’idea di sostenibilità nell’ambito delle proprie politiche industriali, ambientali, sociali e di sviluppo economico. A questo proposito, nel 2015, l’ONU ha lanciato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, caratterizzata da 17 obiettivi e 169 target da realizzare entro il 2030, che toccano le più diverse sfide globali, come lavoro, disuguaglianze, povertà, energia, ambiente, salute, istruzione e cambiamento climatico.

Un tale interesse da parte delle istituzioni si è tradotto in un maggior dibattito interno ai singoli stati, che ha reso l’opinione pubblica più consapevole e attenta al tema della sostenibilità – ambientale, economica, sociale – e di conseguenza ha stimolato le imprese a rimodulare la propria azione sotto il profilo della produzione, delle strategie di progettazione e del marketing. Tuttavia, questa transizione verso modelli di sviluppo più rispettosi dell’ambiente, generalmente definita “green” (verde), non sempre rispecchia un effettivo cambiamento in senso ecologico delle filiere produttive, ma in alcuni casi si limita ad essere un’operazione di maquillage (trucco) comunicativo per intercettare quel 65% di consumatori globali disposti a pagare prezzi superiori per prodotti ecosostenibili. A coniare il termine greenwashing, descrivendo per la prima volta questo fenomeno di comunicazione ingannevole, fu l’ambientalista americano Jay Westervelt nel 1986 con la pubblicazione di un saggio incentrato sul settore dell’ospitalità, in cui esaminava le pratiche promozionali, non sempre veritiere, messe in atto dagli hotel. Da allora il greenwashing è diventato un fenomeno crescente nel tempo, e come tale è stato oggetto di attenzione da parte del mondo della ricerca e dell’informazione, così come da parte di governi e autorità internazionali, che si sono attivati per stendere le basi di una regolamentazione a tutela di imprese virtuose e consumatori.

L’avvento delle nuove forme di comunicazione, in primis siti web e social network, ha ampliato enormemente i canali attraverso cui trasmettere informazioni secondo la tecnica della divulgazione selettiva, cioè rivestendo i messaggi pubblicitari di elementi e colori evocativi della natura, e omettendo al tempo stesso eventuali informazioni relative alle prestazioni poco ecologiche dell’impresa o del prodotto. I principali metodi di comunicazione ingannevole sono descritti dai cosiddetti “sette peccati del greenwashing”, che comprendono la mancanza di prove, la vaghezza del messaggio, la falsa etichetta, l’irrilevanza e la mendacità delle informazioni riportate o una combinazione di questi fattori. I rischi di una tale mistificazione del messaggio ricadono principalmente su consumatori, operatori del mercato e della finanza, che tendono gradualmente a sviluppare uno scetticismo nei confronti del concetto di sviluppo sostenibile e di conseguenza smettono di indirizzare attenzione e capitali su imprese e progetti autenticamente green.

Per contrastare tale fenomeno, lo scorso 6 marzo 2024 il Parlamento europeo ha ratificato la nuova direttiva 2024/825/UE contro il greenwashing che definisce un elenco dettagliato di pratiche commerciali da ritenere sempre sleali in quanto ingannevoli o aggressive nei confronti dei consumatori. La nuova normativa, che entrerà in vigore dal settembre del 2026, fornisce agli Stati membri della UE indicazioni in merito a controlli e verifiche da svolgere nei confronti delle dichiarazioni di prestazione ambientale presentate dalle imprese. Tuttavia, non va sottovalutata l’azione di sensibilizzazione e informazione dei consumatori, affinché possano identificare autonomamente spot, pubblicità e dichiarazioni ingannevoli.

Per approfondire:
Banca d’Italia, L’economia per tutti, Che cos’è il greenwashing (e come ci inganna), 2023,
https://economiapertutti.bancaditalia.it/notizie/che-cos-il-greenwashing-e-come-ci-inganna/?dotcache=refresh&dotcache=refresh.

Freitas Netto, S.V., Sobral, M.F.F., Ribeiro, A.R.B. et al. Concepts and forms of greenwashing: a systematic review. Environ Sci Eur 32, 19 (2020). https://doi.org/10.1186/s12302-020-0300-3

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, DIRETTIVA (UE) 2024/825 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L_202400825

Yildirim, S. (2023), “Greenwashing: a rapid escape from sustainability or a slow transition?”, LBS Journal of Management & Research, Vol. 21 No. 1, pp. 53-63. https://doi.org/10.1108/LBSJMR-11-2022-0077

United Nations (ONU), Report of the World Commission on Environment and Development,
Our Common Future , 1987, https://www.are.admin.ch/are/it/home/media-e-pubblicazioni/pubblicazioni/sviluppo-sostenibile/brundtland-report.html

https://environment.ec.europa.eu/topics/circular-economy/eu-ecolabel/community-and-helpdesk_en

https://environment.ec.europa.eu/system/files/2022-07/EUEcolabel_LogoGuidelines_2022.pdf
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Foto di intestazione: Ecolabel UE è il marchio di qualità ecologica dell’Unione Europea che contraddistingue prodotti e servizi che, pur garantendo elevati standard prestazionali, sono caratterizzati da un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita (https://www.mase.gov.it/pagina/ecolabel-ue).