5. Conclusioni
Secondo il rapporto della Commissione Europea “Energy Roadmap 2050”, il gas dovrà giocare un ruolo chiave nella transizione del sistema energetico verso le fonti rinnovabili, di cui rappresenta peraltro il complemento ideale, potendone compensare la discontinuità. Tra i fattori che renderanno tale ruolo sempre più incisivo a livello mondiale, oltre alla combustione molto più pulita rispetto agli altri combustibili e alla versatilità d’impiego, vi è senza dubbio l’enorme disponibilità delle risorse, in particolare di quelle non convenzionali, come lo shale gas, divenuto ormai una realtà nel panorama energetico soprattutto statunitense. Non meno interessanti, tuttavia, appaiono in prospettiva gli idrati di metano, ai quali stanno rivolgendo la loro attenzione ricercatori di diversi Paesi, in primo luogo USA e Giappone, supportati da finanziamenti importanti da parte dei rispettivi governi, in virtù degli enormi quantitativi stimati. Negli USA, l’agenzia scientifica del Governo USGS (US Geological Survey) ha calcolato che, nel solo versante Nord dell’Alaska, vi sarebbero risorse potenzialmente recuperabili per oltre 2.400 miliardi di metri cubi [18], mentre secondo la JOGMEC i depositi di idrati di metano situati sotto l’oceano al largo delle coste giapponesi sarebbero tali da poter coprire la domanda interna di gas per decenni, anche se una tecnologia di estrazione economicamente conveniente non sarà disponibile entro i prossimi dieci anni [17].
Gli idrati di metano sono, comunque, distribuiti diffusamente su larga parte del pianeta e ciò li rende ancora più interessanti, perché il loro sfruttamento consentirebbe di sottrarre il commercio internazionale del gas alle strumentalizzazioni politiche attuate dai Paesi in cui sono concentrate le maggiori riserve di idrocarburi. Come giustamente sostiene qualche autore [09], ne potrebbe derivare un effetto dirompente sul mercato globale dell’energia, rendendo indipendenti Paesi attuali importatori, come il Giappone e l’intera Asia.
Certamente, perché si possa giungere ad una fase di commercializzazione, bisognerà superare, prima ancora delle difficoltà tecniche ed economiche, i non trascurabili rischi ambientali che la loro estrazione comporta, e dunque i tempi non saranno brevissimi, ma l’impulso dato alla ricerca negli ultimi tempi ed il successo delle sperimentazioni citate aprono prospettive interessanti.
Peraltro, proprio in riferimento a quella realizzata nel 2012 dagli USA in Alaska, molti studiosi evidenziano la possibilità, che il metodo di estrazione adottato consente, di stoccare in maniera permanente sotto forma di clatrati l’anidride carbonica proveniente da fonti concentrate, come, ad esempio, le centrali termoelettriche, contribuendo alla riduzione della sua concentrazione nell’atmosfera.